mercoledì 8 novembre 2023

Leone Fortis e il '48 triestino

Leone Fortis (1827-1898), giornalista e patriota triestino dell’Ottocento, ricorda le prime agitazioni del ‘48 nella sua città. Lo sguardo pieno d’ironia e la prosa frizzante, caratteristici di questo scrittore ormai dimenticato, lasciano trapelare alcune note di nostalgia per una gioventù lontana e un’epoca irripetibile. L’episodio raccontato, per certi versi esilarante, vede come protagonisti Fortis stesso – all’epoca ventenne – e un gruppo di giovani patrioti, i quali, udita la notizia delle prime rivolte scoppiate nell’impero, trascinano dietro a sé una folla di manifestanti e si dirigono verso la residenza del governatore di Trieste, Roberto Algravio di Salm. Il governatore, svegliato nel sonno, intimorito dalla massa radunatasi sotto il suo balcone, dichiara la costituzione con un giorno d’anticipo rispetto alla sua proclamazione ufficiale a Vienna. Tuttavia, nonostante questi primi eventi all’insegna della libertà e del patriottismo, Trieste successivamente si mostra tiepida, per non dire fredda, di fronte alle istanze liberal-nazionali oggetto di rivendicazione in quell’anno di rivolgimenti e tumulti. Frattanto Leone Fortis, deciso a dare il suo contributo alla causa italiana, abbandona la città natale per prestare servizio prima nella repubblica veneziana di Daniele Manin e poi in quella romana di Mazzini, Saffi e Armellini.

Eravamo nel 48 – si figuri! Al principio del 48. – Si cantavano i cori dei Lombardi e del Nabucco – si gridava Viva Pio IX – ed era un grido rivoluzionario. Un fremito di vita nuova correva per le ossa e le vene della vecchia Europa, e la faceva trasalire sul suo letto dal lungo sonno infingardo. Metternich non si raccapezzava più – i suoi devoti perdevano la bussola più di lui. I giovani sentivano che era venuto il loro tempo. A Trieste v’erano due partiti di fronte – il partito italiano: tutti i giovani, – il partito austriaco: tutti i prudenti, i grossi negozianti, i ricchi banchieri, conservatori per calcolo, per necessità, per abitudine. – Si aspettavano le notizie di Milano e di Venezia – Non si sapeva proprio quali notizie si aspettassero – ma se ne aspettavano – si tendeva l’orecchio dalla parte di Vienna – per udir che?… non si sapeva – ma c’era per l’aria un vago rumore indistinto, come di un tuono in lontananza, un odore di uragano – che i giovani respiravano avidamente. – Tutto era dimostrazione – un mazzolino di fiori, un nastro, il modo di portare il cappello, un applauso in teatro, una strada prescelta del paesaggio. – Che tempi! che vita! che gioventù!

Gazzoletti, il povero Gazzoletti, era tutto con noi. – Anima di fuoco, cuor di poeta, – tutto entusiasmo, fede, speranza. Si sperava, e si credeva tanto allora – senza concretare mai né speranze, né fedi. Nel cartellone del teatro Grande era annunziata per quell’inverno la Disfida di Barletta del maestro Likle – un tedesco – su poesia di Gazzoletti – un italianone.

Il soggetto, il poeta ci rendevano sicuri del fatto nostro. Ci solleticava la idea di fare un maestro austriaco complice, anzi strumento di una dimostrazione italiana. – Dovevano cantarvi la Ponti – il tenore Graziani – il baritono Fiori – due giovani romagnoli, pieni di fuoco – e Achille Lorini. Chi non lo ha conosciuto a Milano, il Lorini? Vero tipo milanese – un po’ fanfarone – ma buon figliuolo. – Lorini era Prospero Colonna – Graziani Ettore Fieramosca – Fiori… non mi ricordo – uno degli italiani.

La sera della prova generale si era tutti in teatro – per istudiare il campo di battaglia dell’indomani. – Nessuno sentiva la musica. – Si conoscevano i tumulti, le agitazioni di Vienna e si commentavano in lungo e in largo, tirando gli oroscopi dell’avvenire. A un tratto uno mi dice: Se andassimo incontro al corriere di Vienna! – E’ come una parola d’ordine – ci alziamo tutti – e fuori dal teatro. – Si attraversa in massa serrata il Tergesteo.

– Perdoni!… cosa è il Tergesteo?

– E’ una specie di Galleria Vittorio Emanuele assai più piccola – divisa in grandi stanzone terrene, di convegno, di affari, di lettura, di giuoco, di caffè. – E’ il commercio triestino che si raduna colà – e ci riceve tutta la cittadinanza.

– Ho capito – prosegua.

– Proseguo – Per via c’ingrossiamo – ci trasciniamo dietro mezzo Trieste. – Dove si va? A far che? – Nessuno lo sa – pochi lo chiedono. – Si prende la via di Opcina – una via sul monte, per cui si andava a Vienna, allora che non c’era la ferrovia. – Pioveva – eravamo nel cuor della notte – una notte umida, fredda – si batteva i denti – e si guazzava nella mota sino al ginocchio. – Ma si stava lì – ad aspettare.

Intanto eravamo diventati una valanga. – Quando Dio vuole, alle due, alle tre, si ode il rumore di un carrozzone. – Era il corriere di Vienna. – Finalmente! – Il postiglione che vede quella massa fitta di gente, arresta la carrozza. – Si apre lo sportello – il corriere esterrefatto balza fuori – capisce poco o nulla – parla a stento l’italiano. Lo s’interroga confusamente, tumultuariamente. – Che c’è di nuovo? – La costituzione? – la rivoluzione? – Il corriere risponde male, confuso, balbettando – nessuno lo ascolta – si grida: – è accordata la costituzione. – Viva l’Italia! – viva la costituzione! viva la libertà! – e giù alla rincorsa per la china di Opcina, gridando il solito fuori i lumi che doveva essere la nota caratteristica del 48. E tutti ci ammassiamo di nuovo sotto il Palazzo del Governatore.

Era governatore un brav’uomo, molto insignificante, allampanato, timido, perplesso – un Algravio di Salm – cognome traditore, che si prestava ai più ameni e gastronomici bisticci.

Il pover’uomo è svegliato nel sonno, da queste grida che lo chiamano, che lo assordano. – Interroga, nessuna sa rispondergli. – Comincia anche in lui quella esterrefazione meravigliosa, fenomenale, che colpì in quell’epoca il governo austriaco, e tutti i suoi strumenti. Trasognato – mezzo spaventato – lo cacciano alla finestra – che si spalanca. – E’ interpellato da mille voci. – E’ vero che abbiamo la costituzione? – Che ne sapeva lui? – Non aveva avuto il tempo di leggere i dispacci da Vienna. – Risponde a caso – si tiene sulle generali. – Sì, sì, sì, tempestiamo noi dalla strada. – Era una domanda, una risposta, una minaccia, tutto insieme e tutto frammisto. Il povero Salm ondeggia e tentenna – Sì, sì, sì. – Si decide. – Sì, abbiamo la costituzione. – Un urrah spaventoso accoglie questa dichiarazione. Il Salm si accalora e vuol fare una perorazione di effetto. Triestini, grida alzando la voce con un erre pronunciatissimo, sclamiamo insieme Viva S.M. l’Imperatore che ci… che vi… sicuro, che vi accorda la libertà del pensiero! Uno scoppio d’ilarità omerica accoglie la notizia di questa graziosa concessione sovrana.

Per noi, ne avevamo abbastanza – ci spandiamo per la città, strepitando dei Viva di tutti i colori. I più tempestosi vanno al Tergesteo – la porta è chiusa. Si batte – sprepita – si scrolla l’uscio. La porta si spalanca – ci slanciamo alla stanza di lettura ove c’era un ritratto enorme del Principe di Metternich, in piedi, ritto, impettito, proprio in atto di dire che l’Italia non era che una espressione geografica. – Il ritratto era sparito, – il signor De Bruck, allora direttore del Lloyd, aveva pensato a scongiurare la burrasca, – ed era lì pallido ma sereno, col suo sorriso leggermente ironico, quasi a riceverci.

Non ci occupiamo di lui e saltiamo sul tavolo – il tavolo dei giornali. – Arringhiamo la folla – noi, i più giovani, proclamiamo quel giorno festa nazionale – per nostro moto proprio – scriviamo queste due parole su tanti pezzetti di carta – dei popolani se ne impadroniscono e s’incaricano di affiggerli sulle porte di tutti i negozi. – Eravamo padroni del campo; i conservatori, gli austriaci, i prudenti, si erano rintanati. – Non dubitate, che sbucarono fuori a loro tempo.

Intanto fuori bandiere e coccarde – bandiere tricolori, s’intende, – coccarde di tutte le dimensioni, enormi, colossali, monumentali.

In poche ore la coccarda l’avevano tutti sul petto – compreso, per quella giornata, l’Algravio di Salm… E ecco come la costituzione fu proclamata a Trieste 24 ore prima che fosse accordata a Vienna. Per fortuna di quel povero Salm, a Vienna avevano altro pel capo”.

 – Tratto dalle Conversazioni di Leone Fortis (Doctor Veritas), Fratelli Treves Editori, Milano, 1877, pagg. 23-27 –

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