giovedì 19 ottobre 2023

UMBERTO SABA

Pseudonimo del poeta Umberto Poli (Trieste 1883 - Gorizia 1957); di famiglia ebraica dal lato materno, fu avviato agli studî commerciali, e fu per lunghi anni direttore e proprietario di una libreria antiquaria a Trieste. I suoi primi versi risalgono al 1900 ma il primo libro, Poesie, è del 1911. Ne seguono molte altre.


La sua poesia, autobiografica proprio nel senso di intimo diario e confessione, è di un tono medio, fra il cantato e il parlato, fra l'aulico e il popolaresco, fra l'alta lirica (dai vaghi echi leopardiani) e la canzonetta: conforme al suo gusto, educato sui classici ma arricchito dai lieviti del romanticismo germanico e slavo, scaltrito dalla lezione della poesia dialettale veneta, e insieme sensibile alle suggestioni della psicanalisi. E se la conciliazione di queste varie componenti, e dei diversi modi, non avviene senza dissonanze, e la tendenza di Saba a tradurre quella confessione o introversione in "racconto" dà luogo a frequenti cadenze prosastiche (temperate peraltro, nelle ultime poesie, da una certa concisione epigrammatica), è anche vero che, per la profonda umanità del suo impegno e per la schiettezza della vena lirica, la sua opera si colloca tra le maggiori della poesia contemporanea.

«Io non sono stato un poeta triestino, ma un poeta italiano, nato, nel 1883, in quella grande città italiana che è Trieste. Non so nemmeno se – dal punto di vista dell’igiene dell’anima – sia stato per me un bene nascere con un temperamento classico in una città romantica; e con un carattere (come quello di tutti i deboli) idillico, in una città drammatica. Fu un bene – credo – per la mia poesia, che si alimentò di quel contrasto, e un male per la mia – diciamo così – «felicità di vivere». Comunque, il mondo io l’ho guardato da Trieste: il suo paesaggio, materiale e spirituale, è presente in molte mie poesie e prose, pure in quelle – e sono la grande maggioranza – che parlano di tutt’altro e di Trieste non fanno nemmeno il nome.

Del resto, io non credo né alle parole né alle opere degli uomini che non hanno le radici profondamente radicate nella loro terra: sono sempre opere e parole campate in aria

Discorso pronunciato in occasione dei festeggiamenti per il settantesimo compleanno al Circolo della cultura e delle arti, 19 ottobre 1953

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