Dopo due mesi di ricerche, che hanno sostanzialmente permesso di ricostruire la storia di questo documento taroccato, il Presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, ed il Presidente della affiliata Famìa Ruvignisa, Gabriele Bosazzi, hanno svelato i dettagli dell'operazione verità.
Nel salutare gli ospiti e la stampa presente nella Sala Maggiore, il Presidente Lacota ha illustrato come e quando questo documento farlocco è apparso sui libri di storia.
La prima volta che il manifesto viene pubblicato è su una raccolta di documenti di propaganda antitaliana, che erano stati presentati alla Conferenza della Pace di Parigi del 1946 dalla Delegazione jugoslava. Trasformata in volume nel 1952, con il titolo „Istra i slovensko primorje" ("L'Istria e il litorale sloveno"), tale raccolta conteneva diversi documenti, alcuni dei quali risultati poi falsi, come alcune ricerche degli anni Duemila hanno dimostrato.
Da questa pubblicazione, il taroccato manifesto è stato ripreso in seguito da diversi scritti resistenziali successivi, editi dalla minoranza italiana in Istria (sic!): nel 1964 dal libro di Luciano Giuricin ed Aldo Bressan, "Fratelli nel sangue" e nel 1981 dal libro di Ljubo Drndic, "Le armi e la libertà dell'Istria. 1941-1943", nonché in varie opere edite dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, tra le quali il corposo volume "Istria nel Tempo". In tutte le citate pubblicazioni, il manifesto in questione veniva raffigurato senza alcuna descrizione specifica e senza alcun dettaglio sulla sua origine.
Lo storico Raoul Pupo era giunto a queste stesse nostre conclusioni, citava pure una testimonianza del partigiano comunista Erminio Vivoda (Vojvoda), il quale faceva risalire temporalmente il manifesto al 1942: cosa da escludere categoricamente, poiché lo squadrismo organizzato era stato sciolto e trasformato negli anni Venti.
Fatta questa premessa, non prima di aver precisato che un "Comando Squadristi" a Dignano non è mai esistito, Lacota ha passato la parola a Gabriele Bosazzi il quale ha rivelato la verità sul documento in esame, grazie alle memorie scritte, e finora non divulgate nella loro interezza, custodite innun fascicolo dattiloscritto da Stefano Rocco, un esule di Rovigno, nato nel 1928 e deceduto in Australia nel 2008.
Stefano Rocco, detto Steo, era un antifascista rovignese ma dopo la fine della guerra, pur aderente alla Gioventù Antifascista della sua città, venne arrestato per ben due volte dai partigiani comunisti perché frequentava una cerchia di amici attivi nella propaganda in favore dell'Italia. Al secondo arresto, un amico affiliato ai partigiani filoslavi, tale Nino Colli, gli propone, facendolo uscire dal carcere, una collaborazione in ambito teatrale visto il suo talento e la sua passione per quell'arte. Lui, appena diciassettenne (era il novembre 1945), accetta e si ritrova a dover stampare un manifesto per una sua produzione.
Alla filiale di Rovigno della Tipografia Coana, controllata e presidiata dai partigiani, Rocco nota la bozza di un manifesto con dei caratteri déco e che lui vorrebbe usare per creare la locandina dello spettacolo.
La bozza del manifesto era esattamente quella degli "Squadristi di Dignano" e colui che la aveva preparata, tale Veggian, aveva detto a Rocco e a Colli di averla creata appositamente per la campagna propagandistica antiitaliana destinata a tutta l'Istria, Fiume e Trieste.
Nella testimonianza dattiloscritta viene riportato con esattezza il testo del manifesto di Dignano, manifesto che non può quindi che essere un falso, creato ad hoc per riempire i fascicoli di carte da portare alla Conferenza della Pace di Parigi dove venne effettivamente presentato dalla Delegazione jugoslava (composta anche da istriani e fiumani rinnegati), per avvalorare le tesi della violenza fascista nei confronti di sloveni e croata e perorare la causa dell'annessione dell'Istria, di Fiume e di Zara alla Federativa di Tito.
La preziosa testimonianza di Stefano Rocco, ancorché non rappresenti una prova matematica, ci permette però di chiudere il cerchio dei ragionamenti fatti anche da Raoul Pupo e delle ricerche operate nei più importanti archivi in Slovenia, nell'Istria croata, in Serbia, a Udine e a Trieste - dove non vi è traccia alcuna del documento in parola! -, e che accredita dunque l'unica tesi possibile: si tratta di un falso!
HANNO FORSE PRESO SPUNTO DA UNO VERO, MA CROATO, DEGLI ANNI TRENTA?
Ciò detto, a fronte di manifesti falsi, vi sono invece manifesti veri, che a partire dal 1919 il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e quello di Jugoslavia (dal 1929 in avanti) - in funzione anti italiana in Dalmazia, antitedesca in Carniola, Stiria, Slavonia e Serbia, ed antimagiara nella Slavonia e nella Vojvodina - faceva affiggere attraverso lo strumentale uso delle numerose, strutturate e molto influenti organizzazioni nazionaliste, per intimidire tutto ciò che di non slavo ancora sopravviveva.
Non dimentichiamo - repetita iuvant! - che nel 1919, il terzo provvedimento del Governo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, costituitosi nel dicembre 1918, fu quello di proibire la stampa in lingua tedesca, italiana e magiara, di chiudere tutte le scuole non slave, di nazionalizzare le proprietà delle grandi famiglie aristocratiche non slave, di sciogliere tutte le organizzazioni politiche, culturali e sportive non slave.
Cioè, quanto realizzato dal fascismo in Italia nei confronti delle minoranze in Venezia Giulia, in Alto Adige, in Piemonte e nell’Aostano, era già stato fatto quasi dieci anni prima in Jugoslavia.
Volendo essere canzonatori, si potrebbe affermare senza paura di smentita alcuna, che l’Italia imparò a “trattare” le sue minoranze dalla vicina Jugoslavia e... ci contraddica chi può!
Per gli amanti della verità, quelli onesti, naturalmente, ecco un primo assaggio: uno dei tanti minacciosi manifesti in lingua croata, degli anni Trenta, della Narodna odbrana, affisso per le strade di Zagabria e di molte città croate (e altri simili, di altre organizzazioni nazionaliste slovene e serbe, tutte spalleggiate dallo stato, li pubblicheremo prossimamente), che mette in guardia i cittadini affinché nelle strade, nei caffè e nei luoghi pubblici non si parli in lingua straniera.
Ciò che incuriosisce molto, è che nei contenuti, il manifesto croato (lo reperite in diversi archivi pubblici in Croazia), praticamente dice le stesse cose del taroccato manifesto degli “Squadristi di Dignano”, ovvero che le “inadempienze” saranno punite in maniera energica e risolutiva, addirittura con la cacciata oltre confine dei contravventori.
Una domanda sorge spontanea: i falsificatori rovignesi, che hanno realizzato ad hoc il manifesto di Dignano, hanno preso spunto da questo croato?
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