lunedì 9 ottobre 2023

PERCHÉ LA DALMAZIA È ITALIANA


 PERCHÉ LA DALMAZIA È ITALIANA (Guglielmo Barbieri)

Facile compito se, parlando della Dalmazia, volessimo limitarci alla descrizione dei monumenti che la potenza di Roma civilizzatrice e quella di Venezia, lasciarono attraverso tutti i tempi, da Spalato a Traù, da Ragusa a Sebenico, se cioè, ci limitassimo ad una passeggiata descrittiva attraverso le terre della Dalmazia Santa e generosa, sulla quale vegliano corrucciati i leoni della Serenissima, scalfiti dallo scalpello sacrilego.

Ma al fare la descrizione delle Basiliche delle città dalmatiche o al descrivere la bellezza dei Leoni di Curzola, io preferisco fare una rapida corsa attraverso la Storia.

lo credo che la vita dei popoli abbia delle analogie con la vita degli uomini. Questa mia credenza però, non deve essere accettata per quello che può essere il suo contenuto filosofico, ma deve essere intesa invece per quanto di intimamente rispondente può avere con quanto verrò dicendo più innanzi.

Se noi potessimo per un momento solo astrarci da quella che è la Vita di ogni giorno, se noi potessimo cioè sottrarci anche per un attimo solo a quella che è la vita materiale per vivere della sola vita spirituale, ci accorgeremmo che la vita degli uomini è racchiusa in due grandi orizzonti.

Nei due orizzonti maggiori della vita, che si chiamano: l'amore e la morte.

E nell'orbita di questi orizzonti maggiori che chiameremo dello spirito, che si muovono e si agitano gli orizzonti minori della vita.

Gli orizzonti cioè della vita materiale, con le sue pene e le sue ansie, con i suoi sogni e le sue delusioni, con le sue gioie ei suoi dolori.

Seguiamo l'uomo fino dal suo apparire alla vita, e vedremo come più egli si avvicina all'amore più l'umanità trae vantaggio dalla vita umana. E vedremo anche che, come piu l'uomo si allontana dall'amore, più si avvicina al freddo della morte.

Nella prima parola del bimbo è l'espressione più bella dell'amore: Mamma. E questo nome santo esprime il piu bello, il più forte, il più santo degli amori. Quello che nasce con la vita stessa, e che forse non finisce neppure con la morte. Ed attraverso l'amore del fanciullo per la madre, si sveglia l'amore allo studio nell'adolescente. Attraverso questo amore e dai due primi germogliato, nasce un altro amore santo.

Quello per la Patria, alla quale il giovinetto fa dedizione della vita; finché nasce nell'uomo l'amore nella espressione più pura; quello cioè, che innalza e potenzia le stirpi e ne perpetua la vita.

Poniamo i popoli al posto degli uomini, la civiltà al posto dell'amore, ed avremo la giustificazione della similitudine fatta.

Perché se è vero che più l'uomo professa l'amore più ha diritto alla vita, è egualmente vero che più i popoli contribuiscono alla civiltà, piu hanno diritto di inserirsi nella Storia.

E come gli uomini si avvicinano alla morte negando l'amore, così i popoli, negando la civiltà, si allontanano dalla Storia, e ritornano verso la tenebra delle origini.

Un popolo vale per la storia che si è creata, per quella che sa incidere sulle tavole, allorquando gli attimi scoccano sul fatale quadrante del tempo.

Noi non faremo una affermazione. Cioè, non ci limiteremo ad affermare che la Dalmazia è italiana.

Che la Dalmazia sia italiana ben lo sanno anche tutti quelli che barando nei consessi di una pace nata dalla folgorante Vittoria Italiana vollero strozzata la bruciante italianità dalmatica, e ben lo sa quel mondo folle e vile che volle ribadire la schiavitù della Dalmazia in nome di una giustizia bugiarda e di una Storia falsata.

Ne getteremo sulla bilancia il peso tremendo di seicentomila morti e di un milione di mutilati e di feriti. Ma ci limiteremo a dire perché la Dalmazia è italiana, e per ciò fare, ci appelleremo ad un giudice infallibile: la Storia.

Dai frantumi di quel mosaico di popoli e di razze che si chiamò Impero Austro-Ungarico frantumato dalle armi italiane, si riuscì (per quale miracolo o per quale necessità io non ho mai capito) a mettere insieme un mosaico nuovo di tre popoli che oggi costituiscono il regno trino.

Dei tre popoli, due furono durante la guerra mondiale valorosi soldati, che contro di noi strenuamente combatterono. Il terzo invece è il popolo di quel certo esercito che noi, e noi soli, salvammo allorquando, incalzato alle reni dalle baionette tedesche, sfinito dalla fame e decimato dal colera incombeva su di esso la distruzione totale.

Noi non neghiamo le verità storiche, ma storicamente non ammettiamo che le verità vere.

Vedremo poi come e perché, i croati calarono in Dalmazia dai Carpazi loro paese d'origine.

Bisogna risalire alla notte dei tempi per trovare le prime tracce romane in Dalmazia. Infatti risale al III secolo a. C. la comparsa vittoriosa dei romani nell'Adriatico. Comparsa che provocò la decadenza dello splendore del dominio greco in Adriatico, che tramontava poi colla riduzione della Grecia a provincia romana.

Possessori della costa occidentale dell'Adriatico, i romani non potevano tollerare le piraterie dei popoli illirici, annidati sulle coste istriane e liburniche.

Per il bisogno di mantenere il dominio del mare e la libertà dei commerci dopo una inutile ambasceria alla regina Teuta a Scodra (Scutari) i romani inviarono una flotta di 200 legni che distrusse la potenza degli illiri e sradicò la pirateria.

Da ciò i romani colsero il destro per stabilirsi sulla costa orientale dell'Adriatico a Corcira (Corfù), Epidamno, Alessio e Durazzo ed in altri luoghi dell'illirico greco che fu la prima conquista su questa costa.

Posto il piede sulla costa orientale adriatica i romani furono costretti ad interrompere la marcia, e dalla seconda guerra punica e dalle molestie dei Galli.

Ma nell'intervallo di cinquant'anni cioè fra la seconda e la terza guerra punica (prima metà del II secolo a. C.) i romani attratti di nuovo sulla costa illirica si coinvolsero in tre guerre nella seconda delle quali i Macedoni, della cui espansione erano gelosi i romani, stringevano alleanza col re Genzio d'Illiria.

Ma l'aiuto prestato da Genzio ai Macedoni gli trasse addosso l'immediata vendetta dei romani, così che nel 167 a. C. anche la potenza terrestre degli illiri era distrutta ed il loro paese sottomesso e diviso in tre repubbliche.

I romani comandavano ora su tutte le due coste dell'Adriatico, e fiaccata la potenza terrestre degli illiri incominciò la penetrazione e la colonizzazione romana della costa orientale adriatica.

Dal 156 a. C. al 12 d. C. i romani sostennero ben nove guerre per sedare le ribellioni e debellare la pirateria. Ma dopo queste lotte bisecolari l'llirico Greco, la Dalmazia (compresa l'odierna Bosnia) e l'Istria erano convertite in un vero giardino e godevano di larga prosperità.

La lingua, gli usi, i costumi e la religione dei romani vi dominarono e quei paesi vissero nell'affetto per la romanità dividendo con l'Impero Romano per secoli, il benessere prima e poi le sciagure.

Dal I secolo a. C. a lV d. C. e cioè nella pace romana di sette secoli l'Adriatico attraversò il suo periodo d'oro, ed altro non fu se non un lago romano sul quale non risuonò che l'eco di avvenimenti interni della storia romana.

Gli effetti della romanizzazione dell'Adriatico orientale sotto forma di contributo intellettuale alla civiltà latina si fecero sentire dopo i quattro secoli che stanno intorno all'era di Cristo e durante i quali questa costa fu dai romani seminata e fecondata.

I frutti maturarono con Diocleziano nel III secolo d. C. San Gerolamo nel IV°, Giustiniano nel VI.

La romanizzazione della costa orientale adriatica fu lenta e difficile poiché la natura rendeva i popoli di questa resti ad ogni innovazione.

Ma poi l'attaccamento all'idea romana fu qui più tenace che altrove, e la romanizzazione avvenne senza scosse e completa.

E quando nel 467 d. C., ad opera di Odoacre, capo degli Eruli, ebbe fine in Roma la dignità imperiale e cadeva l'Impero Romano d'Occidente, l'ultimo inglorioso Imperatore Giulio Nepote, si ritirò in Dalmazia ove s'ebbe il riconoscimento e dell'imperatore greco e dello stesso Odoacre.

Ed è proprio sulla sponda orientale dell'Adriatico, nella terra romana di Dalmazia e per l'affetto delle genti dalmate per la romanità che la dignità imperiale può sopravvivere per 4 anni ancora (almeno di nome).

Ed è proprio dalla terra romana di Dalmazia che la dignità imperiale manda prima di spegnersi per sempre, l'ultimo bagliore dal quale promanerà in eterno la luce folgorante dell'immortale civiltà di Roma.

Alle soglie dell'Evo Medio cadeva la potenza dell'Impero Romano ed aveva inizio l'invasione dei barbari, che, rotte le barriere non più difese dalle Legioni, irruppero per il Danubio, l'Illiria e l'Adriatico, verso Roma a portare la desolazione là donde erano partiti la civiltà e l'Impero.

L'Adriatico che era stato la strada per cui i romani conobbero il Danubio e l'Oriente, servì ai barbari per avvicinarsi all'Italia. Primi a comparire furono i Visigoti verso il 400 d. C., seguiti dagli Unni che distrussero Aquileia.

Dopo la sconfitta che determina la morte di uno Stato, cessa di regola la vita collettiva civile, ma sopravvive una buona parte dell'elemento etnico e talora anche l'idea. L'elemento etnico romano fu abbandonato a se stesso e non più curato da alcuno.

Ma l'idea sempre fulgida dell'Impero Romano si conservò in due luoghi.

A Costantinopoli nell'Impero Romano Orientale o Greco-Bizantino, e nell'Italia stessa, nella mente dei dominatori barbari ambiziosi di portare il pomposo titolo di Imperatori Romani.

L'Italia subì, dopo quella degli Unni, l'invasione degi Ostrogoti, condotti da Teodorico, che trasportò la sua sede a Ravenna, da dove dominò in modo effimero su buona parte dell'Impero Romano, compreso l'Adriatico settentrionale.

Però i suoi successori caddero in discordia, il che indusse Giustiniano Imperatore dOriente a tentare la conquista dell'Italia, ciò che gli riuscì dopo una lotta di venti anni.

Dal 553 d. C. l'Italia divenne una provincia dell'Impero Romano d'Oriente con tutte le due coste dell'Adriatico.

Il dominio bizantino sull'Adriatico raggiunse nel VI secolo un'alta importanza e durò funo al secolo XV.

Per amministrare i paesi della parte superiore dell'Adriatico i Bizantini collocarono un esarca a Ravenna.

Nel 568 d. C. il Re Alboino alla testa dei Longobardi scese in Italia, conquistò il paese che da loro prese il nome di Lombardia e dopo eletta capitale Pavia, allargò i possedimenti anche su parte della costa occidentale adriatica che, come si vede, contava come parte integrante dell'Italia.

Così la signoria dei bizantini fu ristretta alle città marittime della costa orientale (Dalmazia Bizantina) e con ciò ebbe principio quel frazionamento dell'Adriatico che dura ancora.

Con la conquista dei Longobardi ha termine la trasmigrazione dei barbari per la costa occidentale dell'Adriatico. Non così invece per l'orientale che appunto verso questa epoca (fine del VI secolo) fu tormentata dagli Avari e dagli Slavi. Fu rotta così la perfetta comunanza di vicende storiche che avevano tenute unite per otto secoli le due coste adriatiche.

La comparsa unicamente devastatrice degli Avari nella Storia ha nell'Adriatico una scena secondaria. Ma i disastri da loro apportati anche in questa regione sono tali da non poter essere passati sotto silenzio.

La comparsa degli Unni alle porte d'Italia aveva segnato la distruzione di Aquileia, quella degli Avari nell'Illiria segnò la distruzione di Salona che era il secondo grande emporio romano sull'Adriatico.

Di queste invasioni Avare fino alla costa orientale dell'Adriatico la Storia ne registra particolarmente due. La prima verso il 604, in cui rasero al suolo quaranta città della Dalmazia, e la seconda nel 639 in cui seminarono ovunque stragi e devastazioni.

È a questo punto della Storia che troviamo per la prima volta i Croati nella Storia della Dalmazia. Li troviamo cioè a mille anni di distanza da quella che fu la conquista romana dell'Adriatico orientale, e qualche secolo dopo che la romanizzazione della Dalmazia era avvenuta.

Vennero essi forse in nome di una civiltà, sia pure inferiore alla civiltà romana?

Furono essi spinti dal bisogno di un più ampio respiro o dalla necessità di assicurare libertà di traffici o di mercati? No. Essi, popolo barbaro, calarono verso la costa non come uomini ma come bruti.

Fu l'Imperatore d'Oriente Eraclio (dominatore più nominale che di fatto dell'Illiria) che nel saggio ma disperato proposito di frenare le incursioni degli Avari chiamò dai Carpazi il popolo slavo dei Croati cui tennero dietro dalla Galizia i Serbi, per opporre barbari a barbari.

Alla morte dell'Imperatore bizantino Eraclio i Croati irruppero verso il 620 nella Dalmazia, cacciarono gli Avari e si divisero la provincia che era rimasta spopolata occupando le regioni che vanno dal confine geografico italiano fino al nodo montano del Montenegro, e nel tratto della costa fino circa alla catena dinarica ad oriente.

Il resto fu occupato dai Serbi.

L'invasione slava segnò l'inizio di un periodo di sgomento e di prostrazione della costa orientale adriatica, periodo che durò un secolo e mezzo.

Nel 791 d. C., Carlomagno debellando gli Avari dal medio Danubio ove si erano annidati, sottomise anche i Croati.

Nasceva intanto l'alba della potenza veneziana. Sorta quasi per caso nella metà del quinto secolo in un luogo prima evitato da tutti, Venezia si trovò ben presto in condizioni geografiche tanto favorevoli da divenire lo scalo di una buona parte della Padania e l'emporio di congiunzione fra l'occidente e l'oriente d'Europa, e fu la dominatrice dell'Adriatico per otto secoli.

La città, dalla sua fondazione fino all'ottavo sccolo, crebbe lentamente sotto il dominio bizantino esercitato dall'Esarca di Ravenna che la difese contro i tentativi di conquista dei Longobardi.

Dall'ottavo secolo compaiono i Dogi che gradatamente acquistano sempre maggiore influenza ed autorità pur sopportando ancora la supremazia bizantina che scompare di fatto nel decimo secolo.

Durante la dominazione carolingia che abbracciò i paesi orientali alpini, la metà settentrionale della costa orientale coi fiumi Drava e Sava fino al Danubio, si presenta nella storia, come nucleo principale croato, la Croazia bianca con a capo dei Conti.

Il fatto politico della prevalenza del distretto politico della Croazia bianca si spiega con ragioni geograiche. Infatti lungo tutta la costa orientale dell'Adriatico la regione triangolare tra il Velebit, il Dinara e la costa, con i fiumi Zermagna, Cherca, Cettigna, è la migliore geografcamente.

Per questa causa naturale, congiunta a quella culturale della maggior presenza in questo tratto dell'elemento latino, ebbe origine quell'embrione di Stato Croato Nazionale di cui ancor oggi si parla spesso a proposito del trialismo jugoslavo.

Le condizioni politiche ora accennate durarono per tutto il IX secolo ed al principio del X uno di questi Conti, Tomislavo, si incoronò Re dei Croati. Egli governò dal 903 al 928 e morì poco dopo l'incoronazione.

Gli succedettero i figli che regnarono fino al 1074. Ma già alla morte del primo successore, avvenuta nel 945, il regno si divise (in apparenza per discordie e lotte fratricide) in sostanza per la immaturità del popolo, e decadde tanto da subire da lì a mezzo secolo una sconfitta decisiva dai Veneziani.

Intanto Venezia, che forse inconsciamente si apprestava a divenire l'erede di Roma sull'Adriatico, sostenne quasi un secolo e mezzo di lotte contro i pirati narentani e gli altri slavi che le impedivano l'espansione sulla costa oricentale.

Verso la fine del X secolo i Veneziani si apprestavano ad una intrapresa decisiva per la supremazia dell'Adriatico.

Appunto alla fine del X secolo i Veneziani con il Doge Pietro II Orseolo dopo una guerra durata quattro anni vincevano la resistenza dei pirati narentani e dei Croati occupando una dopo l'altra Ossero, Zara, Traù, Spalato, Curzola, Lagosta e Lissa, fraternamente accolti dagli abitanti latini della costa.

I Croati ebbero ancora uno sprazzo di luce sotto il Re Crescimiro, discendente di Tomislavo, ma figlio di una Dogaressa veneziana.

Egli riottenne, in nome di Bisanzio, il governo delle città latine della costa e assunse il titolo di Re di Dalmazia. Alla morte di lui nel 1090 si estinse del tutto la dinastia croata.

Dopo un decennio, col consenso della maggior parte dell'elemento croato (non del latino che dal 1074 Si trovava sotto la supremazia titolare di Venezia) la corona fu cinta nel 1102 da Colomanno Re d'Ungheria.

Finiva cosi la dominazione croata sostanzialmente effimera, poichè in eftetto i re croati non avevano nemmeno una sede stabile ed esercitavano le loro attribuzioni vagando da un albergo all'altro da Nona a Zaravecchia, da Sebenico a Tenin e in altre città latine alle quali naturalmente dovevano usare deferenza e rispetto e assicurare o concedere moltissimi privilegi.

Da allora le lotte delle quali l'Adriatico fu teatro nei secoli successivi non videro mai più come attore il popolo croato la cui effimera potenza era, come dicemmo, definitivamente tramontata nel X secolo.

Per quanto riguarda i Serbi calati all'Adriatico con i Croati, essi diedero il nome a due regioni: Bosnia (venezialmente Bossina) e la Rascia (Resia) detta oggigiorno vecchia Serbia, regione tra i fiumi Drin, Vardar, Morava e Lin.

Nei secoli XII - XIII - XIV nelle varie incursioni dell'interno partivano da Almissa dei terribili pirati slavi, probabilmente affini ai narentani, che scorrazzavano il litorale dalmatico fhno a Spalato rendendo malsicuro l'Adriatico, e che non cessarono di esercitare la pirateria se non quando furono vinti e sottomessi dai Veneziani.

Riuscirono molesti ancora nel XV secolo, quando i conti di Bribir estesero la signoria anche da quelle parti.

Durante l'epoca in cui gli Angioini sedevano sul trono di Ungheria la famiglia di questi conti slavi ottenne la carica di Bani delle regioni al mare (Banus Marittimus) e così avvenne che uno di questi conti signoreggio in nome dell'Ungheria sulla maggior parte della Dalmazia.

Però anche questo debole tentativo di vita indigena sulla costa orientale adriatica abortì, ed i conti di Bribir perirono allorquando, cessata la potenza dei loro mandanti, Venezia ridivenne la Signora della costa dalmata.

Ritorniamo ora per un momento ai Serbi che, come dicemmo, erano calati in Dalmazia con i Croati.

Benché il paese dal Cettigna press'a poco all'Albania, quindi in un raggio comprendente Serbia e Montenegro e Bosnia odierni, fosse stato occupato ancora nel VIl secolo dai Serbi, questo popolo che appena nel secolo successivo passò al Cristianesimo, subì in principio la signoria dei Bizantini e dei Bulgari.

Appena dopo il 1000 incominciò a formarsi uno Stato indipendente che nei vari tentativi di espansione giunse quasi all'Adriatíco per cui i Serbi vennero a contesa con la latinità d'occidente (Ragusa ed i Pontefici) per le differenze di religione, in quanto i Serbi avendo ricevuto il Cristianesimo da Costantinopoli, erano scismatici. Perciò lo Stato serbo visse vita stentata e contrastata, fino a che il valore personale di un suo Re, Stefano Dusciano, il maggiore di tutti i dominatori serbi e che imperò dal 1336 al 1356, si impossessò della Macedonia, della Tessaglia, della Bulgaria, dell'Albania e dell'Epiro settentrionale e portò il dominio serbo ad un rapido ed insperato, ma anche effimero, lustro.

Sotto i suoi successori l'Impero Serbo si sfasciò e la grandezza militare serba trovò la tomba nella famosa battaglia di Kosovo: 1389.

Per completare il quadro del XIV secolo, col quale stava per chiudersi il periodo della preparazione e dei rivolgimenti derivati dalla caduta della Romanità, Occorre ricordare ancora un avvenimento, e cioè l'umile arrivo degli Asburghesi al mare nel 1382, provenienti dai paesi alpini della odierna Svizzera tedesca, i quali riuscirono ben presto a fondare un impero di primo ordine che gravitò poi fatalmente sull'Adriatico.

Il passaggio dall'Evo medio al moderno, che quando si studia la Storia apparisce unicamente per ragioni tecniche come un cambiamento di scena, si compi invece anche per l'Adriatico senza mutamenti rumorosi.

La Serenissima continuò a dominare e i cambiamenti più notevoli avvennero gradatamente più tardi per opera degli Asburghesi e dei Turchi. La vita dell'Adriatico portò, fino al XVIII secolo l'impronta di Venezia, benchè il dominio della Serenissima non fosse senza contrasti e senza pericoli per le lotte che dovè sostenere contro gli Asburghesi, i Turchi, i Papi, e gli Spagnoli di Napoli.

Nel 1796 cadeva la gloriosa secolare Repubblica Veneziana ed il 16 maggio dell'anno successivo tremila soldati francesi entrarono a Venezia.

Erano queste le prime milizie straniere che contaminavano la Piazza di San Marco.

Napoleone depredò Venezia e la consegnò poi nella pace di Campoformio il 17 ottobre 1797 in mano al suo più terribile nemico: l'Austria, insieme con l'Istria, la Dalmazia e Cattaro.

È di questa epoca la sepoltura dei Gonfaloni veneziani sotto gli altari di Dalmazia. Quei Gonfaloni che per 13 secoli (423-1797) avevano sventolato nel cielo di Dalmazia a simboleggiare la potenza e la civiltà italiana; nei cieli e sui mari del mondo, a simboleggiare la latinità immortale. Quei Gonfaloni che noi, e se non noi, i nostri figli o i nipoti ridaranno al bacio del sole e della gloria, perché è fatale che la Storia si ripeta.

Un ultimo sprazzo di luce i Croati ebbero tra il 1830 ed il 1840 quando Lodovico Gaj, nato nel 1809 a Krapina, luogo a settentrione di Zagabria, cercò un'idea capace di unire tutti i popoli slavi discordi e dispersi dal Danubio all'Adriatico, e nacque l'idea della nuova creazione delle provincie Illiriche nella credenza erronea che gli slavi fossero i discendenti degli antichi Illiri perché ne abitavano i territori.

L'idea invaghi la mente di molti, ma non potè resistere alla verità storica che gli slavi non sono affatto i discendenti degli Illiri.

Questo fu l'ultimo sprazzo di idealismo slavo e fu di contro la prima manifestazione veramente nazionale che gli slavi della parte orientale adriatica abbiano fatta conoscere.

Così in questa rapida e sommaria corsa attraverso la Storia, soffermandoci soltanto sugli avvenimenti più importanti e decisivi per la Dalmazia, abbiamo stabilito in modo preciso ed inequivocabile, che la Dalmazia è romana da ventidue secoli, ed è italiana da venti secoli per la sua dedizione alla romanità, dedizione riconfermata dalla dedizione a Venezia, erede non indegna di Roma.

E questo è il nostro diritto storico.

Allorquando una dominazione cade, i popoli soggetti ne danno alle fiamme le insegne. Quando la potenza di Venezia si frantumò e la Dalmazia venne dall'imperatore dei francesi consegnata all'Austria, i popoli latini di Dalmazia seppellirono sotto gli Altari le insegne di S. Marco, per adorarle finchè fossero tornate al bacio del sole.

E questo è il nostro diritto umano.

La Dalmazia non solamente non è serba nè croata, ma nulla ha di affineo di comune con i popoli slavi.

E tralasciando i Serbi che, come abbiamo visto, non giunsero mai all'Adriatico, attraverso oltre duemila anni di Storia, la Dalmazia non conobbe che il diritto e la legge romana prima, e quella di Venezia poi: perché le parentesi aperte dai barbari nella Storia dell'impero Romano e della Repubblica di Venezia in Dalmazia non contano, perché parentesi antistoriche, appunto perché aperte da popoli barbari.

L'unica differenza che distingue gli slavi dagli altri popoli barbari sta nel fatto che essi non calarono nella Dalmazia di iniziativa propria, ma ne furono chiamati, e lo furono, sventuratamente da un Imperatore romano d'Oriente.

Questo popolo non ebbe che un solo risveglio veramente nazionale; quello fra il 1830 ed il 1840, sotto l'influenza politica della Rivoluzione francese, che ebbe ripercussioni sul mondo intero.

Erano dunque occorsi 18 secoli di convivenza con la civiltà latina, perché il popolo croato acquistasse una propria personalità ed una coscienza veramente nazionale.

Tutti gli Italiani che sentono la bruciante passione dalmatica, ricordano particolarmente un episodio della nostra guerra.

Era l'alba del 21 luglio 1915. Sul S. Michele, che per la prima volta i Bersaglieri riconquistavano alla Patria, era giunto da Bosco Cappuccio con il suo Battaglione, Francesco Rismondo.

L'Altare del Martirio lo accolse nell'Eterna Gloria, e la sua Spalato fu, con tutta la Dalmazia, ancora una volta perduta.

Un altro Spirito saliva così nel cielo della Patria a portare la Croce di tutta la sua gente, a cantare la passione di tutta la sua terra.

Ma nell'Italia risorta, rintrona ancora la cadenza delle Legioni, e l'Uomo che la razza ha espresso dal profondo delle sue radici per farne la formidabile potenza di Roma operante, ha risollevato le insegne millenarie e tiene nel saldo pugno le Aquile Imperiali.

E fatale che un giorno le Aquile siano riscagliate nel cielo che conobbe il loro largo volo.

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