giovedì 26 ottobre 2023

Breve storia della Dalmazia nel XIX secolo


Partito Autonomista (Dalmazia)


Nell'Ottocento si assistette al sorgere delle coscienze nazionali di molti popoli europei (epoca del nazionalismo romantico). In Italia cominciò il periodo del Risorgimento e anche nei Balcani cominciarono a nascere la coscienze nazionali, inizialmente per il diffondersi delle idee del movimento panslavista.

Nella prima metà dell'Ottocento, cominciò a diffondersi in Dalmazia il movimento illirico, al quale faceva capo il croato Ljudevit Gaj. Questo movimento aveva come scopo la creazione di un'unica cultura e coscienza politica degli Slavi del sud. Sebbene rimasto circoscritto alle aree croate, vi aderirono anche alcuni esponenti della comunità serba della Dalmazia. Dal movimento illirico del primo Ottocento, dopo il 1848 cominciò a formarsi il cosiddetto “movimento nazionale croato” che diede avvio in Dalmazia al “risorgimento popolare croato” (hrvatski narodni preporod) ed agli scontri con la dominante comunità dei Dalmati Italiani.

Fino a quel momento in Dalmazia gli italiani e gli slavi avevano vissuto senza pregiudizi, ma la nascita del panslavismo portò alle prime tensioni fra gli italiani, concentrati nelle città costiere (in molte delle quali erano in maggioranza), e i croati, che erano diventati dal Cinquecento il gruppo maggioritario nell'intera Dalmazia come conseguenza della piaghe che avevano decimato l'autoctona popolazione romanza, e soprattutto come conseguenza della conquista ottomana dei Balcani, che aveva scatenato una migrazione di massa di profughi slavi ai territori veneziani. Gli italiani erano circa il 33% (un terzo) dell'intera popolazione dalmata all'inizio del XIX secolo.

Tra il 1848 e il 1918 l'Impero austro-ungarico — soprattutto dopo la perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866) — incoraggiò l'affermarsi dell'etnia slava per contrastare l'irredentismo della popolazione italiana. Durante la riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe tracciò un progetto di ampio respiro:
Sua maestà ha espresso il preciso ordine di opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronländer, e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione — a seconda delle circostanze — delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo, mediante un adeguato affidamento di incarichi a magistrati politici ed insegnanti, nonché attraverso l'influenza della stampa in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico. ”
Sono interessanti in relazione all'ordine di Francesco Giuseppe “per la germanizzazione e la slavizzazione” ed alla politica filoslava del governo imperiale le considerazioni di Massimo Spinetti, ex ambasciatore italiano a Vienna, nel suo articolo “Costantino Nigra ambasciatore a Vienna (1885-1904)”. Spinetti sostiene fra l'altro che:
“ Tale politica contro la componente italiana trovò particolare applicazione in Dalmazia, specialmente dopo l´annuncio del matrimonio del Principe ereditario Vittorio Emanuele III con la principessa Elena di Montenegro. ”
L'instaurazione del regime costituzionale nel 1860 portò a profondi cambiamenti in Dalmazia: da una parte la libertà di stampa e di associazione favorì il movimento nazionale croato che era stato fino ad allora frenato dalle autorità viennesi (sebbene esse lo usassero anche contro le aspirazioni irredentiste italiane, in conformità con la politica del “divide et impera”). Le leggi elettorali austriache favorirono il suffragio universale (e con ciò le nazionalità più numerose), ragion per cui gli italiani persero, tra il 1860 e il 1885, l'egemonia politica in Dalmazia: solo la città di Zara rimase governata fino alla prima guerra mondiale da una giunta espressione del partito autonomista (negli anni identificato prevalentemente come il partito degli italiani). Si trattava di un processo parallelo a quello di altre province austriache, ad esempio la Carniola e la Boemia, dove gli slavi riuscirono a conquistare le istituzioni dell'autonomia provinciale. In Dalmazia, però, questo processo fu ulteriormente traumatico per la comunità italiana, in quanto essa non poteva contare, a differenza dei tedeschi della Boemia e della Carniola, su un sostegno politico da parte del governo centrale di Vienna. I governi centrali, che dovevano frequentemente sostenersi su partiti croati della Dalmazia, erano pronti a fare delle concessioni agli slavi in Dalmazia che non concessero mai agli sloveni in Carniola o ai cechi in Boemia. Così le scuole medie, che dipendevano, a differenza di quelle elementari, dal governo centrale, furono progressivamente croatizzate. Lo stesso successe con le scuole elementari nei comuni governati dagli slavi. La lingua italiana perse così il suo status storico, mantenendo però il suo prestigio quale “lingua culturale” (ricordiamo che persino Frano Supilo, uno dei maggiori esponenti del movimento nazionale croato, dichiarava di “pensare in italiano, pur essendo croato”). La consistenza della comunità italiana nelle città costiere cominciò a diminuire progressivamente, con l'unica eccezione della già citata Zara.

Lo storico Matteo Bartoli nel suo libro “Le parlate italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia” scrisse che:
Dopo la battaglia navale di Lissa del 1866, in Dalmazia come nel Trentino e nella Venezia Giulia tutto ciò che era italiano venne avversato dagli austriaci. Non potendo tedeschizzare quelle terre perché troppo lontane dall'Austria, venne favorita la cultura slava a danno di quella italiana. Nelle varie città dalmate a mano a mano l'amministrazione da italiana passava a croata. Nel 1861 gli 84 comuni dalmati erano amministrati da italiani. Nel 1875 risultava che 39 di essi avevano amministrazione croata, 19 italiana ed i restanti bilingue. I comuni con amministrazione italiana erano: Blatta, Brazza, Cittavecchia di Lesina, Clissa, Comisa, Lissa, Meleda, Mezzo, Milnà, Pago, Ragusa, Sabbioncello, Selve, Slarino, Spalato, Solta, Traù, Verbosa e Zara. Nel 1873 Sebenico passò all'amministrazione croata, così come nel 1882 Spalato, nel 1886 Traù, nel 1904 Arbe e nel 1910 Slarino che lasciava sola Zara.
Inoltre dal 1866 al 1914 - ad eccezione di Zara - vennero chiuse le scuole italiane e aperte quelle croate. Il tracollo della componente italiana in Dalmazia è dovuto soprattutto a questo fatto, non avendo più essi libertà di espressione culturale. La trasformazione delle scuole italiane in croate fu accompagnata da numerose proteste, persino nella remota Tenin in cui numerose famiglie chiedevano il mantenimento della lingua italiana. A Lissa una petizione fu portata addirittura all'imperatore. Fu così fondata negli anni novanta la Lega Nazionale, la cui sezione dalmata gestiva a proprie spese scuole private italiane. Esse erano presenti a: Cattaro, Ragusa, Curzola, Cittavecchia di Lesina, Spalato, Imoschi, Traù, Sebenico, Scardona, Tenin, Ceraria, Borgo Erizzo, Zara ed Arbe (oltre a Veglia, Cherso, Unie e Lussino). Tutto questo avveniva in un clima di continue vessazioni da parte degli slavi che a mano a mano conquistavano il potere. Antonio Baiamonti fu podestà di Spalato prima che essa cadde nelle mani dell'amministrazione croata. Egli spese tutta la vita e le proprie sostanze per la sua città, sostanze che mai vennero rimborsate dagli austriaci nonostante le ripetute promesse. Morirà a 69 anni indebitato fino al collo. Diceva spesso: ‘A noi italiani di Dalmazia non resta che un solo diritto: quello di soffrire!’

Nel 1909 la lingua italiana venne vietata in tutti gli edifici pubblici ed i dalmati italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali. Conseguentemente entro la fine della prima guerra mondiale (1914-1918) la popolazione italiana è stata quasi del tutto eliminata, con l'eccezione di alcune città ed isole dalmate.


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