sabato 21 ottobre 2023

LA STORIA DELL'ECONOMIA ISTRIANA PRIMA DEL PASSAGGIO ALLA JUGOSLAVIA

All'alba della sua storia nel 178 a. C. con la presa di Nesazio da parte di Roma l'Istria si presenta come un territorio di ampie e distese foreste, dalla ricca fauna, dove fiorisce l'agricoltura e la pesca e un commercio primitivo e ardito. Le città costiere divennero colonie militari e centri commerciali molto fiorenti. Le condizioni generali dovevano essere molto buone come lo dimostra il calcolo della popolazione dell'epoca che, secondo il De Franceschi era di circa mezzo milione, il dop- pio dell'attuale. Molto popolata era specialmente la zona meridionale a differenza dell'epoca moderna — con centri ricchissimi di ville e di templi. Anche la ricchezza monumentale di Pola — la Pietas Julia lo conferma.

Il periodo di benessere e di prosperità durò fino al tramonto di Roma, 476, e oltre sotto la dominazione bizantina.

Lo storico Cassiodoro, che fu anche prefetto di Vitige re degli Ostrogoti, in una sua lettera del 537 descrive la costa istriana, dicendola non inferiore per bellezza all'incantevole paradiso di Baia, dove gli imperatori romani si ritiravano a godere la vita degli dei; accennando ai frequenti e ricchi palazzi, costruiti sui poggi della nostra ri viera, egli concludeva: «che l'Istria era fortuna ai mediocri, delizia ai ricchi, ornamento dell'impero d'Italia».

Per l'alto e diffuso livello della cultura, per il fiorire dei commerci, delle industrie e dell'agricoltura è indubbio che anche per l'Istria si possa concludere per tale periodo con le parole del Mommsen: «ci sono molti paesi, per i quali l'epoca romana, per se stessa abbastanza modesta, segna invece il punto più alto, nè prima nè poi mai raggiunto di una dominazione modello».

Nell'alto Medio Evo, specie sotto la dominazione bizantina e franca, l'Istria mantenne la sua florida posizone economica per i legami commerciali con I'Italia settentrionale. Le invasioni barbariche non lasciarono traccie sensibili, ma dalle regioni settentrionali le popolazioni si spostarono verso la costa per maggiore sicurezza. Nel 804 si ha il placito del Risano: i messi di Carlo Magno dietro le proteste delle popolazioni rimandarono gli Slavi sulle alture del Carso.

Con il 1000 l'Istria viene a trovarsi nella zona di attrazione politica e commerciale di Venezia. 

Le condizioni economiche ritornano fiorenti dopo secolo di pesti e carestie: il geografo arabo Edrisi verso il 1500 fa menzione di splendide e popolose città istriane. Fioriva l'esportazione del vino e dell'olio e, in conseguenza degli allevamenti dell'interno, l'industria della lana e dei tessuti; sopratutto il bosco di S. Marco presso Montona nella valle del Quieto forniva il legname per le galere veneziane. Molti palazzi e moli di Venezia furono costruiti con la pietra da costruzione istriana proveniente per lo più da Orsera. Anche l'esportazione del sale e del pesce costituirono notevoli fonti di benessere. Tuttavia la mancanza di strada rendeva difficilmente accessibili alcune zone dell'interno.


Gravi furono invece le condizioni nel XV e XVI secolo a causa del flagello della peste per cui alcune città perdettero anche il 50% degli abitanti. La malaria e le guerre e poi le incursioni piratesche turche e uscocche completarono il lavoro di spopolamento. Al quale Venezia pensò di rimediare con un piano organico e ampio di trasferimento di popolazioni balcaniche e delle isole ionie minacciate dai Turchi. Così ad esempio nel 1539 furono 2000 morlacchi e 70 famiglie greche che si trasferirono in Istria. II XVI secolo segna pertanto un notevole cambiamento etnografico a causa dell'elemento importato che si stabilisce nelle campagne, mentre quello italiano dalla città e dai di pietra.
Con il 1797 che segna il tramonto della Serenissima l'Istria chiudeva un glorioso periodo storico.
Il carattere nazionale della penisola non cambiò.

La precarietà delle condizioni economiche, a ripopolamento avvenuto, cessò verso la metà del 1600. I proventi del terreno aumentarono, l'agricoltura attirò nuovamente la gente, negozianti di ogni ramo ripreso le attività nei centri più impor tanti. Inoltre la minaccia dei Turchi aveva unito Venezia all'Austria e finirono le rivalità che per secoli si erano manifestate con lotte doganali e chiusura di traffici. Anche l'apertura dell'emporio triestino cominciò a far sentire benefici influssi, per quanto l'attività industriale si limitasse alle cave.

Nel 1814, cessato il periodo napoleonico che fu molto importante per l'economia istriana per l'apertura di nuove strade, l'Istria passò interamente sotto la dominazione asburgica.

In complesso il periodo durato un secolo lasciò l'economia in uno stato modesto, inadeguato e retrogrado. Infatti nell'aprile del 1864 la Dieta di Parenzo (quella stessa che alcuni anni prima aveva risposto unanime: « Nessuno ») si rivolgeva in questi termini al Governo di Vienna per protestare contro le condizioni economiche gravi specie nell'agricoltura: «...se volgiamo lo sguardo al presente stato dell'Istria ci si trova dinanzi a un complessso si desolante da trovare riscontro soltanto nei paesi dove la luce della civiltà ancora non è penetrata».

Per l'Austria, l'Istria era importante sopratutto, o meglio soltanto, strategicamente. Fu infatti una necessità strategica la costruzione della ferrovia Trieste-Pola con un tracciato che non risponde affatto alle esigenze economiche. Fu una necessità strategica sopratutto il potenziamento del porto di Pola che diventò base navale di primo ordine, nido della poderosa flotta da guerra austriaca. Pola in poco tempo riprese l'importanza del passato, decuplicò la sua popolazione che raggiunse i 50.000 abitanti, ebbe uno sviluppo industriale grandissimo.

Per il resto, economicamente tale periodo è modestissimo: costruzione di impianti alberghieri a Portorose, a Brioni, costruzione di una ferrovia a scartamento ridotto tra Trieste e Parenzo (1902), qualche piccola industria locale che sorse qua e là. Niente altro; le miniere di Arsa non furono sfruttate, data l'abbondanza di carbone; la bauxite istriana non ebbe possibilità di sfruttamento dato il relativamente recente impiego delle leghe leggere di alluminio.

Tuttavia il poderoso sviluppo industriale e commerciale di Trieste apportò indirettamente benefici alla economia istriana: Trieste diventò il principale se non l'unico mercato di consumo dei prodotti istriani e il centro di rifornimento dei prodotti industriali.

Dopo il 1918 si apre per l'Istria un nuovo ciclo storico di cui fondamentale fu il continuo, sicuro miglioramento economico e sociale di cui beneficicrono italiani e slavi in eguale misura. È una serie ciclopica di lavori pubblici, una moderna e organica mole di attività che operarono a trasformazione dell'ambiente fisico, agricolo, industriale dell'Istria: in sinstesi si tratta di oltre. 300 milioni di lire prebelliche spese in 25 anni dall'Italia in Istria, dove il lavoro, il capitale, la tecnica lasciarono orme non concellabili.

Furono migliorate le condizioni generali d'ambiente: sorsero oltre 50 scuole rurali nuove, furono rinnovate quelle vecchie, si costruirono oltre 370 Km. di strade nuove, si migliorarono le sistemazioni portuali in quasi tutte le località costiere, si impiantò una moderna ed efficientissima rete di trasporti automobiisti che consentì il collegamento con Trieste e Pola anche dei più remoti centri dell'interno, dalle centrali venete e carniche fu avviata l'energia elettrica per dare all'Istria nuovo impulso industriale e comodità domestiche per il passato sconosciute, si bonificarono oltre 6000 etttari (e così sparì la secolare viaga della malaria), si risolse infine il problema vitale per l'Istria, quello dell'acqua, con la costruzione dell'acquedotto.

Tutte le attività e le opere sopra accennate, ed altre omesse per brevità, ebbero il loro benefico in flusso sulle condizioni sociali ed economiche.

Ma, si sa che l'Istria fino al 1918 era una regione quasi esclusivamente agricola, e si sa pure che per l'aridità di buona parte del suolo istriano, per la irregolarità delle precipitazioni e per le conseguenti frequenti siccità, per il frazionamento della proprietà, il nostro agricoltore stentava chiudere il suo bilancio a pareggio. L'operazione fondamen tale del rinnovamento avvenuto dopo la Redenzione consistette appunto nel risvegliare altre attività economiche che consentissero di integrare il magro reddito agrario con un reddito industriale più sicuro e continuo. E infatti il potenziamento industriale operò il miracolo: prima della guerra circa un terzo della popolazione istriana viveva dell'industria.

Carattere saliente dell'attività industriale è che almeno due terzi di tutte le industrie si basano sulle risorse locali, e eppena un terzo si appoggia alla importazione delle materie prime. Il primo posto lo tengono le industrie estrattive: il carbone (266 mila tonnellate nel 1933, 1.200.000 nel 1940) che dava lavoro a 10.000 operai nelle miniere di Arsia, oltre a minori contingenti occupati nelle miniere di Sicciole; la bauxite (94.000 tonn. nel 1933, 400.000 tonn. nel 1940) avviata a Venezia per la lavorazione e la produzione dell'alluminio; la silice (8.000 tonn. nel 1933, 70.000 nel 1938); il cemen to (100.000 tonn. nel 1933 e 180.000 nel 1938); la pietra da costruzione assorbinavano un notevole numero di operai contadini. Alle industrie estrattive vanno aggiunte quella conserviera che aveva ad Isola gli stabilimenti più moderni d'Europa (nel 1933, 22.000 tonn. di conserve, nel 1938 75.000) che occupavano circa 3000 operai. La pesca, il turismo, le manifatture tabacchi, la produzione del sale, le industrie navali ed altre minori apportarono un nuovo impulso alla vita economica istriana.

Se guerra non fosse intervenuta a troncare tragicamente questo complesso fervore di opere, il periodo tra il 1918 e il 1943 sarebbe da considerare come la base di uno sviluppo economico e di un benessere certamente insuperabili.


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