La figura di Vasa Cubrilovic e dei suoi due manuali di puliza etnica dimostra in modo inconfutabile l’erroneità delle tesi di chi, ancora oggi, nega, minimizza o giustifica il genocidio italiano in Venezia Giulia e Dalmazia, compiuto dai comunisti di Tito.
Infatti, i piani operativi stesi dal Cubrilovic, altissimo personaggio del regime socialista jugoslavo ed amico personale di Tito, provano ulteriormente come la Jugoslavia avesse programmato con largo anticipo un’operazione di “ingegneria etnica” in Venezia Giulia, oltre che in altre regioni allogene su cui aveva delle mire.
Nel 1936, quindi anteriormente alla guerra mondiale ed alla salita al potere di Tito, il Cubrilovic aveva redatto un testo chiamato Iscljavanje Arnauta, cioè Piano di allontanamento degli albanesi, nel quale suggeriva una serie di misure per estirpate gli odiati “Arnauti”, appunto gli Albanesi, dal Kosovo. (Sui fortissimi contrasti interni alla Jugoslavia monarchica cfr. ad esempio Jacob Hoptner, “Yugoslavia in Crisis, 1934-1941”, New York 1962, nel quale si documenta la realtà di un sistema statale essenzialemente serbocentrico dilaniato dagli opposti nazionalismi delle varie etnie facente parte della Jugoslavia. Sull’argomento dei nazionalismi jugoslavi è notevole, fra gli altri, lo studio di K. Boeckh, “Von den Balkankrieg zum Ersten Weltkrieg. Kleinstaatenpolitik und ethnische Selbsbestimmung auf dem Balkan”, München 1996).
È degno di nota come, di fatto, il manuale Cubrilovic, opportunamente modificato a seconda delle esigenze del tempo, abbia poi trovato effettiva applicazione in terra kosovara ad opera di Milosevic nell’ultimo conflitto balcanico.
Il Cubrilovic indicava una serie di misure precise per scacciare gli “etnodiversi”:
1) Leggi discriminatorie a loro danno, tali da indurli ad andarsene.
Il Cubrilovic indicava una serie di misure precise per scacciare gli “etnodiversi”:
1) Leggi discriminatorie a loro danno, tali da indurli ad andarsene.
2) Misure strettamente economiche: tassazioni, espropri, prestazioni lavorative forzose, ritiro delle licenze commerciali, licenziamenti di massa dei membri delle etnia “ostile”.
3) Misure di ordine religioso: arresto o cacciata del clero, distruzione di edifici di culto e cimiteri, impedimenti frapposti al libero esercizio del culto ecc.
4) La costituzione di reparti para-militari di civili armati, tratti dall’etnia dominante ed inviati nella regione al fine di terrorizzare e vessare gli abitanti locali.
5) Il compimento di stragi, arresti e deportazioni di massa, al fine di creare una “psicosi dell’evacuazione” (questa è l’espressione adoperata dal Cubrilovic) ed indurre gli “etnodiversi” ad andarsene.
6) L’intera operazione doveva essere ben pianificata ed organizzata dall’alto, da parte del governo e dello stato maggiore, e con l’ausilio non solo dell’esercito e della polizia, ma persino di altri organismi, come, ad esempio, i sindacati.
Cubrilovic poi nel 1944 scrisse un suo secondo memorandum, che s’intitola “Il problema delle minoranze nella nuova Jugoslavia” (Manjinski problem u novoj Jugoslaviji). Esso riprendeva la sostanza del piano del primo, mentre la differenza principale è che non era più rivolto verso gli Albanesi, bensì in direzione di tutte le minoranze non jugo-slave che sarebbero state incluse nei territori della nuova repubblica socialista.
Cubrilovic si espresse con la massima chiarezza riguardo agli Italiani della Dalmazia, dell’Istria, di Trieste e Gorizia, che andavano tutti cacciati, per conquistare anche etnicamente e non solo politicamente tali territori. Egli formulò proprio l’espressione di “conquista etnica”, mediante cacciata degli Italiani seguita da colonizzazione slava. Questo comunista serbo giunse a scrivere che la Jugoslavia era autorizzata dal “diritto del vincitore” ad obbligare l’Italia a riprendersi i suoi connazionali di Istria e Dalmazia.
Il Cubrilovic, passato dal nazionalismo serbo al comunismo titino, divenne ministro di Tito e suo amico personale, ed in tal modo potè essere dei maggiori artefici delle numerose operazioni di “pulizia etnica” compiuta dalla Jugoslavia comunista. Esse colpirono non solo la Venezia Giulia e la Dalmazia, cioè gli Italiani, ma anche la Carinzia (Tedeschi), il “triangolo ungherese” (Magiari), e la Dobruja (Bulgari).
Il ruolo di questo individuo in tali operazioni di pulizia etnica risulta provato da una serie di fattori decisivi.
- il ruolo di ministro;
- l’amicizia personale con Tito;
- la corrispondenza fra le istruzioni dei suoi manuali e la realtà concreta della pulizia etnica;
- infine, argomento davvero risolutivo, una documentazione d’archivio dello stato jugoslavo, oggi reperita, che riporta le sue direttive in merito alla cacciata di massa delle etnie non jugo-slave dai territori occupati dalla Jugoslavia.
L’esistenza del piano orchestrato da Cubrilovic, ben prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, e destinato in origine ad essere applicato contro gli Albanesi, è un’ulteriore prova di come gli eventi del 1943-1945 in Venezia Giulia possano essere compresi unicamente quale una pulizia etnica orchestrata dall’alto, da Tito stesso, sulla base di un piano ben preciso.
Questa dittatura era assieme socialista e nazionalista, ed operò la sua repressione totalitaria in una duplice direzione: verso gli oppositori politici da una parte, verso le etnie “estranee” dall’altra. Si ebbe così una vera ecatombe di nemici ideologici, ed assieme la cacciata in massa di tutti coloro che non erano ritenuti jugo-slavi.
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