Uno dei più importanti riferimenti, ideali e culturali, degli irredentisti istriani e trentini era Dante Alighieri, considerato esempio massimo della cultura, della lingua e della libertà politica, elementi che la comunità di sentimenti italiani che viveva sotto l’Austria-Ungheria sentiva minacciati nel nesso imperiale. Dante era per tutti l’essenza della Patria. Per tale motivo a Trento verrà eretto, nonostante qualche contrasto da parte degli austriaci, il monumento a Dante Alighieri inaugurato nel 1896. Questa premessa è importante per comprendere meglio la storia del busto di Dante a Pola (ora a Venezia).
Anche in Istria, sull’esempio trentino, alcuni giovani irredentisti si batterono per erigere un monumento a Dante. Per la locazione fu scelta Pola (nonostante Parenzo fosse allora il capoluogo dell’Istria); e non a caso: Pola fu scelta per la suggestione evocatrice dei famosi versi danteschi del IX canto dell’Inferno (“Sì com’a Pola, presso del Carnaro / ch’Italia chiude e suoi termini bagna”). Gli istriani raccolsero i fondi necessari ma si “accontentarono” di un busto (e non di un monumento a figura intera come a Trento). Gli austriaci, coadiuvati dal partito croato, cercarono di ostacolare in ogni modo l’iniziativa, ma la determinazione dei giovani irredentisti istriani alla fine prevalse. L’incarico venne affidato a uno degli scultori più in voga del momento, il romano Ettore Ferrari, che a Roma aveva già fatto diversi monumenti (al Re d’Italia, a Giordano Bruno, ecc). Il busto, in bronzo, venne inaugurato nel 1901 e collocato sotto la loggia del Palazzo del Municipio in piazza della Signoria, palazzo che era il simbolo del sentimento nazionale polese. Tra i presenti, moltissimi giovani irredentisti provenienti da tutte le parti dell’Istria, da Capodistria, Parenzo, Buie, ecc. Tra questi anche il giovane marinaio Nazario Sauro. Nella foto si intravede il busto di Dante in corrispondenza del secondo arco a partire da sinistra, proprio sopra la corona.
Quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, proprio nello stesso giorno, come a evidenziare una voglia vendicatrice soffocata, gli austriaci prelevarono il busto di Dante da sotto la loggia dichiarando che lo facevano per ricavarne bronzo per i cannoni delle loro navi. Al termine della guerra, vinta dall’Italia e perduta dall’Austria, i polesi vollero ripristinare il busto di Dante distrutto dagli austriaci. Fu chiamato nuovamente lo scultore Ferrari che aveva fortunatamente conservato il calco in gesso. Fu quindi possibile rifonderlo identico e grazie all’Ammiraglio Umberto Cagni per bronzo verrà usato… il bronzo dei cannoni di una nave austriaca confiscata come bottino di guerra dalla Regia Marina. Le avverse fortune della storia, però, portarono a perdere l’Istria nel 1947. Nei suoi viaggi da Pola a Venezia, la motonave Toscana non porterà solo persone (30 mila polesani su 32 mila che contava Pola come abitanti, lasceranno la “città dolente”), ma sarà portato via di tutto, perfino i morti (anche i resti di Nazario Sauro lasceranno Pola verso Venezia, insieme ad altri reperti del suo martirio tra cui varie targhe bronzee, la pietra tombale e la colonna romana che si trovava nel luogo dell’esecuzione, oggi tutte a Venezia). Gli esuli si porteranno via anche il busto di Dante, per paura che andasse distrutto dall’azione vandalica degli occupanti. Se lo tennero nascosto per anni, in una cantina “segreta” di Venezia finché il 20 settembre 1967, nel ventennale della perdita dell’Istria, la Marina Italiana ne autorizzerà l’installazione nella facciata dell’Arsenale di Venezia, dove oggi tutti lo possono ammirare.
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