domenica 12 novembre 2023

A Fiume solo croati che parlavano l'italiano? (Kristjan Knez)

Per alcuni studiosi, parlare degli Italiani di Fiume sarebbe fuori luogo o meglio ritengono rappresenti una questione controversa, molto discussa e non ancora risolta. È solo un problema interpretativo o ci troviamo di fronte a qualcos’altro? Da almeno un secolo e mezzo, cioè dall’età dei risorgimenti nazionali e delle contemporanee o successive spinte nazionalistiche, determinati ambienti politici e culturali cercano di proporre la tesi di un’italianità fiumana artificiale, giunta da altrove, quindi trapiantata, tanto da essere presentata come una sorta di “pianta esotica”.

Per giustificare una presenza che ha plasmato concretamente la città sulla Fiumara, si tirano in ballo addirittura Venezia e i suoi commerci. Quest’ultima, grazie all’influenza esercitata e alla sua forza attrattiva, avrebbe “italianizzato”, in un’accezione assolutamente negativa, la vita sociale dello scalo quarnerino. Gli Italiani residenti, di conseguenza, fin dall’inizio furono considerati estranei a quel contesto, oriundi, approdati colà soprattutto per motivi economici, per praticare i commerci.
Per sostenere una tesi claudicante e maldestra, era doveroso falsificare la vera natura del capoluogo liburnico, occultare le sue peculiarità e presentare la città come croata “ab initio”.


La stessa stampa coeva diffondeva un’immagine contraffatta di Fiume e contribuiva a forgiare l’opinione pubblica, offrendole una messe di argomentazioni manipolate a sostegno delle rivendicazioni avanzate in sede politica. Non erano per niente inusuali le considerazioni sulla “Fiume edificata dai Croati”, per esempio. Non vi era però spazio per la sua dimensione plurale, anche bilingue, non dimentichiamolo, in cui popolazioni romanze e slave nel corso dei secoli si erano intersecate e anche fuse. Tutto ciò era, ed è, volutamente ignorato, perché non giova a certe macchinazioni.
E per dare un’impronta un po’ più credibile, sempre nel periodo delle passioni nazionali, si ritenne opportuno dipingere la classe dirigente fiumana (italiana) come una sorta di sparuta minoranza. 

Quest’ultima sarebbe stata un corpo staccato, il quale, però, avrebbe fagocitato ogni potere e di conseguenza detenuto un’autorità e un prestigio capaci di piegare tutto e tutti alla sua volontà, “opprimendo” la componente croata che avrebbe costituito la maggioranza assoluta della popolazione. Allorché i Fiumani stanchi del dominio croato, iniziato nel 1848, ai primi anni Sessanta di quel secolo decisero di scalzarlo a favore dell’antica autonomia.
Per Ivan Kukuljevi?, membro della Dieta di Zagabria, lo stato di “anarchia” doveva terminare proprio come “il dominio sopra la nazione slava di alcuni italiani colà stabiliti”. In altre parole essi erano visti come dei colonizzatori.
Gli Italiani, allora, avrebbero controllato e sfruttato quell’angolo adriatico nello stesso modo in cui gli Inglesi amministravano l’India. Nulla di più falso! Quel cliché, comunque, era stato accolto senza obiezioni e non pochi furono i sostenitori che alimentarono quell’idea. Erano veramente convinti delle asserzioni che andavano diffondendo o erano in malafede?

Nella Croazia banale può essere comprensibile non si conoscesse appieno la realtà fiumana e quindi fosse più facile diffondere artatamente un’immagine falsa.
Meno chiara è invece la posizione difesa da quanti avevano avuto modo di conoscere la specificità di quel centro urbano. In quel caso si tratta di una palese contraffazione. E come tale dobbiamo considerare le valutazioni dello sloveno Janez Trdina, docente, scrittore e giornalista, che al ginnasio fiumano aveva insegnato per una dozzina d’anni (1855-1867).
Ebbene, questi scrisse che Fiume era stata edificata “dai più puri croati” e che in essa si parlava principalmente il croato. I “signori” avrebbero appreso l’italiano soltanto a scuola e grazie ai rapporti, in primo luogo commerciali, con i Veneziani che dominavano sull’Istria, sulle isole del Quarnero e sulla Dalmazia, mentre successivamente nella città di San Vito si sarebbero trasferite anche numerose famiglie italiane. E alla fine si contraddice, giacché riconosce che “Fiume mai s’era riconosciuta come una città croata”, malgrado fosse, a suo giudizio, “per origine e per sangue più croata di Zagabria”.

Gli intellettuali italiani della regione erano consapevoli delle mistificazioni che sempre più si tentava di far passare per buone. L’istriano Carlo De Franceschi, proprio da Fiume, alla fine del 1860, scrisse all’amico Pietro Kandler: “La nostra storia viene dai Croati invalidata. Secondo loro, croato o slavo è tutto il paese di qua dall’Alpi sino all’Isonzo e più oltre. L’antica Venezia era occupata da Slavi, la moderna città fu fondata in massima parte da emigrati slavi della costa istriana”.
Sembra proprio non siano trascorsi centocinquant’anni, poiché anche nel terzo millennio non è affatto inusitato imbattersi in affermazioni che attingono nientemeno che a tesi anacronistiche che dovrebbero costituire tutt’al più un oggetto di studio storiografico. E poi vi è il “noto” censimento del 1851 curato dalle autorità croate
Nella città liburnica su una popolazione di 12.667 anime, gli Italiani avrebbero costituito poco più del cinque per cento degli abitanti complessivi. I dati, fortemente ambigui, che non svelano, tra l’altro, i criteri utilizzati nel rilevamento, furono dapprima diffusi dalle “Narodne novine” di Zagabria del 1852, successivamente furono divulgati dallo storico Franjo Rački.

Come evidenzia lo storico Attilio Depoli quella percentuale non corrisponderebbe alla reale consistenza numerica della componente italiana, perché non si riferiva alla lingua materna, bensì all’appartenenza politica, per cui tutti i cittadini di Fiume, ivi nati, erano registrati semplicemente come croati, mentre coloro che erano giunti da contesti diversi furono annotati usando un altro parametro.
Depoli scrive, ancora, che il criterio usato fu quello della “natio” cioè della “narodnost”, che corrispondeva all’appartenenza politica dei Fiumani, quindi anche gli Italiani, in quel periodo sudditi della Croazia, erano indicati come Croati, ma “non perché si sentano tali o perché si servano della lingua croata”.
Che si tratti di un’incongruenza è più che evidente; e secondo questa interpretazione una modesta comunità italiana avrebbe detenuto una forza non indifferente e un’influenza notevolissima, in grado di monopolizzare la scena urbana in tutte le sue articolazioni. Successivamente, invece, essa sarebbe aumentata demograficamente conquistando una posizione preminente che avrebbe modificato il carattere slavo di quel territorio.

Il già ricordato Trdina scriveva sul “Pozor” di Zagabria che sino a quel momento, cioè gli anni Sessanta del XIX secolo, alla città di San Vito “era stata imposta la nazionalità italiana”, che i tempi erano ormai cambiati e che la giustizia era prossima a riparare i torti, mentre la “nostra città croata”, finalmente, non avrebbe più “danzato” secondo la “musica” di una ventina di “famiglie forestiere” e alcuni “infami traditori”.

Sono solo fisime. Basti ricordare che il municipio di Fiume, orgoglioso della sua autonomia e difensore dell’italianità linguistica e culturale, intesa come elemento imprescindibile, da conservare in quanto patrimonio della sua specifica identità, mosse dura battaglia a coloro che erano intenti a croatizzare la città. Quella presa di posizione non passò inosservata e fu registrata anche dal barone du Règne, agente consolare francese nella città liburnica, in un rapporto a Touvenel, ministro degli esteri di Napoleone III.
La “Gazzetta di Fiume”, il 17 gennaio 1861, caldeggiava l’autonomia cittadina nonché “(…) il bisogno lampante come la luce del sole di conservarle la lingua italica come quella che realmente prepondera nel paese; ed è egualmente naturale che il Pozor ed i suoi allucinanti corrispondenti, nei momenti di parossismo si facciano a bandire l’ostracismo contro la lingua italiana, ostracismo che vorrebbero estendere addirittura anche su tutti quelli che la parlano. Ma si calmino questi signori, ed apprendano che questa lingua è quella dei fiumani, che ereditarono dai loro padri, nonni, e bisavoli, e che nella stessa guisa che la parlano attualmente la parleranno e scriveranno anche in appresso, rispettando sempre come è di dovere la lingua slava in miglior modo che non facciano i loro avversari di contro all’idioma italico qui preponderante”.

Da questo passo si evince altresì che la convivenza non era una parola vuota, ma qualcosa di concreto, un valore da rispettare. Anche di fronte all’evidenza si tende ancora ad occultare la verità storica, e recentemente lo storico dell’arte Igor Žic ha nuovamente ribadito che nel periodo austro-ungarico, Fiume sarebbe stata abitata solo da Croati i quali parlavano l’italiano.
Tante acrobazie pur di non ammettere l’esistenza concreta della collettività italiana autoctona su quei lidi. Vi erano certamente croati che usavano correntemente e correttamente l’italiano, ma costituivano solo un tassello di quella società plurale che ancora non si vuole riconoscere e rappresentare com’era. Stendiamo un velo pietoso.

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