TRST JE NAS
Gli Alleati si trovarono di fronte a “un fatto compiuto”.
Tito tentò di scagionarsi asserendo “Non siamo giunti a Trieste e sull’Isonzo per porre gli Alleati di fronte a un fatto compiuto, ma per annientare il peggior nemico della civiltà... il Maresciallo Alexander ed io avevamo concluso un accordo su un’occupazione comune della Venezia Giulia, ma noi siamo arrivati per primi a Trieste”.
Il primo maggio 1945 “miseri carri jugoslavi trainati da cavalli scheletriti e dalle ciabattanti povere stanche fanterie bosniache” entrò a Trieste, lasciando in mano tedesca l’Istria e Fiume e Lubiana.
I triestini non capivano. Soprattutto non capirono quando, il giorno dopo, preceduti alla sera prima da carri armati che si erano fermati in Piazza Dalmazia, videro arrivare i neozelandesi.
“Trionfanti di ricchezza, in pieno contrasto con la povertà degli jugoslavi. Rosei, pasciuti e sorridenti nella felicità piena di vittoriosi...” I triestini li accosero “tra lacrime di folle in delirio e pioggia di fiori” ma qualcuno si chiese come mai un simile esercito con possenti carri armati, con automezzi velocissimi, con un apparato logistico perfettissimo e attrezzatissimo fosse stato battuto in velocità dal misero esercito titino, che, peraltro, era arrivato fino a Udine.
Al comando dei neozelandesi c’era il generale Freyberg, che il CLN invitò ad assumere i poteri della città. Ma il generale rimandò l’appuntamento alla mattina successiva e nel frattempo alcuni camion neozelandesi giunsero in Piazza Unità e si diressero al palazzo del Lloyd, stabilendovi la propria guarnigione. Quasi contemporaneamente una pattuglia di Tito entrò risoluta nel palazzo della Prefettura, lasciando alcuni titini a guardia dell’ingresso. Venne rimossa dalla Loggia della Prefettura la bandiera italiana, sostituita con quella jugoslava.
La gente guardava avvilita delusa impaurita.
Subito dopo alla bandiera jugoslava venne affiancato un tricolore con al centro la stella rossa: era la bandiera della “Settima Federativa Jugoslava” che si stava costituendo. Poco dopo alle due bandiere vennero affiancate quelle inglese e americana.
Mentre questo stava accadendo in Piazza Unità, la gente colà accorsa sentì raffiche di mitra: la gente si spaventò. Che cosa era successo? All’entrata dei neozelandesi in città la popolazione aveva esposto alle finestre il tricolore e, contro queste bandiere, i titini avevano aperto il fuoco.
Quarantotti Gambini (nel suo libro “Primavera a Trieste”) scriveva “Sfila lenta e rada sugli asfalti della città la processione di campagna, con tutte le sue bandiere all’aria di maggio. Continua sempre a sfilare con la stessa lentezza pacata che sembra quasi triste”.
CLN e titini discutevano in Prefettura, ma il CLN triestino non ottenne alcun riconoscimento dalle “truppe liberatrici” slave. Il CLN triestino non lo voleva quel riconoscimento negato, voleva quello del generale Freyberg. Gli slavi avevano premura, non volevano trattare con il CLN e costrinsero i partigiani filoitaliani di nuovo alla clandestinità. Gli uomini di Tito, incoraggiati dall’inettitudine degli Alleati, occuparono la Casa del Fascio, le Poste, la Radio, le banche trasferendo 170 milioni di lire a Belgrado.
La sera del 2 maggio regnava una confusione totale. Pochi uscivano di casa e le informazioni che riuscivano ad avere erano solo di seconda o terza mano: sembrava non arrivassero più i neozelandesi, ma dei reparti italiani che, la speranza dei triestini, immaginava essere Bersaglieri.
Chiaramente si trattava solo di una fantasia che diventò spavento, quando, alla radio ascoltarono il discorso di Tito: “Per la prima volta il popolo slavo festeggia il 1 maggio liberamente…sotto l’insegna di grandi vittorie.... la Slovenia e l’Istria consegnate nel 1920 agli imperialisti italiani...stanno vivendo la liberazione e l’annessione alla patria jugoslava realizzata in nome dell’aspirazione della popolazione slovena. Il grande emporio di Trieste è congiunto alla Jugoslavia, sicché la patria è quasi tutta libera...con le frontiere portate fino ai limiti etnografici e storici“.
I triestini ricordavano il convegno di Yalta in cui era stato deciso che la Venezia Giulia sarebbe stata terra di conquista per la Jugoslavia, ma ancor di più ricordavano il discorso tenuto da Churchill nel 1942 nel quale affermava che la Venezia Giulia sarebbe stata annessa alla Jugoslavia.
Nella stessa giornata del 2 maggio anche Gorizia venne occupata dai titini.
Là cetnici e partigiani di Tito stavano per scontrarsi, ma l’intervento dei neozelandesi impedì la battaglia. La città venne occupata senza spargimento di sangue. Cosa che ai titini sembrò poco onorevole tanto che simularono una battaglia tra titini, fascisti e soldati tedeschi, facendo travestire i loro uomini con le divise italiane e tedesche, fingendo che questi opponessero resistenza ai partigiani, gettando le armi e arrendendosi. Una ripresa cinematografica: una volta finita, i “morti” fascisti e tedeschi si alzavano da terra ridendo.
Ma a Trieste si sperava ancora che gli Alleati completassero l’occupazione della città nella notte. Il 3 maggio mattina, i triestini trovarono affisso sui muri della città il manifesto del Comando Città di Trieste, in italiano e sloveno, che annunciava il coprifuoco dalle 15 alle 10 del mattino successivo e in cui si ingiungeva di spostare gli orologi di un’ora per “uniformarsi al resto della Jugoslavia”.
Cominciarono a diffondersi voci secondo le quali, nella notte, molti italiani erano stati prelevati dalle loro case con l’accusa di essere fascisti. Si cominciò a credere, ed erano passati solo tre giorni, che veramente Trieste fosse una città conquistata e annessa alla Jugoslavia.
Il CLN, senza né informazioni, né istruzioni, non fu preso in considerazione neppure dal gen. Freyberg
Durante il coprifuoco gli slavi si davano un gran daffare: arrestavano, emettevano bandi e proclami, tappezzavano i muri con scritte che inneggiavano alla Jugoslavia. Su OGNI muro doveva esserci una scritta osannante Tito e la RFPJ. Frasi slave, anche lunghissime, che i triestini non comprendevano.
Capivano solo quelle brevi quali “Zivio Marsal Tito”, “Zivio jugoslavenski Trst”, “Hocemo Tita” e le frasi rituali “Smrt Fasizmu”, “Svoboda Narodu”.
Ma, più di queste scritte, spaventò la frase apparsa sul giornale Borba “le armate jugoslave sono capaci di assolvere compiti più difficili di quelli che sono stati loro affidati nella strategia comune degli Alleati”. Questo significava che Tito disconosceva l’accordo Tito-Alexander. Tentava di convincere l’America ad accettare il fatto compiuto asserendo che non c’era nulla da fare contro la volontà dei governanti sloveni. I titini avevano fretta, una grande fretta, di sistemare le cose a loro favore.
Vennero nominati il governatore militare, il vicegovernatore e il famigerato Franc Stoka commissari politico.
Oramai Trieste era considerata jugoslava e gli italiani che vi abitavano, nemici.
La giornalista inglese, Sylvia Sprigge nel suo “Trieste diary” scrisse: “A Trieste è classificato fascista o sciovinista chiunque osa manifestare idee differenti circa l’appartenenza di Trieste e l’Istria allaJugoslavia.”
Si intensificarono gli arresti.
I telefoni andarono fuori uso per mancanza di rifornimento dell’acqua distillata per gli accumulatori della centrale telefonica. Mancavano i giornali e la radio locale. Nella Venezia Giulia si incominciò ad ascoltare radio Bari che iniziava a diffondere le notizie dei soprusi perpetrati a Trieste. Ma i commenti non erano fatti solo dagli italiani, al microfono parlavano anche i commentatori inglesi che paragonavano il regime di Tito ad un accentuato regime nazista, riuscendo, così, a smuovere anche radio Londra che, fino a quel momento, aveva trasmesso solo proclami favorevoli a Tito.
Un esempio: il colonnello Stevens che tanto aveva incoraggiato il movimento titino e sostenuto la cessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, si era dovuto rimangiare quanto aveva asserito per mesi e mesi e chiedere provvedimenti a favore degli italiani di Trieste e Istria.
I titini di fronte alle improvvise, inaspettate posizioni assunte dalla BBC e dalle stazioni radio americane attaccarono chiunque fosse loro ostile, definendoli, come erano soliti fare, antiprogressisti e fascisti. Si scagliarono anche contro il clero che, sempre secondo i titini, stava suscitando contro di loro una campagna di odio, “...di tal gente a Trieste ce n’è molta ed in proporzione molto maggiore che in qualsiasi altra città europea.”
Questa sarebbe stata la scusante di base dei titini per le rappresaglie antitaliane. Il fatto che a Trieste “ci fossero fascisti più di qualsiasi altra città europea” dava diritto agli slavi di considerare fascista tutto ciò che era italiano e di sopprimere gli italiani.
Anche le manifestazioni di gioia da parte dei triestini all’arrivo dei neozelandesi fu considerata una prova di fascismo “i fascisti esposero la bandiera della monarchia e trovarono il coraggio di uscire dai propri nascondigli sulla strada, dove su automobili ornate di tricolori italiani manifestavano per gli Alleati”.
…È da questo momento che ogni volta che si volle combattere gli italiani, si sarebbe parlato di reazionari e di fascisti.
Nelle ore del coprifuoco del 3 maggio “lunghe teorie di persone attraversavano la città con le mani legate col fil di ferro seguite a breve distanza da soldati jugoslavi coi mitra spianati”. Ad ogni ora del giorno pattuglie di militari si recavano nelle abitazioni e portavano via anche intere famiglie. Oramai, dopo solo tre giorni, si viveva nel terrore. Si prelevavano persone segnalate per vendette personali, non si facevano processi, la giustizia era sommaria.
Il 4 maggio Radio Belgrado annunciò che le truppe titine avevano “ripulito” Trieste e Gorizia e che le truppe alleate erano “entrate a Trieste senza il consenso della Jugoslavia”. I titini non tenevano in alcuna considerazione la presenza dei neozelandesi in città. Venne arrestato il prof. Carlo Schiffrer,nonostante avesse tentato un’intesa con gli slavi nel periodo della sua clandestinità.
Sui muri apparvero manifesti in cui si invitavano tutti, civili e militari, a consegnare tutte le armi da fuoco al più vicino comando jugoslavo entro 24 ore. Molti di quelli che lo facevano venivano arrestati infoibati deportati o chiusi in campi di concentramento.
Il maggior numero degli arresti avvenne tra il 3 e il 7 maggio, sempre nelle ore di coprifuoco. Uomini e donne di tutte le età vennero portati nelle caserme della polizia; a chiunque veniva eliminato si applicava la qualifica di fascista.
Ad esempio, a Fiume gli zanelliani, notoriamente antifascisti, vennero uccisi con l’accusa di essere tali.
Vennero chiuse le banche e sigillate le casse, i direttori fatti responsabili di qualsiasi irregolarità; anche dagli altri istituti di credito si portò via tutto il contante esistente.
Quest’ordine venne firmato dal commissario Stoka.
Una marea umana partì da Piazza della Borsa e arrivò a Piazza Goldoni.
È qui che una pattuglia di soldati slavi si schierò, pronta al combattimento, con i mitra puntati verso la folla, intimando di fermarsi. La gente delle prime file, che vedeva tutto, fu costretta ad obbedirema quelli dietro non si resero conto del pericolo e continuarono a camminare e a spingere verso Piazza Goldoni.
Fu sufficiente che la folla disobbedisse all’ordine dato dagli slavi. Questi non esitarono e aprirono il fuoco. Ma non basta, altri soldati mitragliarono anche la gente affacciata alle finestre e le bandiere italiane esposte. Tutti tentarono di scappare, di nascondersi nei portoni, nei negozi, vennero calpestati, travolti, invocando aiuto, urlando. Tutto avvenne in pochi minuti e, velocemente, il Corsoe Piazza Goldoni furono deserti. In corso rimasero a terra cinque morti e trenta feriti.
Ma i titini non erano soddisfatti, volevano vendetta e andavano alla ricerca dei “capi fascisti” che avevano organizzato la manifestazione. Rincorrevano la gente nei portoni, entravano nelle abitazioni, salivano sui tetti. Col coprifuoco la caccia all’uomo si fece ancora più spietata, si sfondarono i portoni e le porte, si perquisirono le case, sempre con i mitra spianati. Molti furono arrestati ma.......chi erano i capi della manifestazione ? Non esistevano i responsabili, erano i triestini, tutti i triestini che, generosamente, spontaneamente avevano tentato di ribellarsi.
Il giorno successivo, 6 maggio, il giornale slavo “Nostro Avvenire” attribuì la manifestazione alla Gestapo hitleriana, producendo, quale prova, una tessera del Comando Militare Regionale rilasciata ad Augusto Mascia quando era tenente di complemento. Lo stesso giornale scrisse che alla manifestazione avevano partecipato alcune centinaia di persone... ”fascisti non ancora colpiti dalla giustizia del popolo… bisogna liquidare per sempre i resti del fascismo e tutti gli agenti della Gestapo tedesca…”
Comunque, quel nobile avvenimento non ebbe seguito. La stampa italiana diede la notizia senza metterla in rilievo. Le opportunità politiche di allora volevano così.
Da quel 5 maggio la caccia all’italiano si accentuò, e non solo a Trieste, ma anche a Gorizia, dove lostesso giorno ci fu una manifestazione italiana soffocata dagli slavi.
Le ordinanze, l’atteggiamento, la prepotenza degli slavi facevano capire alla popolazione di essere sotto la sovranità jugoslava. Ma la stessa sera del 5 il Generale Freyberg convocò ufficiali slavi e alleati. Contemporaneamente la divisione neozelandese si mobilitò. Sui loro automezzi, i soldati, in assetto di guerra erano in attesa di ordini. I triestini tremavano, temevono che gli alleati se ne andassero. Invece il generale informò immediatamente dell’accaduto il Comando alleato, dichiarando che avrebbe impedito qualsiasi ulteriore entrata in città ai soldati slavi, anche schierando i carri armati nelle vie di accesso.
Tito non voleva che Alexander entrasse in scena a Trieste e dichiarò da quel momento che Trieste era “Repubblica autonoma in seno alla Jugoslavia federativa e democratica.” Cambiava il nome, ma non la sostanza dei fatti perché continuarono gli arresti e le deportazioni.
La domenica 6 maggio tutti i Carabinieri della caserma di Via Cologna furono deportati e avviati verso il Carso. Si diceva che reparti alleati si fossero imbattuti in queste colonne di prigionieri manon erano intervenuti per salvarli.
A Gorizia avvenne la medesima cosa. I trasferimenti avvenivano di notte, i prigionieri dovevano
stare in totale silenzio, bastava uscire di poco dalla fila e il mitra entrava in azione.
A Fiume la popolazione fu “soffocata” nel sangue.
Radio Londra diede notizie dettagliate su ciò che accadeva. Ma senza esprimere giudizi su quanto i Comandi Alleati stavano decidendo.
Il 7 maggio, organizzato dall’Osvobodilna Fronta (OF), alla ex Casa del Fascio divenuta Casa del Popolo, avvenne un incontro tra tutte le organizzazioni antifasciste slovene e italiane, compreso il PCI. Si decise che bisognava procurare tutto il necessario per amministrare la città e preparare le elezioni di massa per poter affermare che l’amministrazione della città era stata ottenuta con il suffragio dei più larghi strati popolari (per fortuna le elezioni non ebbero luogo).
8 maggio, Sempre il “Nostro Avvenire” definì quell’incontro “… importantissimo…perchè Trieste per la prima volta aveva una rappresentanza veramente democratica, cui era riservata l’amministrazione …in uno dei momenti veramente più grandi della sua storia”.
Va sottolineato che il governo della città, secondo gli slavi, era stato eletto senza che Roma e Belgrado influenzassero i cittadini. Certamente Roma non aveva avuto la possibilità di farlo.
In tutto ciò, gli Alleati mantenevano un ruolo di testimoni passivi.
La preoccupazione dei titini era far credere e convincere triestini e istriani, l’opinione pubblica mondiale che l’annessione di Trieste era avvenuta per volontà popolare dei giuliani e non “de facto”, come in realtà era stato.
Per questo motivo era necessario impaurire la gente e toglierle ogni velleità e ogni speranza. Ecco perché, sempre quell’otto maggio, di sera, alla notizia della capitolazione della Germania, i titini indissero una manifestazione “carnevalesca”, il compagno Jaktsetich, vicegovernatore, in un discorso tenuto in quell’occasione esclamò: “Oggi il popolo di Trieste ha la gioia di poter festeggiare il grande avvenimento che mette fine alla guerra tanto combattuta... la nostra riconoscenza ai gloriosi fanti artiglieri…della gloriosa IV Armata.”
Ma il generale Kveder, sempre in quel momento fu esplicito “... è nostra intenzione distruggere senza pietà ...coloro che seminano l’odio tra i popoli......è nostro compito sradicare …gli ultimi resti del nazifascismo”. In mattinata il compagno generale Kveder aveva annunciato dal balcone del Municipio che Trieste era stata annessa alla Jugoslavia.
I cittadini erano impotenti, si rendevano conto dell’inattività degli Alleati, che sempre più persone sparivano, che il CLN era rientrato in clandestinità, che non arrivavano notizie dall’Italia. Trieste soffriva della sua impotenza, in Istria si guardò a Trieste con un’ansia indescrivibile.
Il governo italiano continuò nella sua azione di protesta al Dipartimento di Stato e al Foreign Office, ma da parte alleata non arrivò alcun segno favorevole all’Italia.
Sempre quell’otto maggio a Trieste arrivò anche il neoeletto presidente del consiglio sloveno, il compagno Kidrich, per sostenere la causa titina, o meglio, il piano titino… “Ora è realizzato l’antico sogno sloveno, la liberazione di tutto il nostro popolo in seno alla potente e libera Jugoslavia. Il litorale sloveno (fino al 10 febbraio 1947 la Slovenia NON aveva sbocchi al mare, ndr) Trieste Gorizia Monfalcone ecco il popolo sloveno”.
Si sbarazzarono degli italiani, prima fascisti e poi reazionari. La testimonianza di Quarantotti Gambini ci dice che già da molto tempo era sparito il carro del macello, coperto di zinco, quello che riforniva di carne i beccai “Ed ecco l’altro giorno ne incontro uno — la carne, abbiamo di nuovo la carne — grido e corro lì e alzo la tenda ... era carname, sì, ma di uomini. Cadaveri nudi, cadaveri umani l’uno sopra l’altro…”
Il 15 maggio il primo ministro Bonomi e il ministro degli esteri De Gasperi chiesero l’uno di non riconoscere una soluzione unilaterale della Venezia Giulia e l’altro dichiarò che l’occupazione titina avrebbe portato l’Italia ad un governo nazionalista e reazionario, mentre l’Italia era pronta ad accettare un “pacifico e giusto compromesso”.
ELIMINEREMO TUTTI GLI ELEMENTI FASCISTI E PRO-FASCISTI
Si abusava della parola fascismo e gli alleati ne erano confusi, ecco la ragione della loro apparente inattività.
In quel 15 maggio venne anche affisso ai muri un proclama che voleva tappare la bocca alle denunce che si stampavano, da parte italiana, su volantini contro gli slavi, con il proclama: “Si vieta qualsiasi tipo di stampa non autorizzato, le tipografie e cartolerie e le ditte di trasporti devono denunciare il quantitativo di carta in possesso o in deposito”.
La politica di Tito aveva il sopravvento su quella degli Alleati. Dopo il suo incontro con Alexander, l’otto maggio a Belgrado, Tito riuscì a spostare il problema della Venezia Giulia dal terreno militare a quello diplomatico.
Ma gli Stati Maggiori alleati avevano già dato ordine ad Alexander di non occupare quel territorio.
La tesi di Tito era, e doveva diventare sempre più forte, che le sue bande non avevano conquistato quei territori ma ne erano state chiamate e erano accorse come liberatrici. Astutamente, voleva portare gli Alleati al punto di non poter più imporgli di ritirarsi per non aver osservato i patti. Il 17 maggio, alle ore 18, al Politeama Rossetti, si tenne l’Assemblea Generale della Città di Trieste.
Le strade intorno erano bloccate da carri armati, i soldati armati fino ai denti. Si entrava solo per invito, All’ultimo momento si concesse che potesse anche entrare “il sano popolo triestino” ben inquadrato, che arrivava da Aidussina, Lubiana e oltre. Sottolineo che il vero popolo triestino era completamente all’oscuro di tutto fino a quando la stampa slava non lo aveva comunicato.
Questo avvenimento viene citato in “Primavera a Trieste” di Quarantotti Gambini e a pag. 110 del libro di De Castro “La Questione di Trieste”. Si aggiunga anche lo scritto dell’autrice inglese Sylvia Sprigge nel suo “Trieste diary” a pag.179.
È stata questa la manifestazione più pesante contro l’italianità di Trieste.
In quell’occasione venne pure costituito il famigerato Tribunale del Popolo.
Il teatro era gremito, solo i rappresentanti erano 1.600, più gli ospiti. Sul palcoscenico una lunga tavola dietro la quale sedevano i cosiddetti delegati. Sul fondo, in mezzo, una enorme bandiera jugoslava, ai lati quelle sovietica, inglese e americana. Intorno fasci di piccole bandiere italiane con in mezzo il tricolore slavo con la stella rossa. Sopra tutto, l’alabarda triestina.
Amministrativamente il Litorale venne diviso in tre parti: circondario di Gorizia, circondario di Trieste e città autonoma di Trieste.
Tale divisione era stata fatta in modo tanto incomprensibile, che i triestini la presero in burla, asserendo che neppure gli slavi la capivano. Ma, tutti, triestini e italiani la avrebbero compresa molto più tardi, ai tempi del governo Pella, quando Tito, in base ai confini dei circondari, allora stabiliti, avrebbe reclamato la fascia di terra circostante Trieste da Duino ad Aurisina, Sgonico, ecc.
Ricordo che tra gli eletti di quel giorno al “plenum e all’Assemblea della Costituente” vi erano dei triestini di indubbia fede italiana; eletti a loro insaputa, artisti, professionisti, persone in vista che lessero i loro nomi su il “Nostro Avvenire”. Costoro, non sapendo che cosa fare, impauriti e sdegnati, cercarono di uscire clandestinamente dalla città. Alcuni di loro trovarono un nascondiglio sicuro. La manovra slava voleva far credere all’estero che “esponenti del movimento annessionistico” erano inclusi proprio nelle classi italiane e professionali di Trieste. I risultati delle elezioni del Consiglio di Liberazione furono: eletti 27 membri di cui 19 sono italiani e 8 sloveni.
Così, il “fatto compiuto” era stato perfezionato. Ma bisognava ancora consolidarlo. A questo avrebbero pensato gli emissari di Tito con ulteriori arresti, altre deportazioni e le foibe, eliminando quanti avrebbero potuto smascherarlo.
Al “fatto compiuto” le Nazioni Unite risposero con una mozione di protesta di nessun peso. Il Maresciallo Alexander, invece, conscio delle sue responsabilità, inviò a tutte le unità da lui dipendenti una precisazione di sei punti. Il primo: “La zona intorno a Trieste, Gorizia e a Est dell’Isonzo, fa parte dell’Italia e chiamasi Venezia Giulia...”
Il maresciallo stigmatizzava le pretese rivendicazioni di Tito fatte valere con la forza delle armi, sottolineando il dovere degli Alleati di mantenere l’ordine e il rispetto della legge. Ricordava di aver inutilmente tentato di arrivare ad un accordo con Tito.
Il messaggio arrivava ai triestini da Radio Bari, Radio Londra e la Voce dell’America recando loro un gran conforto e facendo loro credere che le parole di Alexander avrebbero dissuaso Tito dallo spadroneggiare in città.
Errore. Attraverso la Tanjug, Tito rispose in modo da far credere al mondo intero che la Jugoslavia era animata da oneste intenzioni. Rileggendo la dichiarazione titina, col senno del poi, si comprende il vero significato in essa contenuto. Significava che Trieste era stata occupata su richiesta di un popolo importato; che la Jugoslavia si riservava il controllo militare e lasciava ai CLN da lei creati l’amministrazione civile; che la Jugoslavia assicurava gli Alleati di poter utilizzare i porti e il transito verso l’Austria; che era contraria ad ogni annessione irregolare, intendendo irregolare l’annessione della Venezia Giulia all’Italia.
Tito era tracotante sicuro prepotente. Ma che cosa gli dava la forza di essere tale? Risponde De Castro: “Per spiegare la scarsa energia che gli Alleati dimostrarono …bisogna considerare il problema nell’ambito della politica internazionale di quel momento, quanto mai complicata nei rapporti sovietico-occidentali.”
I triestini non poterono far altro che constatare che la presa di posizione di Alexander, cioè degli Alleati, non impressionava minimamente Tito e non ne modificava l’azione.
Unico sollievo per la popolazione era il cambiamento dell’orario del coprifuoco che estendeva il permesso di circolare dalle 10 alle 15: ora si poteva uscire dalle 5 alle 20.
Nonostante le foibe del Carso ricevessero quotidianamente cadaveri e vivi italiani orribilmente martoriati, il popolo giuliano continuò una sorda efficace lotta per l’italianità di quelle terre e Tito ne fu tanto preoccupato da inviare a Trieste due brigate di “garibaldini” e cioè la Garibaldi Natisone e la Fontanot, in tutto 2.000 uomini, ex soldati dell’esercito italiano, dopo l’otto settembre, passati neireparti di Tito.
19 maggio. I garibaldini, vedendo e disapprovando quanto Tito stava facendo a Trieste, fecero quasi un tentativo di rivolta.
20 maggio. Nella caserma dei garibaldini scoppiò un ordigno che provocò dei morti. Non si saprà mai chi fosse stato l’autore dell’attentato. Si dice gli slavi, per far credere che i triestini non volevano la presenza dei partigiani italiani in città
21 maggio. I garibaldini se ne andarono da Trieste. Come “liquidazione” ai garibaldini sloveni vennero date 30.000 lire, agli italiani 5.000.
In questo momento la situazione di Trieste e della Venezia Giulia era tanto pericolosa da poter essere la causa della scintilla capace di provocare una nuova guerra o allungare la durata di quella che stava per finire.
La questione giuliana così semplice da dipanare, se solo si fosse voluto farlo, diventò di interesse mondiale, uno dei motivi di discordia della grande politica internazionale.
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