martedì 14 novembre 2023

Trieste tra l’Italia e Tito (HistoriaRegni)

A migliaia i triestini finivano nelle voragini carsiche e sempre proruppero in manifestazioni d’italianità contro le scelte degli alleati. Il giornalista triestino Manlio Cecovini, sindaco di Trieste e Parlamentare Europeo, così ricostruì la storia della città dal 1945 al 1954 (in AA.VV., Storia della Repubblica Italiana).

Per quaranta giorni Trieste tremò di dover finire slava. A che erano serviti i suoi morti, i suoi volontari di tutte le guerre, i sacrifici patiti? A che gli atti d’eroismo compiuti sotto le insegne della Resistenza, che le avrebbero poi valso la medaglia d’oro alla città e tante decorazioni. Si calcola che dodicimila fossero gli arrestati di quei giorni; e molti, troppi – nessuno saprà mai con precisione quante migliaia – coloro che sparirono per sempre, chiuso il loro segreto nelle voragini carsiche.

Quasi casualmente, dietro un soldato neozelandese che per pura cordialità aveva sventolato un tricolore italiano, il 5 maggio 1945 si riunì un gruppo di giovani che fu subito legione e folla tripudiante e osannante all’Italia. Tricolori uscirono per incanto da ogni finestra, in pochi istanti la città fu pavesata a festa, si riversò per le strade, gridò, rise, pianse impazzita. Finché d’improvviso una raffica partì da una pattuglia titina autocarrata. La folla urlante sbandò, presa dal panico, cercando disordinato riparo nei portoni, nelle vie laterali. Sull’asfalto deserto macchiato di sangue giacevano cinque morti e oltre trenta feriti.

Finalmente, con enorme sollievo, la mattina del 12 giugno fu chiaro che gli alleati avevano costretto le truppe jugoslave a lasciare la città. Nasceva il Governo Militare Alleato. La Linea Morgan non era l’antico confine, non era anche la Linea Wilson, ma nel primo entusiasmo bastò vedere i titini uscire di città per gridare la propria gioia.

Con un colpo di spugna vennero cancellate le strutture balcaniche. Si ricostituivano i partiti italiani creando una giunta che escludeva solo quello comunista, reo di avere venduto Trieste a Tito. Ma l’attesa ricominciava: pare che il destino di noi triestini nati all’inizio della prima guerra mondiale sia quello di attendere. il 1° marzo 1946 i governi alleati, in preparazione del trattato di pace, affidarono a una commissione di esperti l’incarico di formulare proposte per la delimitazione del nuovo confine tra l’Italia e la Jugoslavia. Il momento, per Trieste, era patetico. La sua sorte in bilico, la città anelava a mostrare clamorosamente la propria italianità e non ne trovava il modo. Impensatamente l’occasione fu offerta dal concorso ginnico internazionale di Berna. La Ginnastica triestina ancora una volta era all’ordine del giorno, si sentiva pronta, scalpitava d’impaziente ardore; ma non aveva i mezzi necessaria. La Federazione Ginnastica di Roma, informata dell’aspirazione, capì il significato dell’offerta e la scelse a rappresentare l’Italia al grande raduno.



Terre irredenti e colonie 
Trieste tra l’Italia e Tito
 20 Marzo 2019 historiaregni 0 commenti Capodistria, foiba, foibe, generale De Winton, Isola, Italia, Jugoslavia, Linea Morgan, Linea Wilson, Manlio Cecovini, Maria Pasquinelli, Parenzo, Pirano, Pisino, Pola, Rovigno, Territorio Libero di Trieste, Tito, Trieste
A migliaia i triestini finivano nelle voragini carsiche e sempre proruppero in manifestazioni d’italianità contro le scelte degli alleati. Il giornalista triestino Manlio Cecovini, sindaco di Trieste e Parlamentare Europeo, così ricostruì la storia della città dal 1945 al 1954 (in AA.VV., Storia della Repubblica Italiana).


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Per quaranta giorni Trieste tremò di dover finire slava. A che erano serviti i suoi morti, i suoi volontari di tutte le guerre, i sacrifici patiti? A che gli atti d’eroismo compiuti sotto le insegne della Resistenza, che le avrebbero poi valso la medaglia d’oro alla città e tante decorazioni. Si calcola che dodicimila fossero gli arrestati di quei giorni; e molti, troppi – nessuno saprà mai con precisione quante migliaia – coloro che sparirono per sempre, chiuso il loro segreto nelle voragini carsiche.

Quasi casualmente, dietro un soldato neozelandese che per pura cordialità aveva sventolato un tricolore italiano, il 5 maggio 1945 si riunì un gruppo di giovani che fu subito legione e folla tripudiante e osannante all’Italia. Tricolori uscirono per incanto da ogni finestra, in pochi istanti la città fu pavesata a festa, si riversò per le strade, gridò, rise, pianse impazzita. Finché d’improvviso una raffica partì da una pattuglia titina autocarrata. La folla urlante sbandò, presa dal panico, cercando disordinato riparo nei portoni, nelle vie laterali. Sull’asfalto deserto macchiato di sangue giacevano cinque morti e oltre trenta feriti.

Finalmente, con enorme sollievo, la mattina del 12 giugno fu chiaro che gli alleati avevano costretto le truppe jugoslave a lasciare la città. Nasceva il Governo Militare Alleato. La Linea Morgan non era l’antico confine, non era anche la Linea Wilson, ma nel primo entusiasmo bastò vedere i titini uscire di città per gridare la propria gioia.

Con un colpo di spugna vennero cancellate le strutture balcaniche. Si ricostituivano i partiti italiani creando una giunta che escludeva solo quello comunista, reo di avere venduto Trieste a Tito. Ma l’attesa ricominciava: pare che il destino di noi triestini nati all’inizio della prima guerra mondiale sia quello di attendere. il 1° marzo 1946 i governi alleati, in preparazione del trattato di pace, affidarono a una commissione di esperti l’incarico di formulare proposte per la delimitazione del nuovo confine tra l’Italia e la Jugoslavia. Il momento, per Trieste, era patetico. La sua sorte in bilico, la città anelava a mostrare clamorosamente la propria italianità e non ne trovava il modo. Impensatamente l’occasione fu offerta dal concorso ginnico internazionale di Berna. La Ginnastica triestina ancora una volta era all’ordine del giorno, si sentiva pronta, scalpitava d’impaziente ardore; ma non aveva i mezzi necessaria. La Federazione Ginnastica di Roma, informata dell’aspirazione, capì il significato dell’offerta e la scelse a rappresentare l’Italia al grande raduno.

Fu certo la più civile e composta dimostrazione d’italianità che Trieste potesse dare in quel momento al mondo libero. Purtroppo poco poté sui lavori della commissione che, a conclusione dei sopralluoghi e delle inchieste, se ne uscì con quattro diverse proposte, tutte a noi sfavorevoli. Quella francese, che sacrificava centosettantasettemila italiani, venne accolta nel Trattato. Trieste non era più italiana! Il trattato, firmato a Parigi ed entrato in vigore il 15 settembre 1947, aveva creato uno staterello ironicamente denominato “Territorio Libero di Trieste”.

Uno staterello ridicolo, e anche quello subito diviso in due parti e affidato all’amministrazione di due poteri: la zona A agli anglo-americani, la zona B, incredibilmente, agli stessi jugoslavi, parte interessata. Capodistria, Parenzo, Isola, Rovigno, Pirano, Pisino e Pola, la romanissima Pola che ancora sfida i secoli con la sua gloriosa arena in riva a quello che fu il mare di Roma e di Venezia, erano irrimediabilmente perdute.

Il 10 febbraio a Pola, una donna, Maria Pasquinelli, con tre colpi di pistola uccideva il comandante inglese della piazza, il generale De Winton, intendendo col suo tragico gesto richiamare l’attenzione del mondo sul delitto politico che veniva perpetrato a danno delle genti giuliane e istriane. Gli italiani diventavano improvvisamente stranieri a casa loro, lo smarrimento s’impadronì degli animi, e fu l’esodo di massa.

Il 20 marzo 1948 gli occidentali pubblicavano la famosa nota tripartita con la quale, dando atto delle difficoltà insorte, riconoscevano ufficialmente l’italianità del TLT e ne proponevano alla Russia e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la restituzione all’Italia.

Il 20 marzo 1952, ricorrendo l’anniversario della dichiarazione tripartita, la popolazione inscenò una grandiosa manifestazione patriottica, che in sostanza voleva essere d’incitamento a far presto, a dare sostanza alle promesse, a mantenere gli impegni. L’esasperazione traboccava dagli animi. S’accesero le prime zuffe, si ebbero i primi scontri con la polizia, inquadrata e diretta da ufficiali inglesi. La reazione, da entrambe le parti, assunse subito forme di violenza. Per tre giorni la città fu teatro di combattimenti, e il bilancio fu di centocinquantasette feriti, di sessantun arresti. Ma la dimostrazione servì se non altro a immettere nell’assetto amministrativo locale dei funzionari italiani. Non solo: accanto al comandante militare alleato per la prima volta compariva un consigliere politico italiano, che fu il triestino Diego de Castro, Tito estese alla zona B le leggi jugoslave.

Nuovi disordini scoppiavano l’8 marzo, e ancora vi furono morti e feriti. Qualche mese dopo per la prima volta dalla fine della guerra si sentì il polso dell’Italia, e i triestini esultarono quando Pella, presidente del consiglio dei ministri, in risposta al proposito dichiarato da Tito di annettersi la zona B, ordinava alle truppe italiane di schierarsi lungo il confine e proponeva a sua volta il plebiscito per il TLT. La proposta fu respinta dagli jugoslavi: ma l’8 settembre i governi degli Stati Uniti e del Regno unito comunicavano al governo italiano la loro definitiva decisione di affidare all’Italia l’amministrazione della zona A, come premessa a un auspicato accordo fra l’Italia e la Jugoslavia.

L’Italia accettava l’offerta; ma ancora, nella tensione degli animi, il 4, 5 e 6 novembre scoppiarono a Trieste gravissimi disordini, nei quali purtroppo si dovevano contare cinque vittime.

Fu l’ultimo pesante tributo di sangue.

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