lunedì 9 ottobre 2023

Rendere Trieste slava: pulizia etnica e tentata slavizzazione di Trieste


Contrariamente alle moderne interpretazioni politicamente corrette e revisioniste che vogliono dipingere Trieste come un “crogiolo” di culture e popoli diversi, la città di Trieste non è — e non è mai stata — una città “multiculturale” o “multietnica”, e nemmeno un “crocevia culturale”. Dalla sua fondazione nel II secolo a.C. come città romana, attraverso il Medioevo e il Rinascimento fino ai giorni nostri la lingua, la cultura e la composizione etnica che in ogni epoca caratterizzano Trieste è sempre stata quella latina e italiana.

Nel XIX secolo l'Italia combatté tre guerre d'indipendenza contro l'Austria, e di conseguenza i due popoli divennero acerrimi nemici. Per questo gli austriaci adottarono una politica di snazionalizzazione nei confronti dei sudditi italiani, e Trieste divenne uno dei principali obiettivi degli attacchi. Il governo asburgico tentò consapevolmente di slavizzare la città di Trieste e di sostituire la popolazione autoctona italiana. Fu durante questo periodo che Trieste assistette a un afflusso significativo di immigrati slavi e visse grandi ostilità contro gli abitanti italiani. Fu proprio questa politica anti-italiana che fece sì che Trieste diventasse uno dei principali centri dell'irredentismo italiano, cioè del movimento per l'unificazione all'Italia di tutte le terre italiane.


Breve storia: dalle origini al medioevo

In epoca preistorica il territorio dell'odierna Trieste era abitato dal popolo italico dei veneti. Nel 178-177 a.C. la zona passò sotto il dominio romano. La città di Trieste fu fondata dai Romani nel 128 a.C. che le diedero il nome Tergeste o Tergestum, da cui deriva l'attuale toponimo Trieste. Fu colonia romana, insediata da popolazioni italiche provenienti da altre parti d'Italia. Dal I secolo a.C. la città di Trieste fece parte dell'Italia, essendo inserita nella Regio X Venetia et Histria, decima regione d'Italia. Trieste fiorì nell'antichità ma rimase sempre adombrata dalla vicina Aquileia, capoluogo della decima regione.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476, la città di Trieste entrò a far parte del Regno d'Italia sotto i barbari ma fu governata secondo il diritto romano. Nel VI secolo entrò a far parte dell'Esarcato d'Italia, in cui rimase fino al 751. Nell'VIII secolo Trieste entrò a far parte del Regno d'Italia e tale rimase per diversi secoli. A partire dal X secolo divenne autonomamente governata dai conti-vescovi italiani di Trieste, allora ancora feudatari dipendenti dal Regno d'Italia. A questo punto va notato che Trieste faceva ormai parte dell'Italia da un millennio. Nei secoli successivi fu contesa tra la Repubblica di Venezia e il Patriarca di Aquileia. In più occasioni Trieste giurò fedeltà a Venezia ma alla fine rifiutò il dominio veneziano. Nel 1382 la città di Trieste accettò formalmente di diventare un protettorato della Casa d'Asburgo, in cambio del quale gli Asburgo garantirono che avrebbero riconosciuto e rispettato l'autonomia di Trieste.

Certi revisionisti slavi hanno tentato di sostenere che, poiché Trieste era suddita asburgica e nel Medioevo resiste al dominio veneziano, ciò significa quindi che la città non era italiana. Ma tale argomentazione è assurda e fallace dal punto di vista storico. Durante il Medioevo, quando l'Italia si divise in diversi stati, furono numerosi gli stati italiani che combatterono contro altri stati italiani in quelle che già allora venivano definite guerre fratricide, e talvolta strinsero anche alleanze con stati stranieri per mantenere o espandere il proprio potere e sconfiggere i nemici politici. Anche i comuni italiani si contesero tra loro, il che spesso portò a guerre tra città rivali, come quelle tra Como e Milano, Firenze e Milano, Firenze e Siena, Genova e Pisa, Genova e Venezia, Venezia e Aquileia, Venezia e Milano, e appunto Venezia e Trieste. Non diversamente dalle città e dagli stati tedeschi che spesso combatterono guerre contro altre città e stati tedeschi, proprio come le antiche città-stato elleniche combatterono tra loro.

In poche parole, nel 1382 il governo comunale di Trieste preferì mantenere un proprio governo autonomo come suddito degli Asburgo, piuttosto che entrare a far parte della Repubblica di Venezia o del Principato patriarcale di Aquileia e perdere del tutto la propria indipendenza e potere di governo. Si trattò semplicemente di una decisione di carattere politico da parte di un governo comunale che desiderava conservare l'autonomia comunale. Ciò non significa che Trieste non fosse una città italiana. Indipendentemente da a chi si sottomettesse, Trieste era comunque una città etnicamente, culturalmente, linguisticamente e geograficamente italiana con un governo italiano.

Inoltre, nel 1383 e nel 1384, subito dopo che il governo di Trieste rinunciò ai legami con Venezia e giurò fedeltà ai duchi d'Austria, scoppiarono in città moti popolari antiasburgici che dovettero essere repressi con la forza. Evidentemente risultò piuttosto impopolare tra la gente comune la decisione del governo comunale di abbandonare Venezia e sottomettersi agli Asburgo.

È importante notare, tuttavia, che in quei secoli Trieste non era “governata dagli austriaci”, né era propriamente sotto il “dominio asburgico”, come spesso viene erroneamente affermato oggi, e come in malafede sostenevano anche gli stessi imperialisti asburgici nel XIX secolo allo scopo di giustificare il dominio diretto austriaco. Nei secoli successivi al 1382 Trieste rimase una città autonoma; i duchi asburgici si limitarono a fungere da protettori o garanti dell'autonomia di Trieste (ridotta solo nei secoli successivi), in cambio i triestini dovettero pagare un tributo annuale, dazi, mude, gabelle, dogane, e altre esazioni. Non furono dunque gli austriaci a governare né a controllare la città: lo fece l'amministrazione locale italiana.


L'arrivo degli sloveni

Gli sloveni vengono tradizionalmente definiti “un popolo senza storia”. Per gran parte della loro storia gli sloveni furono analfabeti ed estremamente insulari, vissero principalmente come contadini in remoti villaggi dell'entroterra, lontani dalle città, e non ricoprirono alcun ruolo attivo nella vita politica o culturale. Non avevano mai avuto uno Stato proprio, e neanche una propria cultura; tra gli sloveni non c'erano costumi borghesi, né tradizioni commercianti, né ceti artigiani, né classi organizzate di professionisti, né intellettuali, né una storia distinta e unicamente loro. Esistevano bensì come una minoranza provinciale poco appariscente e insignificante che abitava nell'ambito dei Paesi di altri popoli (ovvero italiani e tedeschi) di cui condivisero sempre le sorti.

Per secoli italiani e sloveni vissero generalmente in pace ma separati gli uni dagli altri. Questa realtà cominciò però a mutare a partire dal XIX secolo, soprattutto durante il periodo dell'Impero austro-ungarico. In questo periodo il governo austriaco istituì scuole di lingua slovena, favorì l'immigrazione di slavi nelle città italiane e tentò di instillare nelle masse di contadini sloveni poco istruiti le idee del nazionalismo e del panslavismo, allo scopo di incitarle contro la popolazione italiana (allora antiaustriaca e desiderosa di liberarsi dal dominio asburgico. Ciò portò a tensioni etniche e provocarono i primi conflitti tra la popolazione italiana e quella slovena.

I presunti antenati degli sloveni fecero le prime incursioni nel territorio italiano all'inizio del VII secolo quando orde di slavi invasero e saccheggiarono l'Istria. Per tutto il VII secolo gli slavi continuarono a compiere incursioni e attacchi, ma fino al IX secolo non stabilirono insediamenti stabili nel territorio dell'odierna Italia. Tentarono di espandersi nel Ducato del Friuli all'inizio dell'VIII secolo, ma furono respinti nel 720 dopo essere stati sconfitti in una battaglia a Lauriana, località di incerta individuazione situata nei pressi dell'attuale confine italo-sloveno. Nel 776 il Re d'Italia creò la Marca del Friuli, una marca di frontiera a carattere difensivo del Regno d'Italia istituita proprio allo scopo di impedire ulteriori incursioni degli Slavi nel territorio italiano. Per lo stesso motivo nel 799 venne creata la Marca d'Istria.

Tra il IX e l'XI secolo, dopo la conversione degli slavi al cristianesimo da parte di missionari italiani, i signori italiani permisero a intermittenza la migrazione di piccoli numeri di slavi nelle campagne del Friuli orientale e della Venezia Giulia. Molto lenta e graduale fu invece l'immigrazione slava verso Trieste; lo dimostra il fatto che le più antiche tombe slave nel Carso risalgono solo ai secoli IX e X, mentre i primi nomi slavi nel Carso triestino non compaiono fino al 1234.

Gli slavi immigrarono nelle campagne fuori Trieste solo a partire dal XIII secolo: gli slavi arrivarono prima nei villaggi di Longera nel 1234 e di Santa Croce nel 1260, nei villaggi di Basovizza e San Giuseppe della Chiusa nello stesso secolo, e nel paesino di Prosecco nel XIV secolo. Da uno studio onomastico di Attilio Tamaro risulta che nel XIV secolo, su 62 toponimi del Triestino, 58 erano di origine italiana, mentre erano soltanto quattro quelli di origine slava (Basovizza, Berda, Opicina e forse Rismagna, ovvero l'odierno San Giuseppe della Chiusa).

L'immigrazione slava verso i villaggi rurali nei dintorni di Trieste continuò dopo il 1382, quando Trieste divenne un protettorato asburgico, con l'arrivo degli slavi nel villaggio di Contovello avvenuto nel 1413. Per quanto riguarda la città vera e propria, non ci sono prove documentali che qualche singolo slavo vivesse a Trieste prima del XIII secolo, mentre non c'è traccia di una consistente popolazione slava nella città di Trieste fino al XIX secolo.


La lingua di Trieste

La lingua originaria di Trieste, naturalmente, era il latino, che nel corso dei secoli si è evoluto organicamente in un dialetto detto tergestino, dialetto ladino. Questo dialetto, talvolta chiamato nei documenti storici friulano, fu per diversi secoli parlato dalla popolazione triestina.

Nel 1719 Trieste divenne porto franco e conobbe un'enorme crescita demografica. Da una piccola cittadina costiera di soli 3.000 abitanti all'inizio del XVIII secolo, crebbe rapidamente a più di 134.000 abitanti all'inizio del XX secolo. Di conseguenza, il dialetto locale di tergestino si estinse nel XIX secolo e fu sostituito dal triestino, un dialetto veneto. Così un dialetto italiano fu sostituito con un altro. Mai nella storia la lingua di Trieste è stata slava. La lingua slava storicamente era parlata solo da una minoranza di immigrati slavi delle campagne, mentre il tedesco era parlato da una minoranza di aristocratici austriaci stranieri residenti in città.

Nel 1523, quando la Cancelleria imperiale consegnò a Trieste un atto scritto in tedesco, il governo della città lo rimandò con allegato il seguente messaggio scritto in latino:

« Nos cum latini simus, linguam ignoramus theutonicam. »
(“Siamo latini, non conosciamo la lingua tedesca.”)

Nel 1524, l'anno successivo, la città rispose nuovamente alla Cancelleria imperiale con ancora maggiore orgoglio e dispiacere:

« Quia civitas Tergestina est in finibus et limitibus Italiae; omnes civis et ibidem oriundi habent proprium sermonem et idioma Italicum per linguam maternam. »
(“La città di Trieste si trova entro i confini dell'Italia. Tutti i cittadini hanno la stessa origine; la nostra lingua è la madrelingua italiana.”)
Giacomo Filippo Tomasini, vescovo di Cittanova d'Istria, annotò nel XVII secolo che:

La lingua di questi abitanti [di Trieste] è forlana corotta; e vi sono molti che usano la lingua slava e la tedesca ma non sono quivi naturali.”

Sebbene il dialetto originario di Trieste fosse imparentato con il friulano, la lingua del diritto, dell'amministrazione, della letteratura, dell'istruzione e della vita culturale — dopo il latino — era l'italiano, basato sul fiorentino, come lo era in quasi tutte le altre città e stati italiani a partire dal XIV secolo. Gli Statuti di Trieste (1550) furono originariamente scritti in latino, ma poi pubblicati in italiano (1625) da Antonio Turini, il primo tipografo triestino.

Tra il 1784 e il 1787 l'imperatore Giuseppe II dichiarò il tedesco l'unica lingua dell'amministrazione statale e dei procedimenti giudiziari nei territori asburgici. Questa direttiva, però, evidentemente non venne attuata nella città di Trieste, vuoi per speciale esenzione, vuoi semplicemente per averla ignorata, poiché dall'Archivio di Stato di Trieste risulta che l'italiano rimase la lingua dominante a Trieste sia durante che dopo il regno di Giuseppe II.

Fino alla seconda metà dell'Ottocento a Trieste mancano completamente i documenti in lingua slovena, a dimostrazione del fatto che lo sloveno fu mai una lingua giuridica o amministrativa. Inoltre, gli atti giudiziari in lingua slovena cominciano a comparire in numero rilevante solo a partire dal periodo compreso tra il 1890 e il 1918. Non a caso, ciò coincide con il periodo di immigrazione di massa degli sloveni a Trieste, favorita dal governo asburgico, di cui si parlerà più avanti.

Nonostante i cinque secoli trascorsi sotto gli Asburgo e l’ondata migratoria slovena a cavallo del XX secolo, la lingua di Trieste è rimasta sorprendentemente coerente per tutta la sua esistenza: la lingua giuridica, amministrativa, letteraria, educativa e culturale fu prima il latino, poi l'italiano, mentre la lingua parlata dalla popolazione generale fu inizialmente il latino, seguito dai dialetti locali italiani derivati dal latino. Nella storia di Trieste né il tedesco né lo slavo conobbero mai una diffusione notevole, e certamente non godettero di ufficialità.


Perdita di autonomia e processo di de-italianizzazione

Si può rintracciare il processo di de-italianizzazione di Trieste almeno a partire dal 1813, anno in cui Trieste fu restituita agli Asburgo dopo una breve occupazione da parte di Napoleone. Gli Asburgo rifiutarono di riconoscere l'antica autonomia di Trieste, disattendendo e violando palesemente l'accordo con il quale Trieste era diventata un protettorato asburgico nel 1382. Subito dopo la Restaurazione iniziò il sottile processo di slavizzazione: il sacerdote giansenista e nazionalista sloveno Matteo Ravnikar (detto anche Matteo Raunicher), fu nominato vescovo di Trieste e Capodistria dall'imperatore Francesco II nel 1831, diventando così il primo vescovo sloveno di queste due città la cui popolazione era totalmente italiana. Ravnikar trascorse tutta la durata del suo episcopato sostenendo l'istituzione della lingua slava nelle regioni italiane dell'Impero.

Finalmente nel 1860 venne ripristinata l'autonomia, che però era ormai molto limitata rispetto ai secoli passati. Nel corso degli anni successivi l'autonomia di Trieste continuò ad essere progressivamente ridotta dalle politiche di centralizzazione degli austriaci. Essendo diventata la quarta città più grande dell'Impero austriaco (dopo Vienna, Budapest e Praga), e in seguito il principale porto e il primo sbocco dell'Impero austro-ungarico sull'Adriatico e sul Mediterraneo, gli Asburgo cercarono un controllo sempre più soffocante sull'amministrazione e sull'economia della città.

Trieste infatti era diventata così importante per l'economia dell'Austria e dell'Europa Centrale che nel periodo della Prima guerra mondiale i sostenitori dell'Impero austro-ungarico addussero l'importanza economica di Trieste (prima dello scoppio della guerra, dal porto di Trieste transitava il 27% di tutto il traffico commerciale austriaco, secondo solo a quello di Amburgo) come uno degli argomenti principali per cui gli austriaci avrebbero dovuto mantenere il possesso di Trieste, sostenendo che da essa dipende in parte la continua ricchezza e prosperità dell'Impero asburgico, cosa che secondo loro giustificherebbe di per sé il continuo sfruttamento e dominio degli austriaci sulla città adriatica.


Intensificazione del processo di de-italianizzazione

L'Italia nel XIX secolo era uno dei principali nemici dell'Austria e la monarchia danubiana era fermamente decisa ad annientare il movimento risorgimentale italiano che rappresentava una minaccia al dominio austriaco nelle terre abitate da italiani. Il 12 novembre 1866, tre mesi dopo la terza guerra d'indipendenza italiana contro l'Impero austriaco, l'imperatore Francesco Giuseppe ordinò ufficialmente la slavizzazione forzata dei territori etnicamente italiani ancora sotto il dominio imperiale, compresa Trieste:

Sua maestà ha espresso il preciso ordine di opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronländer, e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione — a seconda delle circostanze — delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo, mediante un adeguato affidamento di incarichi a magistrati politici ed insegnanti, nonché attraverso l'influenza della stampa in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico.”

(„Se. Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, dass auf die entschiedenste Art dem Einflüsse des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elementen entgegentreten durch geeinignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichtsbeamten, Lehrern sowie durch den Einfluss der Presse in Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande auf die Germanisierung oder Slawisierung der betreffenden Landesteile je nach Umständen mit aller Energie und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde.“)
In tutti i territori di lingua italiana gli austriaci attuarono una politica di slavizzazione forzata (slovenizzazione o croatizzazione, a seconda delle regioni; a Trieste in genere attuarono una politica di slovenizzazione). Aprirono scuole slave, nominarono slavi nei tribunali e nelle cariche governative e imposero la lingua slava; nello stesso tempo chiusero le scuole italiane, sciolsero le associazioni culturali italiane, proibirono e bruciarono i giornali italiani, destituirono gli italiani dalle cariche politiche e li sostituirono con slavi, e per un breve periodo bandirono addirittura la lingua italiana dalla Dieta istriana.

Si registrarono molti casi di violenza slava contro la popolazione italiana. I cognomi italiani furono slavizzati con la forza, le elezioni politiche furono truccate e i registri battesimali furono falsificati. Anche il clero italiano e la gerarchia ecclesiastica nei territori italiani furono sostituiti con preti e vescovi slavi, spesso anti-italiani, sostenitori del nazionalismo slavo e fedeli alla monarchia asburgica. In accordo con questa politica, il sacerdote nazionalista croato Juraj Dobrila, già nominato vescovo di Parenzo e Pola dall'imperatore Francesco Giuseppe, nel 1875 fu nominato anche vescovo di Trieste e Capodistria, divenendo così il primo vescovo croato di queste due città italiane.

Gli italiani furono inoltre sottoposti a frequenti incursioni della polizia e arresti di massa con l'accusa di “attività criminale”, semplicemente per aver distribuito giornali o opuscoli filo-italiani che furono rigorosamente censurati e vietati dal governo austriaco. Coloro che si opposero alle politiche anti-italiane degli Asburgo o sostenevano l'unificazione italiana furono spesso costretti all'esilio per evitare la prigione.

Oltre a ciò, nonostante la sua autonomia fosse stata precedentemente ripristinata, l'amministrazione di Trieste era ormai in gran parte rilevata da funzionari tedeschi, anche se di italiano c'erano ancora i sindaci e i capitani provinciali nonché la lingua ufficiale. Tuttavia, la lingua italiana non fu più consentita nelle scuole statali dal nuovo governo austro-tedesco, malgrado quasi tutta la popolazione fosse italiana, e, per di più, il governo austriaco fece ogni sforzo per impedire la fondazione di un'università italiana a Trieste.


Massacro del 1868

In seguito al rigetto da parte del governo austriaco di una petizione firmata da 5.858 cittadini triestini per chiedere il diritto all'uso della lingua italiana nelle scuole statali, gli italiani organizzarono manifestazioni nelle principali vie di Trieste. Tra il 10 e il 12 luglio 1868 scoppiarono atti di violenza contro gli italiani quando ufficiali austriaci attaccarono la folla. Durante gli scontri, militari sloveni arruolati nell'esercito austriaco pugnalarono e uccisero il giovane studente Rodolfo Parisi e due operai triestini di nome Francesco Sussa e Niccolò Zecchia. Il giovane Parisi fu pugnalato ventisei volte con le baionette. Nelle violenze rimasero gravemente feriti anche quasi altri duecento italiani.


Tentativo di assassinio e rivolta delle tabelle bilingui

Nel 1848, quando le regioni italiane dell'Impero Austriaco si ribellarono agli Asburgo, Trieste fu l'unica grande città italiana a non prendere parte ai moti insurrezionali. Per questo l'imperatore Francesco Giuseppe ritenne Trieste un suddito leale e la soprannominò «Città fedelissima». Forse nel 1848 era così, ma non lo sarebbe rimasta a lungo. Gli austriaci maltrattarono Trieste almeno dal 1813, anno in cui le fu revocata l'autonomia, motivo di crescente risentimento. E dal 1866 in poi la politica austriaca di asfissia amministrativa e di slavizzazione divenne sempre più intollerabile sia per i funzionari locali che per i cittadini triestini. Tra la popolazione italiana crebbe così di giorno in giorno l'odio popolare verso gli Asburgo.

Nel 1882, quando l'imperatore Francesco Giuseppe visitò Trieste per commemorare il cinquecentenario della cosiddetta dedizione della città alla Casa d'Asburgo, fu accolto con manifestazioni anti-austriache. La politica antiitaliana dell'Imperatore suscitò un tale malcontento tra gli italiani che durante la sua visita a Trieste riuscì a malapena a sfuggire all'assassinio per mano del patriota italiano Guglielmo Oberdan, triestino, e del complice Donato Ragosa, farmacista istriano.

Oberdan fu giustiziato per alto tradimento il 20 dicembre 1882. Pochi istanti prima della sua esecuzione gridò le parole “Viva l'Italia, viva Trieste libera, fuori lo straniero!”. L'Imperatore rimase talmente scosso dagli avvenimenti che non mise mai più piede a Trieste.

Nel 1894 il comune di Pirano, città istriana allora abitata quasi interamente da italiani, si ribellò dopo che tabelle in lingua slava furono, per la prima volta nella storia dell'Istria, introdotte a forza presso le sedi dei tribunali dagli austriaci. Anche la città di Trieste prese poi parte alla rivolta, nota come Rivolta di Pirano ovvero Rivolta delle tabelle bilingui, che fu repressa con la forza dal governo austriaco con l'ausilio di baionette croate. L'anno successivo, il governo austriaco proibì a Trieste di erigere una targa commemorativa della rivolta sulla quale era scritto:

Il giorno 2 novembre 1894 qui convennero i podestà e i delegati dell'Istria a riaffermare che umano potere non cancella venti secoli di vita latina.”


Università di Trieste e fatti di Innsbruck

Dal 1866, anno in cui il Veneto fu unito all'Italia, i sudditi italiani dell'Impero Austro-Ungarico furono privati delle proprie università in lingua italiana e furono quindi costretti a frequentare università austro-tedesche come quelle di Vienna, Innsbruck e Graz. Per decenni gli italiani cercarono di istituire un'università italiana a Trieste, ma la politica inflessibile delle autorità austro-ungariche fu quella di un'implacabile opposizione alla fondazione di qualsiasi università italiana, per paura che la creazione di scuole italiane di istruzione superiore favorisse un più stretto rapporto tra il Regno d'Italia e le regioni italiane sottoposte all'Impero.

Nel 1904 il governo austriaco, con riluttanza, scese a compromessi e concesse l'istituzione di una facoltà provvisoria di giurisprudenza in lingua italiana presso l'Università di Innsbruck, nella speranza che la concessione mitigasse le richieste italiane per un'università a Trieste. Centinaia di italiani provenienti dalle province italiane dell'impero austro-ungarico — ovvero Venezia Giulia, Dalmazia e Trentino — si recarono a Innsbruck per assistere all'inaugurazione, ma inconsapevolmente caddero in una trappola. Il 4 novembre 1904, alla cerimonia di inaugurazione a Innsbruck, gli studenti pangermanisti austriaci insorsero e attaccarono studenti e professori italiani.

In tutta la città scoppiò un pogrom contro gli italiani; la facoltà italiana di giurisprudenza, negozi e alberghi furono saccheggiati e distrutti. In inferiorità numerica di cento a uno, gli italiani dovettero essere evacuati dalla città dopo l'intervento militare dei Kaiserjäger. Le vittime furono un morto e decine di feriti (anche se secondo quanto riportato da Il Giornaletto di Pola le vittime furono 2 morti, 52 feriti). La stampa austriaca riportò falsamente che furono gli italiani a fomentare i disordini sparando sulla folla di studenti tedeschi.

Ben presto si scoprì però che i fatti anti-italiani erano stati pianificati in anticipo dai nazionalisti tedeschi con la complicità della polizia e del governo locale di Innsbruck, tutti contrari all'apertura di una facoltà italiana. In aggiunta, la vicenda servì come conveniente pretesto per arrestare 138 italiani che per diverse settimane furono detenuti con false accuse.

Il 5 novembre 1904, il giorno successivo agli scontri, scoppiò un tumulto al Politeama Ciscutti, nella città istriana di Pola. I presenti, inferociti, gridò: “Abbasso i barbari di Innsbruck! Evviva l'università italiana a Trieste! Evviva Pola italiana!” e cantarono l'inno popolare «Viva Dante!», futuro inno della Lega Nazionale. Anche a Trieste, il 7 novembre 1904, scoppiò una imponente dimostrazione di protesta per i fatti di Innsbruck, alla quale prese parte ogni ordine di cittadino. Da parte del governo austriaco rimase categoricamente vietata ai triestini la fondazione di un'università, che non sarebbe avvenuta fino al 1924, dopo che Trieste entrò a far parte del Regno d'Italia.


I decreti Hohenlohe

Nell'agosto del 1913, alla vigilia della prima guerra mondiale, il principe Konrad Hohenlohe, governatore generale austriaco di Trieste, emanò diversi decreti con i quali tutti i cittadini italiani (“regnicoli”) venivano allontanati dalle cariche pubbliche ed esclusi dal servizio civile, con l'obiettivo di recidere i forti legami politici, culturali e sociali tra Trieste e l'Italia. In questo periodo l'Impero austro-ungarico e il Regno d'Italia erano ormai da decenni uniti in un'alleanza formale, la Triplice Alleanza, ciò non impedì però al governo austriaco di perseguitare sudditi italiani e di violare sia lo spirito che la lettera dell'alleanza.

Già nei decenni precedenti gli italiani venivano esclusi dall'impiego nel settore civile (ferrovie, poste e altri enti statali) da parte delle autorità austriache che riservavano questi posti di lavoro quasi esclusivamente agli immigrati sloveni, impedendo così agli italiani di trovare lavoro nella propria città. Il principe Hohenlohe non fece altro che ufficializzare una politica che già da diversi anni il governo austriaco praticava segretamente.

I decreti Hohenlohe provocarono indignazione pubblica, manifestazioni e condanne sui giornali italiani. In Italia i decreti furono considerati un atto di ostilità da parte dell'Austria, cosa che contribuì ulteriormente all'atteggiamento negativo della popolazione e del governo italiano nei confronti dell'Austria nei mesi precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale.


Il tentativo di sostituzione etnica degli italiani

Il governo austriaco tentò anche una pulizia etnica mediante la colonizzazione interna. Le autorità austriache, nel tentativo di slovenizzare la città italiana e soppiantare la popolazione italiana nativa, incoraggiarono gli immigrati slavi a migrare in massa a Trieste.

Nel 1810 la città di Trieste contava solo 29.908 abitanti, praticamente tutti italiani con solo una minuscola e del tutto irrilevante quantità di minoranze. L'entroterra oltre la città ospitava ulteriori 8.078 persone per una popolazione provinciale complessiva di 37.986. Ma entro il 1910 la popolazione di Trieste e del suo entroterra registrava quasi 230.000 persone ed era per il 24% slava, almeno secondo il censimento austro-ungarico del 1910.

È ormai dimostrato da tempo che i dati del famigerato censimento del 1910 furono in vario modo manipolati e falsificati dal governo austro-ungarico (a favore degli slavi e contro gli italiani) e pertanto non sono da ritenersi attendibili. Se comunque si deve ritenere attendibili i dati del censimento, risulta che nel giro di un solo secolo, dal 1810 al 1910, la popolazione di Trieste e dei suoi dintorni si è quasi sestuplicata, cioè è cresciuta di sei volte, ed è diventata quasi un quarto slovena, sebbene secondo lo stesso censimento gli italiani rimanessero ancora la maggioranza assoluta.

Già nel 1886 il governo locale di Trieste aveva emesso formale denuncia in cui condannava i tentativi del governo centrale austriaco di distruggere l'italianità della città. Il 29 dicembre 1886 il Consiglio Comunale di Trieste dichiarò:

Il Consiglio della città ravvisa nel complesso di codesti atti una manifesta opera di propagazione dello slavismo, non compatibile coll'ufficio della Curia vescovile, dannosa alle nostre scuole, del pari che alla religione ed al governo della publica cosa, ingiusta verso i giovani italiani che si vogliono dedicare alla professione sacerdotale, pericolosa alla pace ed al benessere della città, offesa gravissima al carattere nazionale del paese, al sentimento de' suoi abitanti ed alle forme del secolare suo incivilimento. Epperò il Consiglio della città altamente protesta contro il complesso di codesti atti, e nel mentre si riserva di provvedere entro il limite dei mezzi e delle sue attribuzioni, incarica l'illustrissimo sig. Podestà di dar atto della presenta risoluzione tanto all'i. r. Governo.”

Nel 1869 la città di Trieste contava 70.274 abitanti ed era italiana per lingua, cultura e composizione etnica. Entro il 1910 la popolazione della città era più che raddoppiata a 160.993 persone, di cui solo il 47,71% era nato a Trieste. La maggior parte dei nuovi arrivati erano migranti economici e contadini originari delle campagne.

Nel 1880 la città di Trieste contava 74.544 abitanti, di cui 67.995 italiani (91,2%) e solo 2.817 (3,7%) sloveni. Ciò significa che nei tre decenni tra il 1880 e il 1910 la popolazione slovena a Trieste è aumentata ad un tasso senza precedenti del 623%.

Anche nel decennio tra il 1900 e il 1910 si può osservare un cambiamento demografico impressionante. Secondo il censimento austro-ungarico nel 1900 la popolazione totale di Trieste e del suo entroterra provinciale era di 178.599 abitanti, di cui 116.825 (65%) italiani e appena 24.679 (13,8%) sloveni, mentre il resto della popolazione era suddiviso tra minoranze minori come ebrei, greci, serbo-croati e funzionari austro-tedeschi.

Nella città propriamente detta la popolazione, sempre nel 1900, era composta da 134.143 persone: gli italiani erano 95.230 (70,9%) mentre gli sloveni erano soltanto 5.017 (3,7%).

La reale percentuale di italiani presenti nella città di Trieste nel 1900 sarebbe in realtà dell'87,1% se si includessero i 21.699 residenti italiani originari del Regno d'Italia, che nel censimento furono per motivi politici classificati separatamente come “regnicoli”. Dai dati dei censimenti furono sempre esclusi i cittadini italiani (ovvero “regnicoli”) provenienti dal'Italia ma residenti a Trieste, mentre furono invece sempre inclusi nei dati i migranti sloveni provenienti da altre regioni dell'Impero austriaco. Fu proprio questo uno dei tanti modi in cui le autorità austro-ungariche manipolarono le statistiche demografiche allo scopo di rafforzare superficialmente il numero degli slavi e, allo stesso tempo, ridurre artificialmente il numero degli italiani. Anche escludendo però i cosiddetti “regnicoli”, la popolazione italiana non regnigola nel 1900 era comunque ancora pari al 70,9% e quella slovena solo al 3,7%.

Tuttavia, solo 10 anni dopo, nel 1910 — sempre secondo il censimento austro-ungarico — la popolazione complessiva di Trieste e della sua provincia crebbe da 178.599 a 229.510, ovvero un aumento di oltre 50.000 persone in un solo decennio, la maggior parte dei quali slavi, e più precisamente sloveni. Nello stesso decennio la popolazione italiana della città scese dal 70,9% nel 1900 al 59,4% nel 1910 (va notato però che il dato reale degli italiani nel 1910 sarebbe del 76,8% se non si escludessero i 27.924 regnicoli italiani). Intanto, la popolazione cittadina di origine slovena quadruplicò, passando da appena 5.017 (3,7%) nel 1900 a 20.358 (12,6%) nel 1910.

Nel 1914 la popolazione totale di Trieste e dintorni era di 244.655. Ciò rappresenta un ulteriore aumento significativo di 15.000 abitanti in soli quattro anni. Ma nello stesso anno ci furono 4.813 morti e solo 6.434 nascite, a dimostrazione che gran parte della crescita demografica era dovuta all'arrivo di nuovi immigrati.

Di seguito i dati demografici secondo i censimenti austro-ungarici, compresi i regnicoli:

Città di Trieste (distretti urbani):
1880: Italiani 67.995 (91,2%); Sloveni 2.817 (3,7%)
1900: Italiani 116.929 (87,1%); Sloveni 5.017 (3,7%)
1910: Italiani 123.654 (76,8%); Sloveni 20.358 (12,6%)
Trieste e dintorni (città e dintorni insieme):
1900: Italiani 138.524 (77,5%); Sloveni 24.679 (13,8%)
1910: Italiani 148.398 (64,6%); Sloveni 56.916 (24,7%)

Se si crede ai censimenti austro-ungarici, le statistiche rivelano chiaramente un tasso elevatissimo di immigrazione slovena verso Trieste negli anni precedenti la prima guerra mondiale, il che è del tutto coerente con il piano austriaco di sostituire la popolazione italiana e slovenizzare la città. La composizione etnica di Trieste mutò radicalmente poiché gli italiani passarono dal 91,2% nel 1880 al 76,8% nel 1910. È evidente che la città di Trieste fu allora oggetto di una sommersione intenzionale da parte di una marea apparentemente infinita di migranti slavi provenienti dalle altre regioni dell'Impero, sotto la direzione del governo austriaco.

Nel 1911, in una conferenza di insegnanti slavi, il massimo politico austro-sloveno Otokar Rybar riconobbe i rapidi mutamenti demografici e arrivò addirittura a proclamare che:

Nell'arco di trent'anni la città perderà la sua impronta esteriore italiana.”

In realtà, gli slavi per raggiungere questo obiettivo avevano ancora molta strada da fare. Secondo i dati sopra citati, nel 1910 gli sloveni rappresentavano allora ancora soltanto il 12,6% della popolazione cittadina, mentre gli italiani erano invece pari al 76,8%. Se però quelle tendenze demografiche radicali fossero rimaste costanti e continuassero incontrastate ancora per molti altri decenni, è molto probabile che i triestini italiani alla fine sarebbero stati spazzati via da un’ondata di coloni-migranti: il governo asburgico avrebbe realizzato una perfetta pulizia etnica senza dover sparare un colpo. Tuttavia, le politiche di ricambio demografico si interruppero bruscamente quando il Regno d’Italia sconfisse l’Impero Austro-Ungarico nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918), impedendo così che si realizzasse la voluta pulizia etnica.

Il piano per slovenizzare la città di Trieste alla fine venne sventato e fallì. In effetti, a Trieste gli austriaci e gli slavi non riuscirono mai ad avvicinarsi davvero a questo obiettivo. Ciononostante il tentativo venne fatto e gli Asburgo lo pagarono con la perdita del loro Impero.


Nazionalismo e ambizioni slovene

Entro il 1910, l'area metropolitana di Trieste ospitava la più grande popolazione slovena d'Europa, essendovi presenti più sloveni di qualsiasi in altra regione metropolitana, solo però in numero assoluto e non in percentuale. In nessun momento della storia triestina gli sloveni hanno mai costituito una maggioranza, né sono mai stati vicini ad esserlo, neanche lontanamente. Secondo il censimento austro-ungarico del 1910, gli sloveni al culmine demografico crebbero fino al 24,8% della popolazione provinciale complessiva e al 12,6% della popolazione cittadina. Intanto gli italiani nel 1910 rappresentavano ancora il 64,6% della popolazione provinciale complessiva e il 76,8% della popolazione cittadina. In ogni contesto possibile gli italiani erano quindi in maggioranza assoluta. Gli slavi invece, in ogni determinato momento storico, non sono mai stati altro che una minoranza a Trieste.

Inoltre, quasi tutti gli sloveni che all'epoca abitavano nella città di Trieste erano immigrati di prima generazione arrivati tra il 1900 e il 1914, durante la massiccia ondata di migrazione slava; non erano autoctoni di Trieste e qualche anno dopo circa la metà di questi fece ritorno in patria.

Tuttavia, per il semplice fatto che a Trieste si registrava la crescita demografica slovena più rapida d'Europa (grazie all'immigrazione di massa coordinata dal governo austriaco) e che ospitava un numero di slavi più elevato rispetto alla città molto più piccola di Lubiana (l'odierna capitale della Slovenia), i nazionalisti sloveni si convinsero che Trieste fosse loro di diritto e iniziarono a definire Trieste una “città slava”.

Ovviamente, tale affermazione è altrettanto ridicola quanto definire New York una “città italiana” solo perché ci sono più italiani che vivono a New York che a Napoli. Seguendo la stessa logica, anche San Paolo del Brasile sarebbe una “città italiana” poiché a San Paolo (una gigantesca metropoli di oltre 12 milioni di abitanti) vivono più persone di origine italiana che a Roma, Milano e Napoli messe insieme. Non importa che gli italiani di San Paolo siano per lo più discendenti di immigrati relativamente recenti, e chi se ne frega se sono ancora solo una minoranza in termini percentuali, secondo tale argomentazione la città brasiliana dovrebbe comunque appartenere all'Italia. Una logica del genere è chiaramente ridicola e profondamente viziata. Il nazionalismo slavo, tuttavia, si è sempre radicato nella ridicola propaganda revisionista, nel mito romantico e nella fantastoria, piuttosto che nella realtà.

Gli intellettuali sloveni, incitati dal nazionalismo romantico, aspirarono di creare un nuovo Paese chiamato Slovenia e desiderarono di annettere Trieste e altri territori italiani a questo nuovo ipotetico Paese. Ciò nonostante l'attività culturale slovena a Trieste (letteratura, musica, arte) sia emersa per la prima volta solo alla fine del XIX secolo, prima della quale la cultura slovena era a Trieste del tutto sconosciuta. E ciò  anche malgrado Trieste per circa 2.000 anni fosse stata etnicamente e culturalmente una città italiana, e fosse ancora allora una città a maggioranza italiana per popolazione. Persino secondo le statistiche ufficiali austro-ungariche, notoriamente sbilanciate a favore degli slavi, gli sloveni al loro apice numerico nel 1910 non superarono mai il 12,6% della popolazione cittadina e non ammontarono mai a più del 24% della popolazione provinciale totale.

I nazionalisti sloveni, consapevoli che Trieste era ancora culturalmente ed etnicamente una città italiana, promossero una maggiore immigrazione e proposero addirittura la pulizia etnica come soluzione per aumentare la popolazione slovena e raggiungere il potere in città. Intellettuali e giornalisti sloveni non nascosero l'odio verso gli italiani, né mascherarono la volontà di sterminare gli italiani e di cancellare l'italianità di Trieste. Anzi, la pulizia etnica contro gli italiani venne apertamente avallata ed esaltata. Il quotidiano austro-sloveno Edinost (fondato a Trieste nel 1876 dall'immigrato sloveno Ivan Dolinar) proclamò sfacciatamente il 7 gennaio 1911:

Non abbandoneremo la nostra lotta fino a quando non avremo sotto i piedi, ridotta in polvere, l'italianità di Trieste. Fin ora la nostra lotta era per l'uguaglianza, domani diremo agli italiani che la nostra lotta è per il dominio. Non cesseremo finché non comanderemo noi. L'italianità di Trieste, che si trova agli sgoccioli, festeggia la sua ultima orgia prima della morte. Noi sloveni inviteremo domani questi votati alla morte a recitare il confiteor.”

Nessuno dei redattori responsabili dell'Edinost era originario di Trieste. Tutti i redattori del giornale erano infatti immigrati sloveni trasferitisi a Trieste nella seconda metà dell'Ottocento:

    • Ivan Dolinar, nato a Bischofslack (oggi Škofja Loka)
    • France Cegnar, nato a Bischofslack (oggi Škofja Loka)
    • Viktor Dolenc, nato a Senosecchia (oggi Senožeče)
    • Lovro Žvab, nato a Duttogliano (oggi Dutovlje)
    • Makso Cotič, nato a Vipacco (oggi Vipava)
    • Engelbert Besednjak, nato a Gorizia da genitori immigrati (originari di Branik e Trnovo)
    • Filip Peric, nato a Sella (oggi Sela na Krasu)

Un altro personaggio sloveno di questo periodo fu Vekoslav Raič, anche lui immigrato. Nato da una famiglia di contadini a Zween, frazione di Luttenberg (oggi Cven, frazione di Ljutomer, in Slovenia) con il nome tedesco Alois Reich, in seguito slavizzò il suo nome in Vekoslav Raič ed emigrò a Trieste intorno al 1867. Lì nel 1869 fondò a Trieste un'associazione di lavoratori per difendere i diritti degli immigrati sloveni, e nel 1871 fondò il giornale in lingua slovena Primorec. Sulle pagine di questo giornale affermò che il destino di Trieste era quello di essere occupata dagli slavi e annessa in futuro ad uno “Stato slavo meridionale”.

Questi agitatori sloveni — da Dolinar a Raič — emigrarono a Trieste per impegnarsi nella propaganda politica, per sostenere i programmi governativi di slavizzazione del governo austriaco, per minare l'italianità dell'Istria e di Trieste, e da ultimo per mobilitare altri sloveni nella lotta contro gli autoctoni italiani al fine di raggiungere gli ambiziosi obiettivi nazionalisti ed espansionistici di una Slovenia indipendente e imperiale.


Trieste nella prima guerra mondiale

Il 23 maggio 1915, in seguito allo scioglimento della Triplice Alleanza e alla dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia, il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Impero austro-ungarico.

La notte del 23 maggio 1915, lo stesso giorno in cui l'Italia poche ore prima aveva dichiarato guerra, gruppi anti-italiani composti da austriaci e sloveni diedero fuoco alla sede de Il Piccolo, il quotidiano italiano più letto a Trieste. Nella stessa notte incendiarono anche i locali della Società ginnastica triestina e della Lega Nazionale, associazione italiana costituita nel 1891 per la tutela dell'italianità di Trieste. Poco dopo, le autorità austriache bandirono la Lega Nazionale, sequestrarono tutti i suoi beni e chiusero tutte le sue scuole. Non cessarono le violenze anti-italiane: bande di austriaci e sloveni hanno marciarono per la città italiana, saccheggiando caffetterie e devastando negozi di proprietà italiana. Fu distrutto anche il monumento a Giuseppe Verdi.

Durante la prima guerra mondiale la vita economica di Trieste si fermò: il commercio venne bloccato dalle autorità austriache. Venne colpita anche la vita politica di Trieste: i giornali italiani furono chiusi dal governo asburgico e molti italiani furono imprigionati per le loro convinzioni politiche, ovvero il loro sostegno all'indipendenza e all'unione con l'Italia. Furono presi di mira non solo uomini politici, furono molestati anche molti civili innocenti senza legami con la politica.

Per detenere i civili gli austriaci fecero un uso spietato ed estensivo dei campi di concentramento conosciuti come lager. Furono migliaia i civili italiani accusati o sospettati di essere spie, sabotatori, oppositori politici e simpatizzanti dell'Italia. Gli italiani in generale erano considerati dagli Asburgo nemici sleali. Di conseguenza i civili italiani furono sistematicamente rastrellati, deportati dalle loro case e internati nei campi di concentramento sparsi in tutto l'Impero.

In totale alcune decine di migliaia di triestini e istriani italiani – non solo gli indagati ma anche intere famiglie, mogli e figli – furono arrestati, deportati in campi di concentramento e costretti a vivere in condizioni talvolta mortali.

In conseguenza delle disastrose politiche belliche dell'Austria, la popolazione di Trieste è scesa da 244.655 anime nel 1914 a circa 170.000 anime entro la fine del 1918. Molti sudditi italiani per evitare la prigionia e la persecuzione fuggirono in Italia; intanto la maggior parte degli immigrati sloveni stabilitisi a Trieste tra il 1900 e il 1914 partirono e tornarono in patria, motivo per cui il censimento del 1921 registrò nella città di Trieste solo 11.694 sloveni (pari ad appena il 5% della popolazione urbana) e complessivamente 32.403 sloveni in tutta la Provincia di Trieste (pari al 12,3% della popolazione totale della provincia comprendendo sia la città che i dintorni dell'entroterra).

Il Regno d'Italia sconfisse l'Impero Austro-Ungarico nell'ottobre-novembre 1918. Già il 30 ottobre 1918, prima della resa ufficiale dell'Austria, la popolazione di Trieste proclamò la sua unione all'Italia e innalzò il tricolore sulla città. Il Comitato di pubblica sicurezza di Trieste dichiarò “la decadenza dell'Austria dal possesso delle terre italiane adriatiche”. Gli austriaci, consapevoli dell'inevitabile sconfitta, riconobbero le decisioni del Comitato e il giorno successivo abbandonarono la città tutti gli ufficiali asburgici nonché i 3.000 soldati di guarnigione.

Le forze italiane entrarono a Trieste il 4 novembre 1918 senza alcuna resistenza. Le truppe guidate dal generale Carlo Pettiti furono accolte allegramente al molo da tutta la popolazione. Il Generale dichiarò: “In nome di Sua Maestà il Re d'Italia prendo possesso della città di Trieste!”. La gente rispose cantando e inneggiando “Viva Trieste italiana!”.


Le politiche del Regno d'Italia

In seguito alla riunificazione di Trieste all'Italia, dopo la fine della prima guerra mondiale, la politica degli Asburgo fu invertita. In risposta al mezzo secolo di persecuzioni sistematiche contro la popolazione italiana durante il periodo austro-ungarico, negli anni '20 il governo italiano intraprese una serie di misure per invertire i cambiamenti avvenuti sotto il dominio austro-ungarico.

Contrariamente a quanto spesso si sostiene, i cognomi slavi non furono modificati né italianizzati forzatamente. Al contrario, ai cittadini italiani i cui cognomi originari latini e italiani erano stati alterati, falsificati e slavizzati dalla precedente amministrazione austriaca era concessa la facoltà di ripristinare volontariamente il proprio cognome nelle forme originarie latine e italiane. Secondo la legge italiana, le modifiche ai cognomi potevano essere apportate solo su richiesta ed erano di carattere puramente volontario.

Tuttavia, per contrastare la precedente politica austriaca di slavizzazione forzata, furono adottate le seguenti politiche involontarie: la lingua italiana fu resa obbligatoria nelle scuole; fu vietato l'insegnamento dello sloveno nelle scuole; I giornali sloveni erano obbligati a pubblicare testi bilingue sia in italiano che in sloveno. Leggi del genere contro gruppi minoritari apertamente ostili all'epoca erano tutt’altro che rare. Anzi, nello stesso periodo politiche simili e ancora più severe furono attuate da molti altri Paesi, tra cui Jugoslavia, Cecoslovacchia, Polonia, Francia, Svizzera e Stati Uniti.

Il governo italiano aderì inoltre al principio secondo cui gli slavi sono ospiti o meglio intrusi sul suolo italiano e, pertanto, devono rispettare e riconoscere la lingua, le leggi e i costumi del territorio in cui sono ospiti forestieri. Principio seguito in quest'epoca da quasi tutti i Paesi sopra citati. Ciascuno di questi Paesi attuò inoltre politiche significativamente più dure contro le popolazioni minoritarie rispetto all'Italia, pur avendo avuto molte meno giustificazioni storiche rispetto all'Italia.

In effetti questi provvedimenti adottati dal governo italiano — volti da un lato ad assimilare la minoranza slovena e dall'altro a tutelare e rafforzare l'italianità di terre storicamente e di diritto italiane — furono in realtà molto più moderati delle politiche aggressive di etnocidio e sostituzione demografica intraprese da slavi e austriaci contro la popolazione italiana nei decenni precedenti.


Ascesa del fascismo e incendio del Narodni Dom

Le tensioni etniche e i sentimenti anti-italiani incitati tra gli slavi dagli Asburgo nel XIX secolo si protrassero nel XX secolo, provocando violenze contro gli italiani, soprattutto in Dalmazia. Un attentato mortale avvenne l'11 luglio 1920, durante una serie di episodi conosciuti come gli Incidenti di Spalato, durante i quali due soldati italiani furono uccisi e alcuni altri feriti da una folla di slavi a Spalato, in Dalmazia.

Indignati da questa provocazione, gli italiani si radunarono a Trieste il 13 luglio 1920 e tennero una manifestazione filo-dalmata. Tra i partecipanti c'erano anche numerosi dalmati italiani. Durante il raduno scoppiarono delle colluttazioni: rimasero feriti diversi civili italiani mentre Giovanni Nini, ragazzo dalmata di 17 anni, fu accoltellato a morte da un aggressore slavo.

Più tardi nella stessa giornata un gruppo di militanti sloveni si barricò nella Casa nazionale slovena (Narodni dom) a Trieste. Dalle finestre del Narodni dom spararono sulla folla e lanciarono bombe a mano ed esplosivi, ferendo diverse persone per strada e uccidendo il ventitreenne tenente di fanteria Luigi Casciana, che in quel momento stava cercando di presidiare l'edificio dai manifestanti inferociti. L'esercito italiano fu costretto a intervenire, così i militanti sloveni iniziarono uno scambio di colpi di arma da fuoco con la polizia, i carabinieri e i militari italiani.

In rappresaglia per questi incidenti, secondo quanto riferito, un gruppo di fascisti sarebbe arrivato sulla scena e avrebbe dato alle fiamme la Casa nazionale slovena. Secondo altri rapporti invece l'edificio prese fuoco accidentalmente, quando un enorme cumulo di munizioni nascosto nella Casa slava venne colpito da un proiettile durante lo scambio di colpi di arma da fuoco tra gli slavi e le forze dell'ordine, facendo così esplodere le munizioni illegali. In ogni caso, l'edificio subì una distruzione totale.

La Casa Nazionale slovena (Narodni dom) era stata fondata nel 1901 da nazionalisti sloveni con l'appoggio del governo imperiale austriaco; per due decenni servì come sorta di quartier generale per gli immigrati sloveni e gli agitatori politici nazionalisti sloveni, ed era un simbolo delle pretese territoriali degli slavi su Trieste, fortemente risentite dalla maggioranza italiana della città. All'epoca la Casa fu sede un'organizzazione militare jugoslava clandestina. Fu anche sede dell'Edinost, il già citato gruppo anti-italiano il cui giornale era posseduto e diretto da immigrati sloveni.

I decenni di persecuzione anti-italiana da parte di austriaci e slavi prima della prima guerra mondiale, insieme agli atti di violenza degli slavi contro gli italiani, alla diffusione del comunismo tra la popolazione slava e ai continui disordini politici all'indomani della guerra (non ultime le minacce di una rivoluzione appoggiata dai sovietici, oltre alle paure di un colpo di Stato da parte dei comunisti), contribuirono tutti alla diffusa adesione al fascismo a Trieste. Infatti, fin dalla nascita del movimento fascista nel 1919, Trieste era diventata uno dei centri principali del fascismo, poiché i triestini vedevano nel fascismo un'espressione di patriottismo e lo consideravano un mezzo per difendere se stessi, la propria identità e la propria città da elementi estranei e attacchi anti-italiani. Nelle elezioni del 1921 i fascisti a Trieste ottennero circa il 45% dei voti totali.


Ascesa del terrorismo slavo

Nei decenni precedenti la violenza slava contro gli italiani si è generalmente verificata sotto forma di attacchi disorganizzati da parte di individui radicali e flash mob. Ma negli anni '20 i radicali slavi in Italia iniziarono a organizzare e formare gruppi terroristici interni.

Nel 1927 un gruppo di militanti slavi formò un gruppo terroristico antifascista e anti-italiano chiamato TIGR (abbreviazione di Trst-Istra-Gorica-Rieka, ovvero Trieste-Istria-Gorizia-Fiume). Effettuarono numerosi bombardamenti e omicidi in Italia con l'obiettivo di annettere alla Jugoslavia la città di Trieste e altre terre italiane del confine orientale. Oltre a vari omicidi, attentati e intimidazioni agli elettori, tra il 1927 e il 1932 incendiarono anche diverse scuole e asili, tra cui quelli di Prosecco e di Cattinara, nei pressi di Trieste. Fucilarono anche alcuni sloveni da loro considerati “filo-italiani” e quindi “traditori”. Negli anni '30 il TIGR era allineato con i comunisti ed era sostenuto dai servizi segreti jugoslavi e britannici.

Furono contrabbandate armi dalla Jugoslavia, in previsione di un'insurrezione armata contro l'Italia. Nel 1938 venne pianificato un attentato alla vita di Benito Mussolini.

Nel 1940-1941 il gruppo cominciò a indebolirsi e a scomparire a causa dell'arresto, del processo e della condanna della maggior parte dei suoi capi da parte dei tribunali di Trieste. Molti membri del TIGR si unirono in seguito ai partigiani jugoslavi.


I 40 giorni di Trieste: Trieste sotto il comunismo

Il 1 maggio 1945, al termine della seconda guerra mondiale, i partigiani jugoslavi guidati da Josip Broz Tito, futuro dittatore comunista della Jugoslavia, entrarono nella città di Trieste e iniziarono la brutale occupazione di 42 giorni nota come i Quaranta giorni di Trieste. In questi giorni gli jugoslavi commisero numerosi massacri e atrocità contro gli italiani. Diverse migliaia di triestini italiani furono fatti sparire, essendosi dileguati senza lasciare traccia. In seguito si scoprì che molti erano stati arrestati e deportati nei campi di concentramento jugoslavi di Borovnica (Borovenizza) e Goli Otok (Isola Calva), dai quali non fecero più ritorno, mentre il resto fu assassinato e gettato in fosse comuni conosciute come foibe. Avvenuta nell'ambito dei massacri delle Foibe in cui migliaia di civili italiani furono assassinati dagli jugoslavi con l'intento di eliminare la popolazione autoctona italiana e annettere alla Jugoslavia comunista Trieste e altri territori dell'Italia nord-orientale.

Le principali foibe nel territorio di Trieste erano quelle di Basovizza e Monrupino, situate a breve distanza dalla città, ma i corpi di italiani furono gettati in fosse comuni anche nelle foibe di Opicina, Gropada, Ternovizza e diversi altri villaggi dopo essere stati assassinati dagli jugoslavi.

Gli jugoslavi commisero persino alcune atrocità in pubblico, come l'eccidio di via Imbriani. Il 5 maggio 1945 circa 50.000 italiani organizzarono a Trieste una manifestazione pacifica per protestare contro il progetto di annessione alla Jugoslavia. Sventolarono bandiere italiane e cantarono canzoni italiane, così da dimostrare che Trieste era una città italiana. Quando una colonna di manifestanti svoltò in via Imbriani (nel centro storico di Trieste), i soldati jugoslavi spararono sui civili disarmati, uccidendo 5 persone e ferendone 10. Tra le vittime ci furono tre donne.

La popolazione italiana fu perseguitata e terrorizzata anche in vari altri modi. Si legge in un memorandum dell'8 maggio 1945 stilato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America (DOS):

Gli jugoslavi tentano addirittura di stabilire un controllo civile nella parte orientale di Udine, la provincia italiana oltre la Venezia Giulia. A Trieste gli jugoslavi stanno usando tutte le familiari tattiche di terrore. Ogni italiano di una qualche importanza viene arrestato. Gli Jugoslavi hanno assunto un controllo completo e stanno attuando la coscrizione degli italiani per il lavoro forzato, rilevando le banche e altre proprietà di valore e requisendo cereali e altre vettovaglie in grande quantità. Sono stati arrestati l'arcivescovo di Gorizia e altri sacerdoti, e molti altri subiscono minacce”.

(“The Yugoslavs are even trying to establish civil control in the eastern part of Udine, the Italian province beyond Venezia Giulia. In Trieste the Yugoslavs are using all the familiar tactics of terror. Every Italian of any importance is being arrested. Yugoslavs have taken over complete control and are conscripting Italians for forced labor, seizing the banks and other valuable property, and requisitioning grain and other supplies on a large scale. The Archbishop of Gorizia and other priests have been arrested, and many others are threatened.”)

Durante l'occupazione titoista la città di Trieste fu trasformata in un campo di concentramento a cielo aperto. Proprio come avevano fatto gli slavi in Dalmazia, nell'Istria, a Fiume e nel resto della Venezia Giuliana, così anche Tito cercò di “rendere Trieste jugoslava”. Prese di mira non solo i fascisti, ma anche gli italiani di sinistra, massacrando indiscriminatamente fascisti e antifascisti, militari e civili, maschi e femmine, adulti e bambini, dimostrando così che gli jugoslavi prendevano di mira gli italiani principalmente per motivi etnici e non solo politici. Tito volle con la violenza ripulire etnicamente Trieste degli italiani, sostituirli con popoli slavi e annettere la città alla Jugoslavia. Gli fu impedito di farlo solo dagli Alleati occidentali, che assunsero il controllo della città il 12 giugno 1945.


Collaborazionismo sloveno e amnesia collettiva

Quando i partigiani di Tito occuparono Trieste, gran parte della popolazione slovena locale accolse i comunisti jugoslavi come “liberatori”. Molti sloveni che vivevano nell'entroterra triestina erano sostenitori del comunismo e collaborarono con gli invasori jugoslavi, aiutandoli gentilmente a dare la caccia agli italiani e agli anticomunisti. Alla fine della guerra, la maggior parte degli sloveni residenti in Italia fece una campagna per l'annessione di Trieste alla dittatura comunista della Jugoslavia, proprio mentre i civili italiani venivano attivamente massacrati dagli jugoslavi.

Nel secondo dopoguerra, dopo che furono tracciati i nuovi confini, tutto questo venne opportunamente dimenticato. Gli sloveni rimasti sul lato italiano del confine affermarono di essere vittime innocenti dell'oppressione e della persecuzione fascista, tra cui la presunta italianizzazione forzata, e difesero la propria partecipazione ad attività terroristiche partigiane sostenendo che “abbiamo contribuito a liberare l'Italia dal fascismo”. Questa vulgata è tuttora sostenuta dagli storici mainstream dei Paesi ex alleati, desiderosi di rappresentare l'Italia nella peggiore luce possibile sia per il fatto che fu governata dal Regime fascista (ritenuto un male che nessun accademico vuole essere accusato di difendere o giustificare), sia per la logica insensata secondo cui tutte le minoranze etniche e i gruppi antifascisti vanno difesi ad ogni costo, anche a scapito dell'onestà intellettuale e della verità storica.


Il mito asburgico

Nel dopoguerra si assistette anche ad una sorta di “riabilitazione” storica degli Asburgo: l'impero austro-ungarico venne presentato dai revisionisti del dopoguerra come un paradiso del multiculturalismo e venne nostalgicamente raffigurato come un'utopia multietnica sotto il buon governo degli austriaci e dei tolleranti imperatori asburgici. Questa rifigurazione è oggi conosciuta come il mito asburgico.

Questa riabilitazione pseudo-storica degli Asburgo divenne parte di uno sforzo consapevole da parte degli storici alleati di riscrivere e romanticizzare la storia dell'Europa prima dell'ascesa del fascismo e del nazionalsocialismo. Ciò fu fatto principalmente per enfatizzare la statualità austriaca e rappresentare l'Austria come la prima vittima della Germania nazista, con l'obiettivo di giustificare la separazione dell'Austria dalla Germania dopo la guerra. Allo stesso tempo, tuttavia, servì opportunamente anche a ritrarre gli jugoslavi come vittime simpatiche dei fascisti italiani e a cancellare dalla memoria collettiva ogni traccia della violenza e dell'aggressione austro-slava contro gli italiani prima della nascita del fascismo.

Ecco perché vengono spesso nascoste e ignorate la politica asburgica di slavizzazione forzata dal 1866 al 1918 e la persecuzione degli italiani da parte di austriaci, sloveni e croati durante il periodo austro-ungarico che determinò in larga misura la politica del governo italiano durante il Ventennio tra le due guerre. L'intera storia precedente all'avvento del fascismo viene spesso trascurata ed evitata proprio perché in conflitto con la narrativa ufficiale alleata e antifascista di slavi come vittime innocenti. Secondo questa narrazione, gli sloveni stavano semplicemente reagendo all'aggressione fascista e quindi le loro azioni erano del tutto comprensibili e giustificate.

In realtà, i fatti storici dimostrano che in questo ambito gli slavi furono palesemente degli aggressori. L'ostilità degli slavi nei confronti della popolazione italiana precedette di quasi un secolo l'esistenza del fascismo. Durante il periodo austro-ungarico gli sloveni per diversi decenni parteciparono attivamente a tentativi di pulizia etnica, genocidio culturale e misure di snazionalizzazione contro gli italiani. Troppi però gli accademici oggi sono riluttanti ad ammetterlo, perché riconoscere la verità storica sembrerebbe assolvere i fascisti dalle proprie contro-politiche, e inoltre metterebbe in discussione molte delle controverse decisioni prese dagli Alleati all'indomani della guerra, come quella di consegnare l’Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia, anziché riconoscerle come terre storiche e di diritto italiane, come invece avveniva prima della prima guerra mondiale.

Sia gli storici jugoslavi che quelli alleati occidentali hanno un vivo interesse a mantenere una rappresentazione ingannevole della realtà storica. Entrambe le parti preferirebbero ignorare o sopprimere i fatti preoccupanti qui delineati e e fingere che la storia del conflitto tra italiani e slavi sia iniziata solo con l’avvento del fascismo nel 1919, piuttosto che riconoscere la verità storica, ovvero che i conflitti etnici sorsero nel periodo austro-ungarico furono fomentati innanzitutto dagli austriaci allo scopo di conservare il potere asburgico e l'egemonia austriaca, e in secondo luogo dai nazionalisti sloveni e croati allo scopo di costruzione nazionale ed espansione territoriale.


Territorio ‘Libero’ di Trieste

Nel 1947 gli Alleati crearono il Territorio ‘Libero’ di Trieste, uno Stato apparentemente ritenuto libero e indipendente. In realtà di libero c'era solo il nome: il territorio di Trieste non era né libero né indipendente ma era sotto il controllo delle neonate Nazioni Unite (ONU) ed era soggetto all'occupazione militare alleata.

Il Territorio ‘Libero’ di Trieste era diviso in due zone:

• Zona A (nella quale era inserita la città di Trieste propriamente detta nonché una piccola striscia di entroterra sul Carso triestino) governata dalle forze americane e britanniche conosciute come AMGOT;

• Zona B (un territorio molto più vasto, seppure meno popoloso, in cui erano inseriti diversi centri istriani) governata dagli jugoslavi.

In entrambe le zone di occupazione gli italiani costituivano la stragrande maggioranza della popolazione.

Dal 1947 al 1954 la minoranza slovena in Italia continuò a sostenere il comunismo e le ambizioni imperiali degli jugoslavi. Nel 1947 venne fondato il Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste (PCTLT), da parte degli sloveni che si battevano per l'annessione di Trieste alla Jugoslavia comunista, in palese disprezzo del fatto che gli italiani costituivano la stragrande maggioranza della popolazione in entrambe le zone di occupazione e nonostante il fatto che il territorio non fosse mai appartenuto agli slavi in nessun momento della storia.

Secondo le stime statistiche registrate dal Governo militare alleato nel 1949, il Territorio 'Libero' di Trieste contava una popolazione totale di 370.000 abitanti, di cui 290.200 (78%) italiani e solo 71.000 (19%) sloveni. La zona A, sotto occupazione americana e britannica, contava una popolazione di 302.000 persone: 239.200 (79%) italiani e 63.000 (21%) sloveni. La zona B, sotto occupazione jugoslava, nel 1946 contava una popolazione di 68.000 persone: 51.000 (75%) erano italiani mentre sloveni e croati messi insieme erano 17.000 (25%). Nella zona B gli sloveni da soli erano solo 8.000 (11%) mentre i croati da soli erano solo 9.000 (13%). Più tardi, ben 40.000 italiani furono costretti a lasciare la Zona B per sfuggire al governo comunista jugoslavo.


Rivolta di Trieste

Nel 1953 gli Alleati annunciarono l'intenzione di dividere il Territorio ‘Libero’ di Trieste tra Italia e Jugoslavia, cosa che fece arrabbiare gli italiani. Per di più, malgrado le manifestazioni politiche fossero state vietate dal governo alleato, il 14 ottobre 1953 la polizia britannica permise a un gran numero di manifestanti filo-jugoslavi di marciare a Trieste, cosa che fece infuriare ulteriormente gli italiani.

Il colpo di grazia arrivò il 3 novembre 1953, festa del patrono di Trieste e 35° anniversario dell'ingresso delle truppe italiane a Trieste nel 1918. Per festeggiare l'occasione, il sindaco Gianni Bartoli issò il tricolore sul Palazzo del Municipio. Le autorità alleate fecero rimuovere e bruciare pubblicamente la bandiera italiana. In risposta, il giorno successivo si radunò una folla di duecento manifestanti che chiesero il ripristino della bandiera italiana. La polizia britannica caricò e aggredì la folla disarmata, provocando la ribellione degli italiani al governo militare di occupazione alleato.

Ne seguirono disordini e scaramucce tra polizia e civili. La rivolta culminò con gli spari da parte della polizia britannica sulla folla di manifestanti italiani, uccidendo 6 civili, tra cui un ragazzo di 14 anni, e ferendone centinaia. La rivolta di Trieste terminò il 6 novembre 1953 quando le truppe americane occuparono la città.


Ritorno di Trieste all'Italia

Il 26 ottobre 1954 Trieste fu finalmente rientrata in Italia, insieme al piccolo lembo di terra della Zona A. Quando le truppe italiane giunsero a Trieste furono accolte con entusiasmo, applausi ed emozione da tutta la città: una folla immensa di 150.000 persone riempì le piazze, sventolando bandiere italiane, festeggiando e cantando l'inno di Mameli in quella che fu una massiccia manifestazione di patriottismo.

La Zona B venne invece ceduta alla Jugoslavia dagli Alleati come punizione all'Italia. Il governo comunista jugoslavo non fu soddisfatto delle sue conquiste e continuò a sostenere che Trieste sarebbe stata di diritto jugoslava fino al 1975, quando la Jugoslavia firmò il Trattato di Osimo e rinunciò alle sue pretese su Trieste. Nel processo però l'Italia perse definitivamente l'Istria italiana.


Provocazioni slovene a Trieste oggi

Secondo il censimento del 1971 — l’ultimo in Italia a censire l’etnia — gli sloveni erano 15.564 nella città di Trieste (pari al 5,7% della popolazione; discendenti di quegli immigrati slavi giunti a Trieste nei secoli XIX e XX) mentre gli italiani erano 254.257 (93%). In tutta la Provincia di Trieste nel 1971 si contavano 300.304 abitanti, di cui 275.597 (91,7%) italiani e solo 24.706 (8,2%) sloveni. Ancora al giorno d'oggi la maggior parte degli sloveni non vive nella vera e propria città di Trieste, ma abita ancora nei dintorni e nei piccoli paesini fuori dalla città propriamente detta.

Non si sa quanti sloveni vi abitino oggi, ma sicuramente sono meno numerosi di quanto lo fossero nel 1971. I rappresentanti ufficiali della minoranza slovena sono decisamente contrari ad un censimento etnico o linguistico; si rifiutano di partecipare al censimento proposto perché temono che il numero reale degli sloveni in Italia sia molto piccolo, anzi troppo piccolo per giustificare i fondi, le concessioni e i privilegi che ricevono.

Oggi la minoranza slovena in Italia è tutelata dalla legge e il governo italiano è pienamente impegnato all'imposizione del multiculturalismo, nonostante il fatto che la cultura e la civiltà di Trieste siano sempre state italiane. La popolazione italiana è costretta a tollerare questa politica, a ignorare la storia e a soddisfare i bisogni degli sloveni a causa del status di minoranza protetta. Nel frattempo, molti sloveni in Italia sono agitatori politici e sono ancora attaccati al passato comunista: definiscono ancora i membri del TIGR come “combattenti per la libertà” e continuano a celebrare festeggiamenti in onore dei terroristi interni. La stessa organizzazione terroristica viene onorata e gode di riconoscimento a livello ufficiale anche nella Repubblica di Slovenia.

Membri della minoranza slovena del Triestino tengono regolarmente celebrazioni e cerimonie per i partigiani jugoslavi. Molti inoltre sono dei negazionisti che negano la storicità dei massacri delle Foibe o comunque cercano di minimizzarli o giustificarli. I nazionalisti e i filocomunisti sloveni continuano a sostenere che Trieste appartiene a loro, nonostante il fatto che Trieste non sia mai stata una città slovena e che queste terre non siano mai appartenute alla Slovenia, e malgrado gli antenati degli sloveni siano arrivati in Italia prima come invasori e poi come ospiti sul suolo italiano.

Anche se gli sloveni godano di diritti e privilegi speciali loro attribuiti, e sebbene siano ufficialmente tutelati dallo Stato italiano, non sono pochi quelli che ancora si ostinano ad essere apertamente ostili e anti-italiani. Non di rado deturpano monumenti italiani con scritte vandaliche e simboli comunisti.

Nel 2009 ad esempio un gruppo di sloveni ha manifestato a Trieste con bandiere slovene e striscioni comunisti; nel 2013 e nel 2014 molti sloveni hanno partecipato a manifestazioni a sostegno del MTL, gruppo secessionista a Trieste guidato da un collaboratore dei servizi segreti sloveni. Una parte considerevole dei sostenitori appartengono alle minoranze slovene che abitano nei sobborghi e dintorni di Trieste. Il 1 maggio 2016 un gruppo di sloveni ha manifestato nuovamente a Trieste con bandiere slovene e striscioni comunisti jugoslavi a sostegno del dittatore comunista Josip Broz Tito. Il giorno successivo hanno vandalizzato la fontana monumentale sul colle di San Giusto.

Per aggiungere al danno la beffa, dal 2011 il presidente in carica del Consiglio comunale di Trieste è Iztok Furlanič, esponente della minoranza slovena e il primo sloveno a ricoprire questo incarico. È discendente di partigiani ed è anche segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista (PRC). È sia titoista che sostenitore della slavizzazione di Trieste, città per oltre il 90% italiana. Questo qualche decennio fa sarebbe stato impensabile, tale è tuttavia l'attuale inquietante clima politico in cui è costretto a vivere il popolo italiano. Ironia della sorte, il cognome Furlanič è la forma slavizzata del cognome italiano Furlan (di origine dialettale veneta che significa friulano) che indica che la sua famiglia è probabilmente è di origine italiana, almeno in parte, ma oggi si spaccia per slovena.


Il patriottismo di Trieste, la città più italiana

Trieste è conosciuta come la città più italiana o la città italianissima.

Le politiche anti-italiane degli Asburgo e i loro tentativi di slavizzazione forzata prima della prima guerra mondiale, insieme all'occupazione di 42 giorni da parte degli jugoslavi e ai massacri delle Foibe (insomma due tentativi di pulizia etnica in meno di un secolo), oltre all'occupazione militare decennale da parte degli alleati occidentali nel dopoguerra, per non parlare dell'attuale clima politico nonché della presenza di una piccolissima ma molto rumorosa e ostile minoranza slovena anti-italiana, sono serviti solo a rafforzare il forte patriottismo e l'italianità di Trieste.

Una certa percentuale degli attuali cittadini triestini sono esuli italiani e discendenti di esuli che furono accolti dalla città e dai triestini dopo essere stati costretti a fuggire dalle antiche case in Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire ai massacri e alle persecuzioni per mano dei comunisti jugoslavi alla fine della seconda guerra mondiale.

Trieste oggi rimane una delle città più fiere e patriottiche di tutta Italia ed è sede di numerose organizzazioni patriottiche, nazionaliste e irredentiste dedite alla difesa di Trieste e della sua millenaria civiltà italiana.

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