Le sue lontane origini risalgono a un manipolo di esuli dalla greca Epidauro che fondarono Epidauro Adriatica (l’odierna Ragusa vecchia o Cavtat, dal latino Civitas vetera), la latina Pitaura i cui abitanti ebbero i privilegi di cittadino romano.
Ragusa è sempre stata amministrata da un governo aristocratico: le famiglie ‘patrizie’ avevano tutti nomi italiani: Bona, Ghetaldi, Gondola, Gozze… Alla fine del 1200 risale la prima Costituzione, il Liber Statutorum scritto in latino, a testimonianza della sua piena libertà e indipendenza istituzionale: da sottolineare che tutta la documentazione relativa ai suoi dodici secoli di storia repubblicana è scritta in latino e in italiano. Lo slavo non era ben conosciuto. Infatti, nel 1390 il governo raguseo istituì corsi di lingua slava per chi doveva dedicarsi al commercio con i paesi dell’interno balcanico, mentre gli atti redatti nei paesi slavi per conto del governo di Ragusa risultano tutti scritti in latino e successivamente in italiano. Al latino subentrò il dalmatico, lingua neolatina, quindi il volgare: nel 1472 l’italiano divenne lingua ufficiale e, per differenziarsi da Venezia, l’eterna rivale, si preferiva l’accento toscano. I traffici tra le repubbliche toscana e quella dalmata erano ormai regolari nel 1332, quando il novelliere Franco Sacchetti nacque a Ragusa da una famiglia di mercanti di origine fiorentina. Ragusa è considerata una repubblica marinara italiana, la quinta, proprio perché ha costantemente partecipato alla cultura, alla lingua, alle tradizioni, alla storia della penisola, come le altre. Nel 1484 fu incoronato poeta in Campidoglio il raguseo Elio Lampridio Cerva; lo stesso Poliziano ammirava «i ragusei per quanto offrivano alla cultura italiana»; Ruggero Boscovich, una delle più grandi figure dell’Italia del 1700, cui è dedicato l’Osservatorio di Brera, chiamava l’Italia «l’autentica dolce madre»; la prima.
Nella raccolta di novelle ‘Mille e una notte‘ sono nominate, oltre a Costantinopoli, solo sei città, tutte italiane: Roma, Venezia, Genova, Pisa, Zara e Ragusa. L’attività dei suoi artigiani, orafi, incisori, tipografi, come dei pittori o musicisti, si svolgeva a Ragusa come nella nostra Penisola, così come da questa arrivavano nella piccola repubblica dalmata artisti quali Onofrio della Cava. Fu chiamata anche ‘Firenze dell’Adriatico’, non solo per la sua intensa e significativa attività letteraria e artistica ma anche per i suoi palazzi: il Palazzo dei Rettori, i Chiostri, il Palazzo della Zecca, per non dimenticare la poderosa cinta muraria così preziosa nei secoli nel difendere la città dalle pressioni di Bisanzio e dei Turchi. Ristretta tra il mare e i monti, in un territorio carsico e povero di risorse, trovò nei traffici marittimi la fonte del proprio benessere. Fornita di una eccellente flotta e di esperti marinai e artigiani, aveva sviluppato una intensa attività di ‘import-export conto terzi’ e nel 1500 era ormai una repubblica marinara affermata, i cui commerci si svolgevano ben oltre il Mediterraneo. L’abilità nel trattare affari unita alla proverbiale correttezza dei suoi mercanti, permise alla città, nel corso dei secoli, di accumulare grandi ricchezze. Le navi ragusee dal Mar Nero passavano per la città dalmata e proseguivano verso Ancona, dove le merci continuavano il loro viaggio via terra sino a Firenze. L’Arno e canali adeguati le trasportavano a Livorno, per arrivare in Spagna e talora in Inghilterra. Le merci provenivano anche dall’entroterra balcanico (pellame, cera, cavalli, argento rame, ferro), giungevano a Ragusa per salpare alla volta di Alessandria d’Egitto, proseguendo per Messina, Livorno, Genova e, via terra, sino a Londra. In quasi tutti i paesi del Mediterraneo erano presenti ‘colonie ragusee’, con consoli, chiese, ospedali e cimiteri, da Barletta a Sofia, da Costantinopoli ad Alessandria d’Egitto. A Venezia troviamo ancor oggi nei pressi della stazione ferroviaria la ‘Calle dei Ragusei’; a Firenze esisteva la ‘Strada dei Ragusei”; a Livorno molti ancora i cognomi derivati come Raùgi o Raugèi. Grazie ad uno speciale Indulto Pontificio del papa Urbano V, rinnovato in seguito da altri pontefici, la città dalmata poteva commerciare anche con l’Impero ottomano, con cui intrattenne in genere ottimi rapporti, pagando un tributo che non era di vassallaggio ma commerciale: nella sola Turchia operavano permanentemente 300 mercanti ragusei in 30 diverse città. Anche la navigazione aveva le sue leggi: ad esempio ‘navigare alla ragusea’ indicava l’accordo col quale i marinai partecipavano ai guadagni dell’armatore e dei mercanti; in genere poi la repubblica dalmata esigeva nei trattati commerciali la clausola di pagare le medesime tariffe doganali imposte ai sudditi degli stati italiani. Alla fine del Seicento iniziò a far battere moneta all’estero, mentre la Zecca di Ragusa aveva iniziato la propria attività nel XII secolo e l’ultima emissione fu nel 1802: la città aveva continuato a batter moneta propria anche nel periodo dei Conti Veneti, a riprova della perenne indipendenza di questo stato. Ragusa, primo stato ad abolire il commercio degli schiavi nel proprio territorio agli inizi del 1400, tenne sempre in alta considerazione il sacro principio del diritto d’asilo, la ‘Franchisia’: «…la terra nostra è franca ad ognuno et a grandi et a pizzoli», diritto rigorosamente rispettato quando Venezia e Roma insistevano per avere Pier Soderini là rifugiatosi nel 1512. Nel 1808, purtroppo, la piccola Repubblica, che aveva resistito a secoli di incursioni dal mare e dalla terraferma – pirati, slavi, turchi, etc… – dopo oltre mille anni perse la propria indipendenza di fronte alle truppe napoleoniche e fu inglobata nelle province illiriche: la sua voce rimarrà inascoltata nel successivo Congresso di Vienna che la costringerà a far parte dell’Impero Asburgico. Dopo la prima guerra mondiale verrà inglobata nella Jugoslavia e in tale occasione quasi quattromila ragusei si spostarono verso Zara, rimasta italiana.
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