martedì 10 ottobre 2023

I dalmati nelle scienze, nelle lettere e nelle arti italiane

"Se la Dalmazia ha glorie nelle scienze e nelle lettere, sono glorie unicamente latine, italiane.

Non ci soffermeremo sulle sue glorie militari, personificate nei quattro imperatori dalmatici di Roma, fra i quali eccelle Diocleziano, e più tardi nei comandanti delle flotte e degli eserciti di Venezia contro i turchi; ricorderemo San Girolamo, il protettore di quella provincia e uno dei maggiori padri della chiesa latina, l’autore della Volgata, la traduzione massima delle sacre scritture; ricorderemo San Marino, il fondatore dalmatico della repubblichetta italiana, che porta il suo nome. La prima grammatica italiana fu scritta da Fortunio di Sebenico e Sebenico diede a Venezia la famiglia di Marco Polo. Arbe diede quel vescovo di Traù, De Dominis, che fu il precursore di Newton nell’analisi dello spettro solare e che dinanzi all’inquisizione dovette fuggirsene a Londra; Ragusa diede nel secolo XVIII. l’illustre astronomo e matematico Boscovich; e nel secolo XIX la Dalmazia annovera tra i suoi figli lo storico zaratino Paravia, il botanico sebenicense Roberto De’ Visiani, Niccolò Tommaseo, il più grande tesaurizzatore della lingua nostra, poeta e patriota, ribelle all’Austria fino all'ultimo suo anelito, accanto a Daniele Manin agitatore del popolo e ministro d’istruzione nella risorta repubblica di Venezia; Seismit-Doda, l’economista, altro agitatore e ribelle e ministro delle finanze del regno d’Italia, oriundo da Ragusa; il dantologo Lubin traurino; uno degli iniziatori della moderna filologia romanza lo spalatino Adolfo Hussafia, la di cui vedova morendo, nel marzo scorso, legava la sua sostanza per borse di studio agli studenti italiani di Dalmazia, che vogliano compiere il loro perfezionamento in Italia o in Francia.

Si può dire senza esagerazione che nessuna delle province irredente d’Italia ha dato un così vario e così ricco contributo di forze alla civiltà italiana, quanto la piccola Dalmazia. Ogni cittadetta aveva i suoi poeti, la sua accademia letteraria; in tanto dilagare di lettere italiane non era certo facile cosa emergere. A Spalato studiò il giovanetto Ugo Foscolo e bevve le prime aure italiche fra le classiche mura di quella città romana; ma l’odio pretino e austriaco-croato, venuto al potere nel Comune di quella città nel 1883, bruciò la panca di scuola d’Ugo, che gli italiani avevano conservata come cimelio nazionale glorioso.

Zara e Spalato ci diedero insieme il poeta fiero ed integro Arturo Colautti, che con l’ultimo respiro, nell'ottobre scorso, invocava da Roma la redenzione della patria sua. Ed anche quei poeti di Dalmazia, specialmente di Ragusa, che i testi di storia letteraria croata e serba contano fra i loro poeti aggiungendo una C ai loro nomi italiani, il Gondola, il Maroli, il Canaveli ed altri scrissero pure in latino e in italiano e furono spiriti italiani anche quando scrissero in slavo le parafrasi della «Gerusalemme liberata» e dell « Aminta » del Tasso o delle canzoni del Poliziano e degli altri nostri maggiori, della bella e naturale convivenza e fratellanza fra italiani e slavi in Dalmazia si integrava così anche spiritualmente nelle lettere.

Ma chi volesse documentare nel modo più completo e più bello l’italianità delle città e delle borgate di Dalmazia, non avrebbe che offrire al pubblico una collezione di tutti i meravigliosi monumenti d’arte italiana di tutti i secoli, che ornano le piazze e le calli, le chiese e i palazzi d’ogni più piccola città dalmatica, da Arbe fino a Budua, e che fanno della Dalmazia — dopo il Lazio, dopo la Toscana e dopo il Veneto — la provincia d’Italia più ricca di opere d’arte nostra. Ed è soltanto ed unicamente arte nostrana quella di Dalmazia, pura purissima in ogni suo particolare ed autoctona anch’essa, sorta e svoltasi qui da tutti i primi elementi romani e bizantini, indigeni qui come nella penisola che portarono l’arte italiana alla sua fioritura del periodo romanico e del rinascimento.

L’ancora rude costruzione della chiesa di San Donato del sec. IX e quelle più evolute delle chiese di S. Grisogono del XII e di S. Anastasia (il Duomo) del XIII. sec. a Zara, il magnifico portale del Duomo di Traù scolpito dal traurino Radovano (1240), gli stalli corali e la bellissima porta del Duomo di Spalato, intagliati dall’artefice spalatino Buvina (1214), segnano appunto con le loro forme basilicali, con i loro ornamenti imitanti gli esempi romani delle rovine di Salona e di Spalato, i vari gradi di transizione dell’arte latina in Dalmazia dai tempi delle migrazioni dei popoli al bel rinascimento italiano sfoggiante le sue magnificenze e le sue grazie nel Duomo di Sebenieo del sec. XV., nei Duomi, nei palazzi municipali e nelle logge formanti la piazza principale, il nucleo di tutte le città dalmate, nel palazzo dei rettori di Ragusa, ricostruito con splendore alla fine del sec. XV. da Michelozzo Michelozzi e da Giorgio Orsini il Dalmatico, nelle fortificazioni e nelle porte cittadine, che hanno l’impronta del gran Sammicheli, nei poetici e tranquilli chiostri di Lesina, di Ragusa e di Cattaro. E se gli artefici più illustri d’Italia d’oltre sponda lasciavano o mandavano opere loro nelle città di Dalmazia (un Francesco da Sesto, un Pordenone, un Tiziano, un Tintoretto, un Rosselli e copie preziose contemporanee di Raffaello e di Tiziano), artisti insigni di Dalmazia portavano il contributo loro fecondo al primorisorgere delle arti in Italia: Luciano Laurana maestro di Bramante e autore del palazzo ducale di Urbino, di uno dei primi gioielli del nostro rinascimento, Andrea Meldolla, detto con l’improprietà già rilevata dal Lucio lo Schiavone, Giorgio da Sebenico, che profuse la sua arte ornamentale ad Ancona ed altri infiniti fino ai più giovani dei giorni nostri, anche a quelli che pur essendo di famiglie fin dall’origine loro italiane, conservando i nomi loro italiani e in famiglia la lingua loro italiana, come nell’arte loro lo spirito italiano, hanno il cattivo gusto di professarsi per interesse croati."



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