venerdì 17 novembre 2023

Il compromesso ungaro-croato del 1868

Franjo Rački stava lavorando da anni su una ponderosa monografia, il primo trattato storico su Fiume che era un’argomentazione storicamente fondata volta ad assicurare Fiume alla Croazia. 

Il libro uscì nel 1867 quando il dibattito sulla soluzione fiumana era all’apice. 

La documentazione che Rački aveva pazientemente raccolto negli archivi di Zagabria, Fiume e Vienna dimostrava che, a causa della loro imprecisione, i rescritti successivi alla decisione sovrana del 1776 non avevano sciolto il nesso tra Fiume e la Croazia. L’osservazione di Rački era corretta: i sovrani della Casa d’Austria avevano lasciato sempre volutamente indeterminata la questione dell’appartenenza di Fiume e, come vedremo, essa rimarrà tale fino alla dissoluzione della Monarchia nell’autunno del 1918. Per quanto riguardava Fiume, che costituiva l’obiettivo principale del programma nazionale croato, Rački produsse una copiosa documentazione storica finalizzata a dimostrare l’appartenenza della città alla Croazia. L’argomento di Rački partiva dagli atti di Maria Teresa del 1777 e 1778 che disponevano l’assegnazione di Fiume al regno ungherese, mediante i dicasteri croati. Il problema era che l’anno successivo l’atto del 23 aprile 1779 specificava che la città doveva confederarsi parte del regno d’Ungheria come corpus separatum della corona ungarica. I fiumani vi vedevano in questo il riconoscimento di uno status di città immediata simile a quello goduto da Trieste negli Stati ereditari della casa d’Austria, un’interpretazione che si confaceva anche agli interessi magiari. Rački, col suo “Disegno storico della città di Fiume”, un elaborato scritto ad uso dei deputati della dieta, cercò di 

limitare l’importanza del rescritto del 1779. Secondo il canonico l’atto del 1779 serviva solo alla funzione di sottolineare lo status speciale di Fiume rispetto a Buccari ma non inficiava la sua posizione rispetto alla Croazia, dimostrandolo col fatto che la città continuava ad essere parte del comitato di Severin. L’argomentazione era debole in quanto essa non specificava in maniera positiva né la natura del nesso politico della città con la Corona ungarica, limitandosi ad osservare che un certo legame con la Croazia non veniva esplicitamente negato, né tantomeno definiva la specialità di Fiume. Rački, inoltre, ometteva di menzionare che, quasi in concomitanza all’atto del 1779, il Consiglio luogotenenziale croato fu sciolto. Da quel momento fino al 1848 la Croazia perse un proprio governo e dipese per tutti gli affari dalla Cancelleria aulica ungherese.

Il fatto che negli atti successivi (4/1807) Fiume avesse assegnati dei posti alla Dieta di Zagabria, non dimostrava che essa ne faceva parte, in quanto i rescritti regi lo consideravano solo come un diritto, finalizzato a far partecipare anche rappresentanti fiumani a discussioni che potevano riguardarli direttamente.

L’argomento delle difficoltà economiche in cui si dibatteva la città veniva usato quotidianamente anche sulle pagine dei giornali. Poco dopo veniva varato “adorno delle dilette bandiere ungariche” il Deak, il diciassettesimo dei bastimenti di lungo corso dei fiumani recante il nome di un notabile ungherese. La liberazione di Matcovich leader dei Kossuthiani locali il 16 marzo 1867, incarcerato per turbamento della quiete pubblica dallo Smaich, fu accolta con manifestazioni di gioia.

Dal 1 maggio 1867 al Sabor croato la questione di Fiume era all’ordine del giorno. Franjo Rački il veterano delle richieste croate su Fiume chiedeva spiegazioni sul fatto che i deputati fiumani fossero andati a Pest per assistere ai lavori del parlamento ungherese senza che la Croazia, come terza parte, fosse stata interpellata. Il capitano Smaich poté solo rispondergli che essendo i poteri a Fiume passati al commissario Cseh di fatto egli non controllava più la situazione. Alla seduta parteciparono anche i quattro rappresentanti fiumani (gli stessi del 1865, a parte Ciotta) dove furono insultati avendo indirizzato la Dieta in italiano, provocando vivo imbarazzo anche presso il bano Levin Rauch. Infine il 25 maggio il re decretò la sospensione della Dieta e l’indizione di nuove elezioni, nella speranza che gli «unionisti» moderati prevalessero sui «nazionali» di Rački e Strossmayer, ormai considerati una forza destabilizzatrice per tutta la Monarchia. Nel frattempo il Primo ministro Andràssy invitò ufficialmente, con approvazione sovrana, la città di Fiume ad inviare i propri deputati al parlamento ungarico. Se le elezioni municipali e provinciali del 1861 sancirono la nascita della moderna agitazione politica con la partecipazione delle masse, l’elezione del deputato fiumano al parlamento ungarico fu il momento di nascita dei partiti politici a Fiume.

Quando l’8 giugno 1867 Francesco Giuseppe venne coronato re di Ungheria a Pest, i croati si rifiutarono di mandare una delegazione il che espose gli esponenti del partito nazionale ad ulteriori attacchi. 

Alle elezioni indette il partito unionista prese il controllo del Sabor e rimase al potere dal 1867 al 1871, gli anni cruciali durante i quali si decisero sia il compromesso ungaro-croato che la questione di Fiume, dal quale essa fu disancorata. 

Il 27 giugno 1867 il sovrano decise di sostituire il bano croato Josip Šokčević con uno dichiarato filoungherese, il barone Levin Rauch de Nyék. Intanto l’operato di Cseh iniziava ad alienare le simpatie della popolazione di tutto il Litorale nei confronti della Croazia, in quanto Buccari avrebbe potuto conservare il suo status di libero distretto commerciale. (Il vice console italiano a Fiume, Luigi Accurti, riportava da Buccari che “Nel pomeriggio di ieri giunsero improvvise in Città diverse […] deputazioni di contadini di Buccari […] che tutte chiedevano di seguire la sorte di Fiume; fra mezzo a queste deputazioni spiccava con bell’effetto, uno stuolo d’una quarantina di ragazze vestite di bianco, con un nastro tricolore posto […] sul petto, le quali cantavano in lingua croata, una patriottica canzone il cui ritornello era “noi non siam Croati – regina d’Ungheria”. Luigi Accurti, proseguiva: “Da tre giorni questa città è in festa per l’incoronazione del re d’Ungheria, e per la riunione sua all’Ungheria stessa, che si ritiene come un fatto compiuto. Non v’è finestra nelle contrade principali o sulle piazze che non abbia la sua bandiera tricolore; davvero che, a primo aspetto, facendo astrazione dalla diversa disposizione dei colori, un italiano potrebbe credere di assistere ad una festa patriottica delle nostre Città d’Italia”. 

TRIESTE, Archivio di Stato, Vice consolato d’Italia, Fiume 12 giugno 1867).


I croati compresero che ormai stavano perdendo la battaglia per Fiume. (Un articolo de La Perseveranza di Milano del 5 luglio 1867, riprendendo quello apparso sulle Narodne Novine, di Zagabria del 21 giugno 1867 esprimeva in maniera eloquente quanto era cambiata la situazione per le autorità croate a Fiume: “Ai magiari preme convincere il mondo intero che il nostro popolo è di sentimenti magiaro, ma che la parte intelligente nutra dei piani occulti che hanno per iscopo di fondare un regno slavo del sud. Per questo aizzano la plebe di Fiume e nel Litorale. Il denaro che pagate (dicono loro) si spende a Zagabria! Se foste sotto reggimento magiaro, non paghereste nulla di tutto. Il contrabbando di cui molti vivono nel litorale, non troverà repressione presso il ministero ungherese; la nuova legge della leva non sarà messa in vigore. Il clero, gli impiegati e la parte intelligente reprimerebbe facilmente tutti questi eccessi; essi ricondurrebbero la gente a migliori sentimenti se non fossi il commissario Cseh a Fiume, che come è provato dai fatti e dai procedimenti giudiziari, aizza la plebe e rende inutile ogni ingerenza bene intenzionata. Al sig. Cseh sono sottomessi tutti gli impiegati, i giudici e la gendarmeria, epperciò ha le mani in pasta. Quando istituì a Fiume un Comitato speciale “per la pubblica sicurezza”, alla cui testa stanno tre personaggi del popolo lodevoli, Matcovich, Walluschnigg, alias “Pacairella”, e Sgardelli ex legionario garibaldino. Questo comitato organizza tutte le dimostrazioni a Fiume sotto l’egida del suo capo, ed ai nostra manca la forza per opporvisi con vigore. […] Il sotto governatore Voncina fa tutto per mantenere l’ordine, ossia per conservare il Litorale. Egli fa arrestare, persuade, minaccia, incoraggisce i buoni e mette la sua vita a cimento. Il signor Csèh gli negò qualunque attitudine”. LUKSIC-JAMINI, Antonio, Contributi alla storia di Fiume 1861-1867, “Fiume”, (1972), pp. 50-51).


In extremis un Odbor za Riječko pitanje (Comitato per la Questione di Fiume) venne formato nelle fila del Sabor, prima che si arrivasse alla ratifica finale del compromesso ungaro-croato. L’Odbor produsse una dichiarazione con la quale sosteneva che i diritti dell’Ungheria nei confronti di Fiume non erano maggiori rispetto a quelli nei confronti della Croazia. Si trattava di un’ammissione che in fondo confermava quanto i fiumani avevano da sempre sostenuto. La Congregazione Municipale si riunì il 10 ottobre, e in tale sede A. F. Giacich ribadì che: 

«Essere il territorio di Fiume libero, e non confondibile con nessun altro, e non appartenente alla Croazia o all’Ungheria, ma dover esser per diritto, sancito dalle leggi e dal giuramento di S. M. reincorporato alla corona di S. Stefano, a quella corona cui per amore e reciprocità di interessi comuni Fiume vuole appartenere».

Deàk quando seppe del discorso pronunciato da Giacich lo contestò affermando che Fiume doveva essere inclusa direttamente all’Ungheria in quanto qualsiasi riferimento alla Corona di S. Stefano giustificava automaticamente anche le pretese dei croati sulla città. Dato che, secondo Deàk, “gli interessi degli italiani di Fiume sarebbero rimasti sempre compatibili con quelli ungheresi”, era prioritario raggiungere il compromesso con la Croazia. Da questa affermazione si comprende come il provvisorio non era stato contemplato da Deàk come prima opzione. Intanto il deputato fiumano Akos Radich fece ritorno da Pest con le istruzioni di Andràssy il quale anche ribadiva come i fiumani non dovessero chiedere l’unione alla Corona di S. Stefano ma l’unione diretta con l’Ungheria (Magyarorszag)547. Al posto della «mitica Corona di S. Stefano» essi dovevano accettare una piena sovranità ungherese: in altre parole, per poter essere esclusi da una nazione essi dovevano accettare di essere inclusi in un’altra. Era una mossa astuta: in questo modo Deàk scisse una questione trilaterale in due accordi bilaterali (uno ungherese-croato e uno ungherese-fiumano) dove la preponderanza ungherese gli assicurava la vittoria. Di fatto i fiumani dovettero abbandonare l’argomento di essere «terzo fattore della Corona» che resterà uno dei favoriti della successiva retorica autonomista. 

I croati tentarono, senza successo, di includere la questione di Fiume in tutto il pacchetto negoziale tra Ungheria e Croazia ma Andràssy e Deàk si rifiutarono in quanto, ai sensi del compromesso austroungarico, Fiume non era assegnata alla sfera dell’autonoma amministrazione croata ma a quella congiunta del Regno d’Ungheria. Pertanto l’assetto che sarebbe scaturito da un accordo di compromesso ungaro-croato era comunque irrilevante per definire l’assetto amministrativo della città di Fiume. Andràssy e Deàk fecero quindi pressioni sui fiumani affinché eleggessero due deputati da inviare al Sabor; dove, intanto, gli unionisti favorevoli al compromesso prevalsero e il 17 novembre discussero il rescritto del sovrano che invitava le diete magiara e croata a formare delegazioni incaricate di siglare il compromesso. Nuovamente votarono solo 135 dei 900 aventi diritto. I fogli elettorali avevano impressa l’istruzione per i deputati eletti “Antonio Randich (or Nicolò Gelletich) onde protesti contro qualsiasi annessione e dipendenza dalla Croazia”. Intanto la «Legge fondamentale» del 21 dicembre 1867 dava vita all’Austria-Ungheria divisa in tutti gli aspetti dell’amministrazione interna in Cisleithania, o impero d’Austria e la Transleithania, o i regni di Ungheria e Croazia-Slavonia. Di fatto l’Ungheria divenne uno Stato a tutti gli effetti, ad eccezione della rappresentanza diplomatica all’estero e gli affari di difesa. Il compromesso del 1867 fu un trionfo per gli ungheresi. Ora restavano da risolvere le questioni aperte tra la Croazia-Slavonia e l’Ungheria. Nel 1868 furono nuovamente gli ungheresi ad insistere che i fiumani mandassero i loro deputati a Zagabria per aumentare il numero di deputati nel Sabor favorevoli all’accordo con l’Ungheria: i fiumani, che nel frattempo erano stati invitati a mandare il loro deputato a Budapest, vi giunsero legati da un mandato imperativo che li obbligava a protestare contro qualsiasi annessione e dipendenza dalla Croazia. Forti di questo voto, gli eletti si recarono a Zagabria dove dichiararono alla Dieta, il 21 gennaio 1868, cheessi non possono riconoscere come vincolativo quanto ai rapporti di diritto pubblico del libero distretto di Fiume nessun conchiuso che venisse preso da questa eccelsa dieta, dovendo tali rapporti essere precisati e definiti d’accordo con Fiume dalla legislatura di Pest. 


La Dieta di Zagabria si dichiarava favorevole ad un compromesso votando, il 29 gennaio 1868, una risoluzione a favore del ristabilimento dell’unità storica dei Paesi della Corona di Santo Stefano, interrotta dagli avvenimenti del 1848. Il “Compromesso” includeva la Croazia-Slavonia saldamente entro la parte ungherese della duplice monarchia. 

Il problema maggiore rimaneva quello di Fiume. I croati si appellavano alla legge XLII ratificata dalla Dieta del 1861 che assegnava Fiume alla Croazia. La Deputazione croata era composta da soli unionisti (K. Bedeković, S. Vukačević, L. Pejaković, I. Suhaj, J. Brlić) che avevano abbandonato le tesi indipendentiste dei Čepulić, Strossmayer o Rački. Quella ungherese aveva i più potenti leader parlamentari inclusi Deák, Andràssy, e Eotvos. Anche se il clima era migliorato e le deputazioni lavorarono insieme servendosi della lingua tedesca in sedute comuni, la tensione restava alta, soprattutto a Fiume.

Verso la fine del luglio 1868 apparvero in pubblico le prime versioni della bozza di accordo: essenzialmente essa riprendeva la forma del compromesso austroungarico il quale costituiva la legge fondamentale per tutte le terre della monarchia. Gli affari comuni fra Ungheria e Croazia di spettanza al parlamento comune di Pest erano quelli che interessavano tutta la Monarchia: la difesa, le finanze comuni, i rapporti coll’estero. Alla Croazia veniva garantita una completa autonomia in materia di amministrazione interna, culto, istruzione pubblica e giustizia, pari a quella goduta dal regno di Ungheria in seno alla monarchia. Si trattava, come si è visto, di quella sfera di sovranità che la Corona si era dichiarata disposta a cedere già nel 1861. La spartizione dei poteri devoluti diverrà materia di negoziazione per tutti i compromessi negoziati dal 1861 al 1870. Il compromesso, in fondo, era molto vantaggioso e i deputati croati lo votarono in maggioranza. 

Soltanto relativamente a Fiume non si riuscì a trovare un accordo e pertanto la posizione della città venne lasciata in sospeso. 

Per sbloccare la situazione il sovrano, nella sua risposta d’indirizzo alle parti, incaricava i propri consiglieri della Corona di conferire con i rappresentanti delle parti interessate per poter preparare le regie proposizioni da presentarsi alle Diete d’Ungheria e di Croazia.


La dichiarazione di Francesco Giuseppe metteva alla pari Fiume coi regni d’Ungheria e Croazia. Andrassy effettivamente si premurò di organizzare un incontro a tre al quale però negò il carattere di una conferenza ufficiale. Raccomandò, altresì, che alla commissione fiumana non fosse dato un mandato imperativo (come era ormai consuetudine) per facilitare le trattative e giungere a qualche compromesso, ma i fiumani, ancora una volta, mostrarono un atteggiamento inflessibile negando che il nesso con l’Ungheria passasse per la Croazia. Al che al rappresentante croato, Suhaj, non restò che esprimere il suo dispiacere per tale categorico rifiuto accennando alla convenienza e quasi indispensabilità nell’interesse di Fiume di conservare un ulteriore nesso con la Croazia, ventilando poi che da un tale atteggiamento potesse persino derivare lo sfascio del già conchiuso accordo con l’Ungheria.

A questo punto fu il sovrano ad esigere che nel compromesso fosse interpellata anche la città di Fiume. Il regio rescritto, letto il 9 novembre davanti alla Camera dei Deputati di Pest, faceva perno sull’articolo IV della legge ungarica del 1807 il quale diceva che “la città commerciale di Fiume, unitamente al suo territorio, deve essere anche in futuro considerata quale corpo separato appartenente alla sacra Corona ungarica”. In conclusione il sovrano determinava che le divergenze esistenti tra Ungheria e Croazia relativamente a Fiume potevano riferirsi solo a quegli oggetti circa i quali la Croazia possedeva una propria autonomia separata, legislativa ed esecutiva:

«Nell’accordo di diritto pubblico, che venne già recato ad effetto, è dichiarato che gli affari relativi all’esercito, alle finanze ed alla marina mercantile di questi paesi vengono trattati nella Dieta ungarica come oggetti comuni, ed eseguiti dal ministero ungherese. Ciò è applicabile anche a Fiume, e così la differenza d’opinione che esiste fra l’Ungheria e la Croazia rispetto a Fiume può estendersi soltanto a quegli oggetti riguardo ai quali la Croazia, secondo l’accordo di diritto pubblico or mentovato, ha autonomia, legislazione ed amministrazione speciali».


Invocando il “buon senso” il re invitava, quindi, a mettere da parte “le controversie storiche e le relative deduzioni” onde dar vita, intanto, a quella parte dell’accordo che garantiva alla Croazia di iniziare di fatto ad esercitare, nella propria dieta e mediante il proprio governo, la sua autonomia.

Dopo questo rescritto la Camera dei Deputati di Pest l’11 novembre 1868 accoglieva le “proposizioni” regie dell’8 novembre 1868 che, di fatto, furono l’ultima parola sulla questione fiumana. Il ministero veniva autorizzato ad attuare, previa ratifica sovrana, l’accordo ungaro croato. Che al punto primo del § 66, il quale precisava i limiti territoriali del regno di Croazia, Slavonia e Dalmazia, cambiava la dicitura da “la città e distretto sulla cui appartenenza le commissioni non si erano potute accordare” a “le cui condizioni di governo e legislative andavano stabilite di comune accordo tra il parlamento dell’Ungheria, la Dieta dei Regni di Croazia, Slavonia e Dalmazia e la Città di Fiume”.

La dieta croata riunitasi a Zagabria il giorno 16 esaminò le “proposizioni” fatte dal sovrano trovando che esse erano in contrasto col diritto croato che non prevedeva territori avulsi dal regime comitale, negando nel contempo ai fiumani il diritto di partecipare alla pari in eventuali trattative future ma di essere rappresentati dalla deputazione croata. Il 18, dopo molte discussioni, la dieta aderì alle tesi del regio rescritto.

Per accelerare la ratifica dell’atto, sulla versione croata venne aggiunta una «pezzetta» (krpica in croato), applicata posteriormente. 

Il fatto fu scoperto dopo una petizione presentata il 20 aprile 1881 al parlamento ungarico da parte della rappresentanza di Fiume, nel desiderio di porre termine al regime amministrativo provvisorio. Fu proprio allora che si scoprì la poco ortodossa correzione fatta al testo originale della legge. A questo punto il partito croato dell’indipendenza (corrispondente ai kossuthiani ungheresi) sostenne, dapprima nei giornali e poi nelle discussioni alla dieta tenutasi nel giugno di quel anno, la tesi della falsificazione e quindi della nullità del passo relativo a Fiume. Una commissione di sette deputati di varia provenienza politica venne nominata dalla dieta con il compito di esaminare il problema. Ma ben presto la stessa commissione croata dovette riconoscere che la modifica del § 66 era avvenuta in corrispondenza con la volontà della dieta, che il testo firmato dal sovrano costituiva legge promulgata e che il testo era molto più favorevole alla Croazia di quello originale. Tanto che si deliberò di dichiarare che il § 66 non era stato falsificato e che nessuno pensava di modificarlo553. L’argomento venne risollevato solo dalle forze apertamente anticostituzionali della Croazia che rifiutavano qualsiasi idea di compromesso con l’Ungheria o il sovrano. 

La «pezzetta» venne di nuovo rispolverata dal Comitato di slavi del sud fuoriusciti a Londra nel 1915, il quale consegnò un «memoriale» all’Intesa con il quale affermava che Fiume era da sempre stata parte integrante incontestata del regno di Croazia al quale l’Ungheria aveva tolto l’amministrazione, falsificando il relativo § 66.

Dallo spoglio della stampa dell’epoca si evince come in mancanza di un accordo tra le due diete, fallite le trattative e “stringendo la brevità del tempo, la Corona rescrisse alla Dieta ungarica, dichiarando Fiume col suo territorio paese autonomo, il quale non altrimenti che la Croazia avrebbe le cose comuni coll’Ungheria, cioè il commercio le comunicazioni e le finanze”.

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