La breve ricostruzione storica che ripercorreva i punti salienti del “lungo genocidio” perpetrato dall’invasione slava nel VII secolo dopo Cristo sino alle Foibe, passando per le durissime persecuzioni compiute a discapito degli italiani sotto l’impero asburgico dal 1866 al 1918 e sotto la monarchia jugoslava nel periodo fra le due guerre certamente non è piaciuta a coloro che vorrebbero slavizzare a forza Trieste e Gorizia e staccarle dalla madrepatria.
Non volendo fare pubblicità a secessionisti e negatori delle foibe, preferiamo non nominarli in questa pagina e non riportare le loro frasi. Le loro repliche aggressive ed insultanti sono comunque la dimostrazione che abbiamo detto la verità ed abbiamo colto nel segno. Ciò che loro scrivono, con il solito, banale, obsoleto armamentario di stereotipi, è inoltre la dimostrazione che il negazionismo delle foibe è purtroppo ancora vivo.
Come risposta a questi negatori delle Foibe e dell’Esodo, vogliamo inserire un agile articolo che ripercorre sinteticamente le politiche della Jugoslavia monarchica fra il 1918 ed il 1941 rivolte a cacciare gli italiani dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia, a prova ulteriore del fatto che il progetto di compiere un genocidio degli italiani in queste regioni era sorto ben prima dell’arrivo dei miliziani del dittatore Tito, potendosi fare risalire come minimo al XIX secolo.
1. La Jugoslavia riprende il programma asburgico di slavizzazione forzata della Venezia Giulia
La Jugoslavia, in cui predominava l’elemento etnico serbo, da sempre ostilissimo all’Austria, e dal cui contrasto con l’impero asburgico era scaturita la prima guerra mondiale, al tavolo di pace pretese l’intera Dalmazia e l’intera Venezia Giulia, sino al confine italo-austriaco del 1866, anzi rivendicando persino territori che erano italiani già a quella data, domandando di spostare il confine al Tagliamento.
La ragione di questa richiesta, che violava completamente sia gli accordi fra gli stati dell’Intesa, sia anche solo i “principi di Wilson”, consisteva nel fatto che i nazionalisti sloveni e croati entrati a far parte del nuovo regno riprendevano i programmi e le ideologie che avevano sviluppato durante il dominio asburgico, ivi incluso naturalmente il progetto originario del “trialismo”, che prevedeva una Venezia Giulia slavizzata con una Trieste slava quale capitale.
Gli ideologi, le argomentazioni a sostegno di tali rivendicazioni ecc. erano sostanzialmente uguali, senza soluzione di continuità.
2. Il 1920. Una nuova tappa della distruzione dell’italianità in Dalmazia
Un’altra catena di feroci violenze e persecuzioni contro gli italiani ad opera degli slavi avvenne nel 1920, provocando un’altra fuga di massa dalla Dalmazia, la seconda dopo il 1866 e gli anni posteriori.
Anche in questo caso, come era già accaduto in precedenza sotto il regime asburgico, le autorità, nella circostanza quelle jugo-slave, non impedirono le violenze e gli atti criminali, anzi addirittura vi presero parte diretta. Un Italiano di Dalmazia, Raimondo Deranez, scrivendo nel 1919 "Alcuni particolari sul martirio della Dalmazia" ed enumerando l’ininterrotta successione di violenze, prepotenze, arbitrii, vessazioni ecc. che colpivano i dalmati italiani sin dal 1866, dichiarava che l’autorità austriaca era “complice della croateria, tollerava la brutalità e la barbarie”, mentre invece “le guarnigioni serbe della Dalmazia jugoslava non solo tollerano le «atrocità», ma vi cooperano.”
La presenza italiana in Dalmazia, regione che era stata interamente latina sino all’arrivo degli slavi nel VII secolo d. C., ed a maggioranza italiana durante gran parte della plurisecolare presenza veneziana, si ridusse così a pochissime città ed isolotti, vere e proprie fortezze assediate, mentre ancora prima del 1866 essa si estendevano ancora ampiamente in zone rurali. Il 1943-1945 doveva cancellare queste ultime reliquie della più che bimillenaria presenza latina in Dalmazia.
3. Il terrorismo jugoslavo in Venezia Giulia
Inoltre, sin dall’immediato dopoguerra, il governo jugoslavo sostenne l’azione di terroristi slavi dediti all’assassinio in territorio giulio-veneto. Una breve valutazione dell’entità del terrorismo slavo in Venezia Giulia può essere dato dal seguente elenco, largamente incompleto, delle loro operazioni:
Nel periodo 1920-1922 si hanno le seguenti azioni omicide ad opera dei terroristi slavi:
- Assassini del maresciallo della Guardia di Finanza, Postiglione, della guardia regia Giuffrida, del finanziere Plutino, del carabiniere Cecchin, della guardia regia Poldu, del tenente Spanò e del sergente Sessa, avvenuti a Trieste.
- Assassinio del finanziere Stanganelli avvenuto a Postumia.
- Assassinio del brigadiere dei Carabinieri Ferrara avvenuto a Pola.
- Assassinio del finanziere Caravelli avvenuto a Gorizia.
- Assassinio del soldato Palmerindo avvenuto a Carnizza.
A partire dal 1924, risoltosi formalmente il contenzioso italo-jugoslavo, lo stato jugoslavo pratica una politica di doppiezza, formalmente ed ufficialmente riconoscendo il confine pattuito, di nascosto appoggiando e finanziando altri gruppi terroristici. I quali sono responsabili delle seguenti azioni:
- Attacco militare ai posti della Guardia di Finanza di Cotedarsizzadi Fontana del Conte e di Molini.
- Assalto compiuto da una banda di una ventina di armati, provenienti da oltre confine, attaccarono il corpo di guardia del valico confinario di Unez, uccidendone il comandante, il sottobrigadiere Lorenzo Greco.
- Nell'aprile del 1926 fu attaccata a scopo di rapina la stazione ferroviaria di Prestrane, con uccisioni del ferroviere Ugo Dal Fiume e la guardia di finanza Domenico Tempesta.
- Nel mese di luglio 1926 fu appiccato il fuoco ad un bosco del comune di Trieste.
- Nel novembre 1926 avvenne un attentato dinamitardo alla caserma di San Pietro del Carso, con la morte di Antonio Chersevan, mentre rimasero gravemente feriti Francesco Caucich ed Emilio Crali.
- Nella notte del 10 febbraio 1927, nelle vicinanze del castello di Raunach vi fu un'imboscata ad una pattuglia militare, con sparatoria in cui rimasero feriti Andrea Sluga e Francesco Rovina.
- Nel maggio 1927 fu tesa, sulla strada tra Postumia e San Pietro del Carso, un'altra imboscata ad una di queste pattuglie, ed in essa rimase ferito il soldato Cicimbri.
- Il 29 dicembre del 1927 di quell'anno fu incendiato il Ricreatorio di Prosecco.
- Nell'aprile del 1928, ancora a Prosecco, fu incendiata la scuola elementare.
- Nel maggio dello stesso anno fu incendiata quella di Cattinara e fu tentato l'incendio dell'asilo infantile dell'Opera Nazionale Italia Redenta di Tolmino.
- Il 3 agosto 1928 ebbe luogo l’assassinio a tradimento della guardia municipale di San Canziano, Giuseppe Cerquenik.
- Nello stesso mese fu incendiato il ricreatorio della Lega Nazionale di Prosecco.
- Ai primi di settembre del 1928 fu incendiata la scuola di Storie.
- Il 22 settembre 1928, a Gorizia, furono uccisi lo studente Coghelli ed il soldato Ventin che aveva cercato di fermare l'assassino del Coghelli.
- Nel gennaio 1929 si ebbe la devastazione dell'asilo infantile di Fontana del Conte.
- Nel marzo 1929 ci fu l'assassinio, a Vermo, di Francesco Tuchtan.
- Nel giugno 1929, si ebbe l'incendio della scuola di Smogliani.
- Nel luglio 1929 fu fatta saltare in aria la polveriera di Prosecco.
- Nel novembre 1929 avvenne la rapina all'ufficio postale di Ranziano.
- Nel dicembre 1929 si ebbero i tentati omicidi dell'agente Curet a S. Dorligo della Valle e della guardia Francesco Fonda.
- Nel gennaio 1930 vi fu l'attentato al Faro della Vittoria a Trieste.
- In febbraio fu incendiato l'asilo infantile di Corgnale.
- Sempre a febbraio fu assassinato a Cruscevie il messo comunale Goffredo Blasina.
- Il 10 febbraio ci fu l'attentato dinamitardo al Popolo di Trieste, in cui morì lo stenografo Guido Neri, mentre rimasero gravemente feriti i correttori di bozze Dante Apollonio, Giuseppe Missori ed il fattorino Marcelle Bolle.
- Nel maggio del 1930 furono assassinati a San Dorligo della Valle i coniugi Marangoni.
- Nei primi giorni del settembre 1930, in uno scontro a fuoco con dei terroristi sloveni che cercavano d'introdursi in regione, fu uccisa la guardia alla frontiera Romano Moise e il suo commilitone, Giuseppe Caminada, fu gravemente ferito.
Si noti come questo elenco sia approssimato per difetto, sebbene presenti un bilancio impressionante per numero di azioni terroristiche e loro gravità.
Ciò che rende particolarmente gravi le azioni suddette è il fatto che esse non furono opera di gruppo clandestini indipendenti, bensì di organizzazioni terroristiche create, controllate ed organizzate dallo stato jugoslavo stesso.
Lo stato jugo-slavo perseguiva una politica di doppiezza, da una parte riconoscendo ufficialmente la frontiera ottenuta dall’Italia, dall’altra costituendo dei nuclei armati terroristici, che avevano le loro sedi in territorio jugo-slavo ed erano organizzate, addestrate, armate, guidate dall’esercito jugo-slavo.
L’impiego di simili strumenti non erano nuovo allo stato jugo-slavo, il quale ereditava una tradizione già propria di quello serbo, che si era servito anch’esso di organizzazioni terroristiche (“Mano Nera” e “Mano Bianca”) per combattere la presenza asburgica in Bosnia-Erzegovina.
Le associazioni terroristiche jugo-slave, che prendevano il nome di “TIGR” e “Borba”, malgrado avessero il loro impianto strutturale in Jugo-slavia e fossero costituite per lo più da jugo-slavi, pure avevano naturalmente anche ramificazioni in Venezia Giulia, ed ivi svolgevano con l’appoggio dei loro sodali anche un’intensa propaganda anti-italiana, affiancata agli atti terroristici.
Il terrorismo jugo-slavo in Venezia Giulia, oltre alla sua intrinseca gravità, consente di meglio comprendere ciò che realmente accadde in quella che i nazionalisti slavi presentano come “persecuzione fascista”.
L’incendio dell’hotel Balkan, presentato da alcuni come il massimo atto di violenza fascista contro gli Slavi in Venezia Giulia, ebbe invece come responsabili i terroristi jugo-slavi. Il 13 luglio del 1920, in seguito alle violenze anti-italiane degli Jugo-slavi in Dalmazia, i fascisti organizzarono un comizio a Trieste. Un Italiano, Giovanni Nini, che aveva preso parte alla manifestazione ed aveva gridato frasi che sostenevano l’italianità della Dalmazia, fu accoltellato a morte da ignoti, con ogni verosimiglianza Slavi, date le circostanze. Un gruppo di fascisti si diresse allora verso il Narodni Dom, ma lo trovò circondato da oltre 400 militari Italiani, armati e schierati, e fu costretto ad arrestarsi. Però, dalle finestre del Narodni Dom piovvero addosso ai militari Italiani bombe a mano e partirono fucilate. I militari, vistosi aggrediti, si difesero aprendo il fuoco contro l’edificio. L’incendio scoppiò in seguito all’esplosione di munizioni ed esplosivi ivi contenuti, essendo il Narodni Dom sede di una organizzazione militare clandestina organizzata dallo stato jugoslavo per compiere attentati, violenze ed attività propagandistica in Venezia Giulia. Furono proprio i successivi scoppi delle armi contenute, del tutto illegalmente, nel Narodni Dom ad impedire ai vigili del fuoco ivi accorsi di spegnere l’incendio.
Questa è la vera vicenda di ciò che viene presentato dai nazionalisti Sloveni stessi quale l’apice e la massima espressione dell’ “oppressione fascista” degli Slavi residenti in territorio italiano. Non si trattò di una “aggressione fascista” contro un “centro culturale”, bensì di un conflitto a fuoco fra un reparto dell’esercito regolare italiano ed un gruppo di terroristi jugo-slavi annidati all’interno dell’edificio, che avevano scagliato bombe a mano ed esploso colpi contro i militari.
4. Conclusione. Dal nazionalismo “trialistico” sotto gli Asburgo al nazionalismo pan-slavo della Jugoslavia
Come si può facilmente evincere dai dati sopra riportati, lo stato jugo-slavo riprese l’ideologia nazionalista sloveno-croata, formatasi nel periodo asburgico attorno ai programmi del “trialismo”. Esiste una continuità ininterrotta, sia di uomini, sia di idee e progetti, fra il nazionalismo “trialistico” sloveno-croato del periodo asburgico e quello del periodo jugoslavo.
Ciò è tangibile anche nell’operato concreto dei nazionalisti jugo-slavi. Le persecuzioni anti-italiane in Dalmazia del 1920-1922 non fecero altro che proseguire quelle del periodo asburgico, mentre in Venezia Giulia si giunse alla costituzione di reparti paramilitari, di fatto filiazioni dell’esercito jugoslavo, per compiervi atti di terrorismo.
È da rimarcare come l’incendio del “Narodni Dom”, giudicato quale l’apice delle “violenze fasciste”, sia stato in realtà l’esito di uno scontro fra militari italiani, aggrediti, e terroristi jugo-slavi, aggressori.
Violenze fasciste certamente vi furono in Venezia Giulia, come in tutto il resto d’Italia, però posteriori alla violenze anti-italiane in Dalmazia ed in Venezia Giulia nel 1918-1920, per non parlare di quelle del periodo asburgico, cosicché viene a cadere la teoria secondo cui le foibe e l’esodo sarebbero state una reazione alle “violenze fasciste” stesse: in realtà, Tito non fece altro che proseguire, con il suo manuale Cubrilovic, un programma già formulato a chiare lettere in pieno Ottocento da nazionalisti croati e sloveni, e perseguito con la violenza, in modo ininterrotto, dagli Asburgo sino a Tito. Inoltre, non si giunse mai alla costituzione di reparti para-militari, organizzati, armati ed addestrati dall’esercito, diretti ad essere impiegati sul territorio nazionale jugoslavo per compiere atti di terrorismo.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.