giovedì 26 ottobre 2023

Dalmazia: l’esodo ignorato del 1921

In Dalmazia, terra prima romana poi veneta, erano state riposte grandi speranze nelle clausole del Patto di Londra, nel quale si affermava che in caso di vittoria l’Italia avrebbe ottenuto, oltre Trentino Alto Adige, Trieste e Istria, anche questa regione, la cui popolazione è sempre stata partecipe della cultura italiana. Durante la prima guerra mondiale centinaia di dalmati abbandonarono l’esercito asburgico per passare dalla parte dell’Italia, che ritenevano la loro vera patria. Speranze che parvero realizzarsi al termine della guerra, con la vittoria dell’Italia sull’Impero austro-ungarico, detentore di queste terre da quando Napoleone, con atto proditorio, cedette nel 1797 la libera Repubblica di Venezia all’Austria.

Lungo tutto il litorale dalmata, da Spalato a Sebenico fino a Zara, numerose e partecipi furono le manifestazioni di gioia con tanto di bandiere tricolori: i dalmati erano certi della loro tanto attesa unione alla madrepatria. Le navi militari, che nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra arrivavano nei porti del litorale dalmata per prendere possesso di queste terre, erano accolte dall’entusiasmo di tutta la cittadinanza riversatasi per l’occasione sulla banchina del porto: a Zara, dove la popolazione si inginocchiò sul molo per accogliere le navi italiane, a Sebenico patria di Tommaseo, a Spalato dove hanno studiato prima Foscolo poi lo stesso Tommaseo.

Purtroppo lo Stato italiano, come spesso è accaduto, non difese con fermezza quanto gli era dovuto in conseguenza della vittoria ed ebbero il sopravvento coloro che la guerra l’avevano persa: i croati e gli sloveni, che avevano combattuto con la sconfitta Austria, si unirono ai serbi e costituirono il Regno di Jugoslavia. Dalla loro parte si schierò Wilson, il Presidente degli Stati Uniti, che non accettò di mettere in pratica in queste terre dell’Adriatico orientale il principio di autodeterminazione dei popoli da lui stesso affermato nei famosi Quattordici Articoli del 1918. Ci furono disordini, attentati, organizzati da coloro che rifiutavano la presenza degli italiani, e furono presi di mira anche gli stessi militari presenti: a Spalato ad esempio l’11 luglio del 1920 persero la vita il motorista Aldo Rossi e il capitano Tommaso Gulli, quest’ultimo decorato di medaglia d’oro al valor militare, mentre Rossi di medaglia d’argento, naturalmente alla memoria. Il 12 novembre 1920, con il Trattato di Rapallo, in spregio al principio di nazionalità, le località slavofone di Idria, Postumia, Plezzo, San Pietro del Carso, Sesana e Villa del Nevoso divennero italiane; di converso, le città e isole dalmate a storica presenza italofona di Spalato, Curzola, Lesina, Traù, Ragusa e Cattaro divennero jugoslave.

Queste vicende e le conseguenti prospettive spinsero gli abitanti italofoni delle città dalmate passate sotto la Jugoslavia a fuggire: molti nella vicina Zara, l’unica città dalmata che rimase italiana, ma altri in Istria, a Trieste o in varie città della penisola. Fuggirono molti anche dalla città di Ragusa (oggi Dubrovnik) di cultura e di lingua prima romana e poi italiana, per otto secoli considerata la quinta Repubblica marinara: la famiglia Missoni, quella dello stilista Ottavio Missoni, fuggì appunto da Ragusa e si rifugia a Zara (da cui sarà di nuovo costretta a fuggire al termine della seconda guerra mondiale). Sono circa duemila le persone che hanno abbandonato le città dalmate in cui da secoli la famiglia risiedeva per andar esuli.

Abbiamo voluto ricordare questo sconosciuto esodo del 1921 perché riteniamo possa far meglio comprendere non solo la storia dell’Adriatico orientale, ma soprattutto quanto è accaduto nell’altro esodo, giuliano-dalmata, certo più numeroso e tragico seguito alla seconda guerra mondiale e commemorato il 10 febbraio, Giorno del Ricordo.




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