Tra i patrioti, che nel Marzo del 1848, a Trieste, assunsero un atteggiamento energicamente anti-austriaco, diretto a promuovere anche qui le condizioni per estendervi la vita politica italiana, sotto qualsiasi sistema, unitario o federale, repubblicano o monarchico, tre furono i maggiori esponenti: Giovanni Orlandini, Antonio Gazzoletti, Giulio Grassi.
Giovanni Orlandini, triestino, uomo maturo, sui quarantacinque anni, libraio di mestiere, e uso a passare per le mani molti libri, assai più per esitarli e diffonderli, che non per studiarli, per cui non si distingueva punto nel campo della cultura, ma era animato da un caldissimo amore all'Italia e da una fede sconfinata nella sua potenza avvenire, quale fu pronosticata da Mazzini: indipendente, una, libera, repubblicana.
Dì lui parla ampiamente Giuseppe Caprin in Tempi; andati; ma sarebbe desiderabile che qualche cultore di storia cittadina gli dedicasse uno studio particolareggiato con riguardo anche all'attività patriotica svolta dalla sua libreria in Via del Ponte Rosso, oggi Via Roma.
Nel Quarantotto, arso dalla febbre dell'azione, egli promosse la tentata insurrezione del 23 Marzo, fallita, perché gli stranieri possedevano a
Trieste forze superiori a quelle, di cui disponevano gl'Italiani.
Antonio Gazzoletti, il più giovane dei tre, d'appena trentacinque anni, ma già avvocato in posizione ragguardevole, letterato di fama, trentino di nascita, di tendenze liberali, ma soprattutto Italiano, sarebbe stato elevato probabilmente a capo della città, qualora gli Austriaci fossero stati obbligati a lasciare il nostro Paese, e fu designato nella prima ottava d'atmosfera costituzionale a Podestà di Trieste e poi a Presidente d'un Governo Provvisorio repubblicano. I suoi conterranei lo elessero nel Gennaio del 1849 loro deputato alla Costituente germanica di Francoforte.
Due studi accurati gli dedicò Giuseppe Stefani; il primo nel 1911, sulla rivista Tridentum; l'altro, nel 1935, sulla Porta Oriental,e, dal titolo: «Antonio Gazzoletti nella Rivoluzione del Quarantotto».
Giulio Grassi, genovese, assicuratore di professione, il più anziano dei tre, di cinquantacinque anni, e tuttavia gagliardo, animoso e audace, di attitudini militari, che in quel momento mise al servizio della causa nazionale: promosse e organizzò la Guardia Nazionale, di cui fu il primo comandante,
Pure lui di tendenze liberali, amò sopra ogni cosa l'Italia.
Lo scrittore francese René Dollot, già console del suo Paese a Trieste, raccolse le memorie che restavano di lui, e scrisse un libro interessante: Un précursor de l'unité Italienne - L'aieul de Paul Valéry: Giulio Grassi (1793-1874) Riferendo memorie conservate in famiglia, il suo biografo racconta che dopo ancoratasi nella rada di Trieste la squadra navale sardo-napolitana, comparsa il 23 Maggio del Quarantotto, al comando del contrammiraglio Albini, il Grassi, in una notte burrascosa, sfuggendo alla vigilanza delle sentinelle austriache, si recò con una barca a bordo della nave ammiraglia allo scopo di esortare il comandante a tentare uno sbarco, e lo informò come le circostanze fossero favorevoli, essendo la città sguarnita di truppe, perché erano stati mandati a Radetzky tutti i rinforzi disponibili; e loassicurò che la iilaggioranza della popolazione era ansiosa di servire la causa italiana. Il contrammiraglio Albini non accolse il consiglio, sebbene esso fosse appoggiato dal Capo di Stato Maggiore.
Gli è che la sorte di Trieste e di tutte le terre italiane soggette all'Austria dipendeva dall'esito degli scontri sui campi di battaglia tra i due Eserciti di Carlo Alberto e di Radetzky. Qualora la fortuna si fosse mostrata contraria alle armi italiane, come appunto poi avvenne, i marinai sbarcati a Trieste avrebbero dovutò subire l'umiliazione di rimbarcarsi, abbandonando la città e i cittadini alle vendette del nemico. Ad ogni modo, l'intervento del Grassi conferma l'ardimento dell'animo suo e la sua fede nella causa d'Italia.
A questi tre patrioti fanno capo quattro avvenimenti di maggiore importanza, che si susseguirono o s'avvicendarono o, meglio, s'intrecciarono negli otto giorni tra la sera del giovedì 16 e la sera del giovedì 23 Marzo l'iniziativa di istituire la Guardia Nazionale, il tentato rinnovamento del Consiglio comunale, la preparazione di un Governo provvisorio repubblicano, la tentata insurrezione per redimere Trieste dalla dominazione straniera.
Le quattro azioni erano congiunte l'una all'altra e interdipendenti.
Erano forse destinate o a riuscire tutte assieme o tutte assieme a perire. E perirono quasi simultaneamente.
Appena arrivata a Trieste, la sera del giovedì 16 Marzo, la notizia che l'Austria era stata costretta a riconoscere a tutti i popoli ad essa soggetti
il diritto alla libertà di parola, di stampa, di riunione e d'associazione, e la facoltà di istituire dovunque la Guardia Nazionale, il genovese Giulio Grassi si fece iniziatore della istituzione di tale corpo armato, al fine di raccogliere tutta la gioventù italiana e mettere a disposizione della causa nazionale uno strumento efficace nella lotta per l'indipendenza e l'unità della Patria.
Nello sbalordimento prodotto dalle notizie di Vienna dei tumulti studenteschi, della caduta di Metternich, delle concessioni liberali, della promessa Costituzione, nè il Governatore Salm, nè il Generale Gyulai posero ostacoli alla nomina del Grassi a Comandande della Guardia Nazionale, e anzi ne diedero il consenso.
Nell'Archivio di Stato di Torino si conserva un rapporto da Trieste con particolari notevoli su quest'episodio. Da tale rapporto risulta che esisteva a Trieste un'organizzazione denominata Unione Italiana, promossa dai patrioti del partito progressista; che tale organizzazione chiese che il comando della Guardia Nazionale fosse affidato al Grassi; e che le autorità austriache molto deboli in quel momento e poco rispettate, non osarono farvi opposizione.
Il contenuto di questa relazione è riportato dal Dollot, il quale aggiunge che, secondo la versione austriaca, la nomina del Grassi sarebbe stata la conseguenza di una macchinazione politica.
Poichè le disposizioni della nuova legge austriaca consentivano che attraverso l'attributo «nazionale» passasse tutto il contrabbando mistilingue della variopinta Monarchia, il Prussiano Bruck, gran faccendiere nei circoli della speculazione capitalistica, e accanito avversario della causa italiana nell'interesse proprio personale, inteso ad opporsi che Trieste fosse sottratta alla dominazione austriaca, ed altri Tedeschi, calati da oltr'Alpe per approfittare dei traffici di Trieste, s'accordarono col Governatore, tedesco pure lui, per far entrare nella Guardia Nazionale fondata e comandata dall'Italiano Giulio Grassi, tutta intera la facoltosa colonia tedesca e tutto l'elemento borghese retrogrado, sostenuto dall'assolutismo e suo sostenitore, allo scopo di impedire che la Guardia Nazionale divenisse un'arma del Risorgimento Italiano. Con tale manovra la causa italiana perdette la Guardia Nazionale, nella quale non potè entrare che elemento danaroso, nella possibilità di provvedere a proprie spese all'uniforme e di rinunciare a qualsiasi guadagno durante le ore di servizio prestato; sicchè gran parte dell'elemento italiano degli addetti a uffici privati e a negozi ne rimase esclusa.
Finì che il Governatore austriaco sciolse la Commissione organizzatrice della Guardia Nazionale; al posto dell'Italiano Grassi pose un Greco nato a Vienna di nome Milziade Manziarly; e la Guardia Nazionale si ridusse a un meschino organismo, senz'anima, nè carattere, con la lingua dei comandi in tedesco; e precipitò tra beffe e scherni amari.
La Guardia Nazionale avrebbe dovuto rappresentare la Forza armata a sostegno della causa italiana per il rinnovamento, in senso liberale, del Consiglio comunale, e per elevare un uomo del Risorgimento a Podestà di Trieste; avrebbe dovuto costituire il corpo armato agli ordini di un Governo Provvisorio, appena questo fosse sorto; avrebbe dovuto assicurare il successo alla tentata insurrezione repubblicana.
L'imbastardimento della sua compagine col travaso collettivo della colonia tedesca costituì la ragione fondamentale del fallimento delle altre tre iniziative: l'emancipazione del Comune; l'insurrezione; l'assunzione del potere da parte di un Governo provvisorio.
L'agitazione per la riforma del Consiglio comunale dell'essere sorta, tra i patrioti, insieme al movimento per l'istituzione della Guardia Nazionale, fin dalla sera del giovedì 16 Marzo, al primo annuncio del riconoscimento dei diritti costituzionali.
Nei gruppi dei frequentatori del Caffè Tommaseo, Quartiere Generale del movimento nazionale, il dovere d'agire per reclamare il diritto della città a dirigere ed amministrare il Comune con uomini di propria fiducia, emancipandolo dalla burocrazia governativa, deve avere costituito un argomento, sul quale l'accordo risultava perfetto, in via di principio, salvo a divergere sulla modalità per il raggiungimento di tale fine.
Il Comune, nel regime assolutista, era un organo governativo diretto da un funzionario, che portava il titolo di Preside dell'imperlale regio Magistrato politico-economico. E tale posto era ocupato da Muzio de Tommasini, inviso ai patrioti per l'insensibilità del suo spirito politico, asservito alla dominazione straniera, privato di coscienza e di dignità nazionale, qualità negative non compensate dalla benemerenza di eminente cultore di studi botanici.
Il Tommasini era toscano di nascita.
Dal 1839 esisteva anche una larva di Consiglio comunale, composto di membri nominati dal Governo; organo consultivio, non deliberativo, le cui sedute erano state presiedute nei primi anni, e finch'egli visse, da Domenico Rossetti, Italiano di cuore e di mente, cui fu consentito di adempiere alla missione di strenuo tutore del patrimonio spirituale italiano sia pure osteggiato e amareggiato dall'Austria e dagli Austriaci fino all'ultimo giorno della sua travagliata esistenza soltanto perché egli usò l'accortezza di parare i colpi avversari con lo scudo della più rigida legalità.
Dopo la sua morte, gli succedette alla presideriza delle sedute consiliari l'insigne storico Pietro Kandler, devoto al culto della civiltà romana, moderato politicamente, tuttavia difensore tenace della lingua italiana di fronte alle prepotenze del germanesimo e alle incipienti cupidigie dello slavismo, sostenitore dell'autonomia amministrativa del Comune, ma suddito devoto della dinastia asburghese, e quindi estraneo allo spirito del Risorgimento nazionale.
Allo spirare della nuova aura costituzionale, Pietro Kandler, quale Presidente delle sedute del Consiglio, convocò i consiglieri e omise volutamente d'invitare il Preside del Magistrato, Tommasini, considerando tale funzionario niente più che il dirigente stipendiato di un semplice organo esecutivo, il quale, costituzionalmente, dev'essere subordinato al Consiglio municipale, organo eminentemente deliberativo, e fece votare dal Consiglio, in conformità ai nuovi principi costituzionali, la pubblicità delle proprie riunioni e la introduzione del sistema elettivo per la nomina dei consiglieri nei posti rimasti vacanti.
Tali deliberazioni, informate a criteri costituzionali, fecero montare sulle furie il reazionario e dispotico Tommasini, che si vide leso nelle sue prerogative, e manovrò col Governatore austriaco, col faccendiere tedesco Bruck e con gli altri complici dell'assolutismo, affinchè gli fornissero il pretesto di procedere allo Scioglimento del Consiglio, e di sostituirlo con una impotente e connivente Commissione provvisoria consultiva.
Oltre a quelle deliberazioni d'ordine costituzionale, Kandler, sia per assicurarsi I'appoggio del Governatore, sia per affermare un sentimento politico da lui sempre sostenuto, fece votare anche una dichiarazione di omaggio e di devozione all'Austria; dichiarazione che non poteva riuscire gradita ai patrioti, i quali auspicavano all'indipendenza e all'unità d'Italia, e tendevano
con ogni sforzo che in tale unità politica fosse compresa Trieste.
Quindi anche i patrioti unitari decisero di provocare una crisi consiliare, inducendo i liberali membri del Consiglio a rassegnare le dimissioni.
Altrettanto fecero i consiglieri governativi sotto l'influenza del faccendiere tedesco Bruck.
I liberali s'accinsero ad agire per emancipare il Comune dal dominio della burocrazia governativa e diedero mandato ad Antonio Gazzoletti ed a Carlo A. Fontana di chiedere al !Preside del Magistrato, Tommasini, il rinnovamento del Consiglio comunale in modo che questo rappresentasse i sentimenti della città.
Il Tommasini, d'accordo col Governatore e con la colonia tedesca, sciolse il Consiglio per non ricostituirlo più, e gli sostituì la progettata Commissione provvisoria, scelta con metodo tale, da riuscire una passiva pedina del Governo.
La delusione sofferta dai liberali per questo secondo insuccesso fu molto amara, e forte l'irritazione della gioventù repubblicana.
I patrioti avevano designato Gazzoletti a Podestà di Trieste, destinandolo a capo del Comune al posto del governativo Tommasini.
Spinti dall'esempio di Venezia, dove, il 22 Marzo, i patrioti, senza spargimento di sangue, riuscirono a far rassegnare le dimissioni al Governatore e a far capitolare il Comando militare austriaco, consegnando i poteri a un Governo Provvisorio, i repubblicani triestini, con Giovanni Orlandini a capo, decisero di promuovere una sollevazione popolare e prepararono una lista di emmenti cittadini, idonei a formare un Governo Provvisorio che assumesse i poteri civili e militari.
Quale Presidente del governo Provvisorio, con funzioni, secondo qualcuno, anche di Ministro dell'Interno, fu designato Antonio Gazzoletti; e quale Ministro della Difesa, Giulio Grassi, Comandante della Guardia Nazionaie.
Degli altri patrioti designati a membri del Governo Provvisorio si conoscono ancora cinque nomi: del ipubblicista Alessandro Mauroner per il Dicastero delle Finanze (individuo costui, che più tardi rinnegò le fede italiana e si mise ai servizio dell'Austria); del dott. Mario Rocca per il Culto; di un Antonio Borghetti, un Fantoni, un Levi, senza più precise indicazioni.
Tali nomi, come tutti gli altri particolari relativi al Governo Provvisorio repubblicano sono rivelati dall'incartamento del processo intestato ad Antonio Gazzoletti nel 1849 e continuato nel 1850, scoperto da Giuseppe Stefani nell'Archivio di Stato di Trieste, e da questo valoroso scrittore di storia patria esaminato accuratamente, ,esposto e commentato nel pregevole studio dedicato ad Antonio Gazzoletti nella Rivoluzione del Quarantotto, pubblicatonella Porta Orientale del 1935 e in un estratto in volume.
Secondo il teste Francesco Porenta, del partito governativo, sentito dal giudice istruttore nel processo Gazzoletti, in quella lista, ch'egli dichiarò di aver vista, vi erano «i nomi di tutti i più esaltati Italiani».
È da augurarsi che tra vecchie memorie conservate in qualche patriotica famiglia triestina si possa trovare una copia di quella lista, che interessa la storia cittadina e del Risorgimento Nazionale; e un giorno essa possa venire alla luce.
Tra le imputazioni addebitate a d Antonio Gazzoletti nel «referato» dell'inquisitore Blumfeld al Senato giudicante del Tribunale penale il 3 Giugno 1850, la più grave suona: «l'essere egli stato designato a il Presidente d'una Repubblica, da proclamare in Trieste, mettendosi in aperta insurrezione contro l'Austria».
Per i manifesti d'amnistia del 24 Agosto e del 20 Settembre 1848 il Tribunale doveva desistere dalla procedura criminale a l confronto dell'imputato. Fors'anche per tale ragione l'inquisitoria non s'approfondì tanto, da ricostruire e da lasciare un quadro integrale degli avvenimenti del Marzo.
I patrioti citati quali testi contro il Gazzoletti, interrogati in merito alla lista dei cittadini designati a formare il Governo Provvisorio naturalmente si studiarono di togliere ad essa ogni importanza; qualcuno tentò di ridurla ad uno scherzo; altri finse di non averne mai sentito parlare; vi fu chi addirittura ardl negarne l'esistenza. Essi seguirono la tattica tradizionale, che risale alle inchieste ordinate al· principio della r estaurazione austriaca, dopo il 1815, contro i massoni bonapartisti.
La designazione di Antonio Gazzoletti a Presidente di un istituendo Governo Provvisorio costituì la causa principale del suo arresto, avvenuto a Padova il 18 Maggio 1849, e della sua detenzione nella prigione della caserma di San Marco in quella città per oltre un mese e mezzo, durante il viaggio compiuto dopo rassegnat e le dimissioni da deputato per il Trentino alla Costituente germanica di Francoforte, donde s'era recato a Torino e poi alla Spezia alla Ticerca del fratello minore, volontario nell'Esercito Piemontese ferito in guerra.
Nel ritorno verso Trieste aveva visitato Firenze ed era transitato per Bologna, Ferrara, Rovigo. Quivi fu denunciato al comando militare austriaco, vigendo lo stato d'assedio, da un controllore postale, certo Francesco Schmidt, nativo di Bolzano, il quale riferl iche nell'anno precedente egli era stato di servizio a Trieste, dove «si trattava di proclamare la Repubblica:» e che «il Gazzoletti doveva essere il Capo o il Preside del Comitato che si andava ad istituire».
II denunciante, che viveva in un capoluogo di provincia, usò il termine «Comitato» anzichè «Governo Provvisorio», perché quella denominazione era stata adottata nei capoluoghi del Veneto per disposizione del Governo Provvisorio di Venezia, al fine di attribuire ai due termini una diversità di funzioni. E lo Schmidt usando la voce «Comitato» esprimeva l'opinione che i repubblicani triestini volessero sottomettere Trieste a Venezia.
La denuncia dell'impiegato postale bolzanese ebbe più che conferma, una rettifica, con accusa più chiarament e specificata, mientemeno che da parte della consorte del Maresciallo Wimpffen, la quale, appreso l'arresto del patriota italiano, disse che Gazzoletti era conosciuto a Trieste come repubblicano», e che «nelle convulsioni politiche del partito progressista avvenute a Trieste nel marzo e nell'aprile del 1848 egli era stato designato
Presidente della allora tanto agognata Repubblica».
Unico il famoso Greco di Vienna Manziarly, già antagonista nella Guardia Nazionale del Comandante Grassi, al quale succedette, fra tutti i numerosi testi interrogati dal giudice istruttore intorno alla lista dei cittadini designati per il Governo Provvisorio, che doveva esser presieduto dal GazzoIetti, avanzò la supposizione che si potesse confondere tale iniziativa con
quella intesa a porre il Gazzoletti a capo del Comune quale Podestà. E fu evidentemente una confusione voluta, non intendendo il Manziarly, come, del resto, tutti i testi, compresi gli avversari politici del Gazzoletti, addossarsi l'odiosità di fare li delatori a danno dell'inquisitore, attribuendogli fatti punibili dalla legge, d'altronde resi impunibili dall'amnistia.
A dimostrare l'insincerità del Manziarly nel voler confondere la designazione del Gazzoletti a President e del Governo Provvisorio con quella di
Podestà, vale, nella sua stessa deposizione, il riferimento alle voci che attribuivano al Gazzoletti, in continua agitazione, la sera del 23 Marzo, nella sala al pianterreno della Borsa, mentre «Orlandini batteva la strada con grida di Repubblica», il proposito di sortire «per proclamare formalmente il nuovo Governo»; e vale l'ammissione di aveve bene inteso parlar e, come tanti altri, della lista coi nomi dei designati per il nuovo Governo repubblicano, fra i quali il Gazzoletti figurava quale Presidente, pur attenuando tale dichiarazione con l'aggiungere di ritenere che la notizia non avesse gran fondamento.
A nessun altro dei testi passò per la mente di confondere i due movimenti, nettamente distinti l'uno dall'altro, con fini e metodi diversì, strettamente legalitario l'uno, e rivoluzionario l'altro, in modo da far apparire il secondo come una errata interpretazione del primo.
Persino gli scritturali Leopoldo Fecondo, Luigi Selva e Federico Pousche addetti allo studio d'avvocato del Gazzoletti, non osarono negare di aver sentito parlare di una lista di nomi di cittadini designati quali membri di un Governo Provvisorio, pur dichiarando il Fecondo e il Pousche di non averla veduta. Anzi il Selva e il Fecondo ne ricordarono alcuni nomi.
Il giovane dott. Massimiliano d'Angeli, divenuto più tardi Podestà di Trieste, allora addetto quale praticante allo studio del Gazzoletti, convenne di aver «inteso vociferare che vi era una lista di nomi, tra cui quello del Gazzoletti, senza sapere a che scopo»; aggiungendo: «Se ne è fatto molto chiasso in paese. Altro non so».
Alla evidente reticenza del teste, insistette il giudice istruttore: «Posto che quella lista di nomi, che in simili momenti non poteva avere che uno scopo pratico e riferibile alla crisi politica, fece molto chiassoin paese, e strano come una persona, la quale certamente per la sua educazione e posizione sociale era alla portata dell'interesse generale politico, ignori cose più precise e perfino lo scopo di quella lista. Si chiede dunque nuovamente migliore e più di preciso dettaglio in questo riguardo».
Messo così alle strette, il giovane amico e collaboratore del Gazzoletti non potè fare a meno di ammettere che si trattasse di un Governo ma lasciò fuori l'attributo «provvisorio», per non essere trascinato a riconoscere che si
trattava del Governo Provvisorio di una istituenda Repubblica.
E appena allora egli ricorse a una scappatoia dello scherzo del ridicolo dell'invenzione di qualche malevolo per recar danno altrui o per burla; nell'imbarazzo di uscire da quel ginepraio non s'accorse di cadere in un palese
contraddizione mettendo persino in dubbio l'esistenza di quella lista, della quale poco prima aveva detto che sollevò molto chiasso m paese
Se realmente si fosse trattato d'una invenzione burlesca, Massimiliano d'Angeli l'avrebbe dichiarato subito, appena interrogato, senza attendere di arrivare alla fine della deposizione, dqpo essere caduto in varie contraddizioni. E così avrebbero fatto tutti gli altri.
Ad ogni modo nè a lui, nè agli scritturali dello studio interessati a difendere il loro principale, passò per la mente di tentar d'ingannare il giudice, facendogli apparire che fa lista di designati al Governo Provvisorio della Repubblica fosse una lista di candidati consiglieri o assessori comunali e che la presidenza del Gazzoletti si riferisse all'amministrazione comunale anzichè a un Governo Provvisorio.
Un'impostura di questo genere non era sostenibile davanti a un giurista del Tribunale, che viveva a Trieste e conosceva uomini e fatti del giorno al
pari di tutti.
Come il nome di Giulio Grassi è congiunto alla fondazione della Guardia Nazionale; e il nome di Antonio Gazzoletti appare quale candidato dei liberali a Podestà di Trieste nell'ottava dal 16 al 23 Marzo, e poi quale auspicato Presidente del Governo Provvisorio della Repubblica; cosi il nome popolare di Giovanni Orlandini s'identifica con l'audace t entativo insurrezionale del 23 Marzo.
Il magnanimo gesto dei giovani repubblicani guidati dall'Orlandini, sopraffatti da soverchianti forze avversarie nella Piazza del Teatro, rappresenta la conclusione delle mirabili iniziative compiute dai patrioti nell'ottava dal 16 al 23 Marzo, col fondare la Guardia Nazionale; col proporsi di emancipare il Comune dalla burocrazia austriaca; col preparare un Governo Provvisorio insurrezionale.
Nel volume del Comitato celebrativo del Quarantotto Triestino quattro lavori si occupano della giornata del 23 Marzo:
Giuseppe Stefani include in un ampio studio, contenente documenti e appunti sul Quarantotto Triestino, un capitolo dedicato interamente al moto diretto da Orlandini.
Egualmente Camilla De Franceschi reca notizie rintracciate negli archivi di Venezia sul memorabile t entativo oltre che sugli altri avvenimenti dell'anno rivoluzionario.
Oscar de Incontrera, svolgendo la storia della Guardia Nazionale, viene a trattare pure del suo intervento per separare i due gruppi avversari in Piazza del Teatro.
L'autore di questo scritto pubblica uno studio dal titolo: Ispirazione mazziniana della tentata insurrezione del 23 Marzo 1848.
Riuscirono forse inutili, perché sfortunati, i quattro memorabili tentativi patriottici della storica prima ottava costituzionale di Marzo? No.
I quattro tentativi riuscirono proficui alla causa del Risorgimento nazionale, anche se fallirono ai loro fini immediati, perchè giovarono ad allenare gl'Italiani di Trieste su di un terreno di combattimento esplicitamente o implicitamente unitario, e quindi spiritualmente anti-austriaco.
Se i liberali e i repubblicani triestini avessero lasciato al solo austrofilo Kandler l'iniziativa di reclamare l'applicazione dei nuovi criteri costituzionali al Consiglio municipale e all'organo esecutivo del Comune, sarebbe rimasta la sua dichiarazione dì devozione e di attaccamento all'Austria, fatta al Governatore in nome del Consiglio, e non richiesta, quale espressione tacitamente approvata da tutti. Viceversa l'iniziativa di Gazzoletti e di Fontana, a nome dei liberali, presso il Preside del Magistrato Tommasini, servì a separare nettamente gli atteggiamenti del Kandler dalla dirittura dei patrioti detti Italianissimi. Quella dirittura rimase d'esempio al partito liberale per settant'anni, fino al raggiungimento del fine nazionale unitario, nel 1918.
Nè inutile certamente vi fu l'istituzione della Guardia Nazionale da parte di Giulio Grassi, se pure tale istituzione sia stata neutralizzata dall'invasione della colonia tedesca, sorretta dagli organi governativi e assecondata dall'elemento retrivo. Le lotte sostenute nell'interno d'essa tra Italiani e stranieri riuscirono di scuola educatrice alla gioventù, orientando sempre più decisamente verso la fege nazionale i giovani che vi parteciparono. Se fosse mancato quel campo di lotta, tanti giovani sarebbero rimasti forse inerti, passivi spettatori di avvenimenti a loro quasi estranei.
La preparazione del Governo provvisorio repubblicano scavò un solco sempre più profondo tra l'anima della città orientata verso il Risorgimento nazionale e tra la dominazione austriaca, sempre più ostica agl'Italiani.
Infine la tentata insurrezione promossa da Orlandini confermò che gl'Italiani di Trieste avevano da affrontare avversari accaniti; ch'essi dovevano stringersi sempre più compatti fra di loro per impedire di esserè sopraffatti; che la salvezza della città, italiana di lingua, di spirito, di storia, di tradizioni, di aspirazioni, doveva essere riposta nell'unità politica nazionale, meta di una fede da conservare pura e ardente e da trasmettere alle generazioni future come un credo religioso, che esigeva la distruzione della detestata Monarchia austriaca, nemìca irriducibile dell'indipendenza e della potenza italiana.
In quei fervidi otto giorni di Marzo, dal 16 al 23, i patrioti a Trieste agirono intensamente, anche con altre manifestazioni oltre alle quattro qui passate in rassegna. E l'azione per la causa nazionale riesce sempre vantaggiosa, anche quando essa non raggiunga il suo fine immediato; mentre la inerzia scivola nell'apatia, e questa nell'indifferenza, ch'è la morte dell'anima non soltanto negli individui, ma anche nelle nazioni.
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