Curiosa città, Rovigno, la «popolana dell’Istria», che ha preceduto le consorelle nel farsi una parte moderna e commerciale verso l’interno e la ferrovia, ben distinta dalla cerchia antica, sporgente sul mare. Estremamente pittoresca, quasi sorprendente, dal mare, diventò penisola, come Capodistria e Traù, per mezzo di un ponte che nel XVII secolo la congiunse stabilmente, come un istmo, alla terra ferma (Valdibora e Valdisquero, i due ponti ai lati del terrapieno, ne nacquero di conseguenza).
Mentre fu isola, ebbe una storia romantica: offrì rifugio più di una volta agli Istriani dalle incursioni prima dei Longobardi, degli Avari e degli Sloveni; più tardi dei Saraceni e dei Narentani. Dai Saraceni fu anzi distrutta nel 964. Di lì a poco si coronò di castello e si cinse di doppie mura. Finalmente, nel 1283 si dette a Venezia.
Ebbe gran lite coi Genovesi, feroci collezionisti di reliquie sacre, per via della sua Santa Eufemia, giuntavi galleggiando miracolosamente con tutto il suo pesante sarcofago di marmo bizantino nell’anno 800; le cui reliquie i Genovesi asportarono (lasciando il sarcofago) nel 1380, ventisei anni dopo che avevano pirateggiato a Parenzo i corpi dei Santi Eleuterio e Mauro.
Ma Santa Eufemia, o almeno quello che ai mortali ne avanzava, fu ripresa dai Veneziani a Chioggia, e nel 1410 tornò a Rovigno dove tuttora permane, e dove non solo le è intitolato, in società con San Giorgio, il Duomo, ma le è dedicata la statua metallica che sormonta il bellissimo campanile; bellissimo e somigliantissimo a quello di San Marco; e dal quale si gode uno dei più bei panorami dell’Istria, che tanti pure ne offre, e tanto belli.
Il Duomo, di tarda architettura e di più tardo completamento, non ha valore speciale; per altro come effetto generale, si avvantaggia della magnifica positura, e anche della vastità delle sue tre navate: possiede una tavola del quattrocento con fatti della vita di S. Giovanni Battista; e porta incastrati nel fianco destro frammenti di carattere bizantino, superstiti dell’antica chiesa di S. Giorgio. Nelle viuzze che conducono o scendono dal Duomo restano le linee originali del tipo veneziano; veneziana resta la bellezza delle donne e l’audacia marinaresca degli uomini, navigatori notoriamente eccellenti. Interni artistici e camini colossali contraddistinguono talune case; altre mostrano anche all’esterno i segni della nobiltà ereditaria, pubblicamente attestata del resto dal Leone di S. Marco che è sulla torre dell’orologio, non meno che da quello che sormonta il «volto» della Pescheria.
Caratteristiche, oltre i limiti cittadini, due passeggiate: una sul colle di Montauro, le cui cave di pietra d’Istria fornirono materiale ai monumenti più insigni di Venezia, dal Palazzo Ducale alla Chiesa della Salute; a Chioggia; a Loreto. L ’altra alle rovine romane della torre di Borasa, costruita sul posto di un « castelliere » preistorico. Non che un castelliere sia cosa infrequente, specie nell’Istria bassa, ma più interessante è qui la coincidenza della stazione romana con la dimora della popolazione autoctona preesistente; e la facilità dell’accesso dalla città odierna.
Del resto è facile rintracciare resistenza dei castellieri aborigeni dall’abbondanza dei cocci di cotto intorno alle rovine e agli avanzi di costruzioni rotonde sulla cima dei colli, tanto più che generalmente poco lontano dal muro di cinta si trova la relativa necropoli ad incinerazione. Un castelliere facilmente accessibile è anche quello di S. Angelo presso Parenzo, con necropoli nella prossima area dei Pizzughi.
E come Parenzo ha la sua isola di S. Nicolò, così Rovigno si allegra della sua selvosa isola di Santa Caterina, fatta più pittoresca ancora dalle rovine della chiesa gotica; e della bella isola di Sant’Andrea, circondata da tutto un arcipelago di scogli e scoglietti, tutti boscosi e verdi a meraviglia, con chiesa a S. Caterina, chiesa a S. Giovanni, e presso San Giovanni anche il faro.
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