giovedì 30 novembre 2023

Francesco Pietro Raccamarich

Francesco Pietro Raccamarich (Pago?, 4 luglio 1744 – 21 gennaio 1815) è stato un vescovo cattolico e nobile dalmata.

Primogenito di Giorgio Raccamarich, discendente di una famiglia originaria di Carlopago, e di Catarina Durinich.

Avviato alla carriera ecclesiastica, iniziò gli studi nella sua città natale, per poi completarli in Italia, prima a Loreto e poi a Padova, dove si laureò in filosofia e teologia. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale nel 1767, tornò a Pago, dove entrò a far parte del clero della collegiata dell'Assunzione di Maria, divenendo prima confessore e poi, dal 1773, cappellano delle locali monache benedettine. Nel 1776 fu nominato canonico del capitolo della collegiata.

Il 3 aprile 1787 Raccamarich e i suoi fratelli furono ammessi alla nobiltà paghesana dal consiglio dei nobili del comune di Pago. Stessa concessione fu loro fatta dal consiglio dei nobili di Nona il 2 ottobre 1793, con investitura ufficiale il successivo 28 novembre.

Nel 1794 papa Pio VI lo nominò rettore del Pontificio Collegio di San Girolamo di Roma. Lo stesso pontefice due anni dopo lo scelse come nuovo vescovo di Cattaro; ricevette la consacrazione episcopale nella basilica di Santa Maria in Trastevere il 10 luglio 1796 dalle mani del cardinale Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, co-consacranti l'arcivescovo di Efeso Nicola Buschi e il vescovo di Cirene Simone de Magistris. Prese effettivo possesso della sua nuova diocesi l'anno successivo.

Il 20 luglio 1801 fu trasferito da papa Pio VII alla diocesi di Ossero, sull'isola di Lussino, della quale prese possesso il 1° giugno 1802. Invece che a Ossero, stabilì la sua sede a Lussingrande, la cui parrocchia, dedicata a sant'Antonio abate, fu elevata al rango di concattedrale; la chiesa fu completamente ristrutturata e poi solennemente riconsacrata nel 1809.

Uno dei primi atti di Raccamarich come vescovo di Ossero fu l'abolizione della tradizionale liturgia glagolitica e la sua sostituzione con quella latina.

Raccamarich, il cui obiettivo non era ostacolare l'uso delle lingue vernacolari nella liturgia, bensì uniformare i riti della sua diocesi a quelli del resto del mondo cattolico, scrisse una raccolta di preghiere e di pratiche devozionali in ciacavo , intitolato Nauk karstianski u kratko skupglien i sloxen po prisvitlom i pripostovanom gospodinu Frani Petru Rakamarichu biskupu ossorskom za korist i sluxbu svoje darxave ("Dottrina cristiana brevemente raccolta e redatta dall'onorevole e rispettabile don Francesco Pietro Raccamarich vescovo di Ossero a beneficio e servizio della sua diocesi"), manuale che conobbe diverse riedizioni. Nel 1803 fece inoltre aprire a Lussingrande una scuola elementare di lingua italiana, la quale rimase attiva fino al 1818, quando furono istituite le scuole statali. Durante l'occupazione napoleonica della Dalmazia, Raccamarich entrò più volte in contrasto con le autorità governative francesi, in primis per via del loro atteggiamento fortemente anticlericale.

Morì il 21 gennaio 1815. Fu l'ultimo vescovo di Ossero, poiché dopo la sua morte la sede rimase e lungo vacante e fu definitivamente abolita il 30 giugno 1828, venendo accorpata alla diocesi di Veglia. 

Raccamarich in questo libro è segnato come nativo di Zara books.google.it
https://books.google.it › books
Notizie per l'anno ...1797

martedì 28 novembre 2023

Gli italiani di Dalmazia (Federico Pagnacco)

«Da quando il numero ha determinato il diritto? La sola elencazione delle cifre entra nel campo dell'aritmetica, e non già nel codice, nel diritto, nella politica. L'enumerazione è un argomento che si fa con le dita e non con il cervello e con il cuore. La storia nega quest'aritmetica e l'umanità la respinge».

Con queste parole di Niccolò Tommaseo riportate dal dott. Ivo Rubic nel suo recente libro «Talijani na Primorju Kraljevine Jugoslavije» (Spalato 1930) noi apriamo queste note, che non hanno solo scopo polemico, ma soprattutto vogliono essere richiamo ad una realtà che, per gl'italiani di Dalmazia, ha i precisi contorni di una tragedia. Dalle cifre che ingenuamente ci fornisce il dott. Rubic e dall'esposizione economica ch'egli ci illustra, appare chiaro purtroppo che «le rocce del potere italiano in Dalmazia vanno definitivamente franando». Le file degli italiani si assottigliano, la loro potenza economica si va sgretolando. Il processo di slavizzazione totalitaria della Dalmazia, iniziato dall'Austria nel 1866, accelerato nel ritmo negli ultimi anni che precedettero la guerra, si va concludendo sotto l'implacabile azione dello Stato jugoslavo. Della vecchia gloriosa Dalmazia veneta, Zara è salva, ma ormai quasi tutto il resto è sommerso dalla fiumana che cala dalla Balcania; sole resistono, con disperata volontà di vita, poche oasi a dare, con la loro presenza, un conforto umano al meraviglioso patrimonio artistico, lasciato da Roma e da Venezia, patrimonio che testimonia di una civiltà e di una vita dalmatiche che nessun artificio statistico e nessuna preponderanza numerica varranno a rendere croate, anche se lo scalpello jugoslavo si accanirà con nuovo furore contro gli alati leoni di San Marco. Ma, malgrado il suffragio della statistica, tanto si sente estraneo alla Dalmazia il Regno dei Karageorgevic, che, dopo due millenni, tenta ora di distruggerne l'unità e il nome, spezzandola nei Banati della Primorska, della Savska, della Zetska. Esamineremo diffusamente il libro del dott. Rubic, ma prima d'inoltrarci vogliamo affacciargli un breve quesito: se tanto provato e così pacifico è il carattere assolutamente jugoslavo della Dalmazia, se così infinitesime e trascurabili sono le minoranze italiane in Dalmazia, perchè mobilitare la statistica, disturbare l'aritmetica, riesumare testi, perché sfoderare tutte queste formidabili armi per abbattere il fantasma dell'inesistente italianità dalmata? Questa necessità di difendersi, di attaccare, di documentare, non è forse la migliore dimostrazione che in codesto fantasma vi è ancora molta vita?

L'affanno del dott. Rubic per dimostrare la contradditorietà delle statistiche compilate o citate da scrittori italiani (Giotto Dainelli, Attilio Tamaro, Antonino d'Alia, A. Brunialti e S. Grande, Oscar Randi, Fr. Mussoni, De Michelis, G. Belletti, U. Nani, Mimistero degli Affari Esteri) ci sembra sia male speso, Nessuno di tali autori, nessuna di tali statistiche, vogliono dimostrare che la maggioranza della popolazione della Dalmazia è di nazionalità italiana. Ma tutti i citati autori tendono a dimostrare:

a) che la civiltà della Dalmazia è inseparabile dalla civiltà latina e italica, cioè prima romana e poi veneziana, e che duemila anni di storia confermano la continuità di un tale processo integrativo;

b) che la Dalmazia, tagliata fuori dai Balcani dalle Alpi Bebie e dalle Dinariche, ha vissuto tutta la sua vita sull'Adriatico e la corona delle sue città costiere ha riflesso in pieno la vita e la civiltà dell'Italia, così che tali città, per secoli, ebbero un'impronta italiana;

c) che anche nel periodo napoleonico la Dalmazia aveva istituti e reggimento completamente italiani e che, specialmente dopo il 1866, l'Austria adottò una politica di snazionalizzazione, alle volte sottile, alle volte violenta, ai danni degli italiani, in modo che nel 1914 non restava che un solo Comune in mano agli italiani; 

d) che dalle stesse statistiche ufficiali austriache, dal 1865 al 1910, appare alla luce del sole tale opera di disitalianizzazione della Dalmazia, tanto che nel censimento austriaco del 1910 gli italiani di Dalmazia sono ridotti a 18.028 su circa 650.000 abitanti, vale a dire il 3%, mentre nel 1816 su 295.000 abitanti gl'italiani erano quasi 60.000; 

e) che la coscienza civile degli italiani di Dalmazia resta documentata da una lotta tenacissima combattuta per oltre mezzo secolo e coronata con il glorioso tributo di sangue dato dai 219 dalmati accorsi volontari nelle file dell'Esercito italiano nell'ultima guerra, i quali lasciarono 20 Caduti sul campo dell'onore;

f) che quattro secoli di dominio veneziano e una secolare continuità di rapporti economici e culturali fra l'Italia e la Dalmazia, diedero a quest'ultima l'aspetto e il carattere di una regione italiana, anche se la maggioranza degli abitatori era di nazionalità slava, e quindi in fatto di diritto era equo non prevalesse la forza bruta del numero sulla forza della storia, dell'arte, dell'economia. della civiltà, fattori indistruttibili nei destini dei popoli, come è dimostrato dalla storia, da quella romana a quella inglese;

g) che, pur essendo una minoranza, sono stati gl'italiani a dare quell'impronta originale, che la distingue da tutte le altre regioni, alla Dalmazia, e non gli slavi.

Ma, d'altronde, e detto per incidenza, sembra proprio al dott. Rubic che la Jugoslavia possa sinceramente farsi paladina del diritto assoluto del numero? Non ha essa forse superato tale concetto nel costituirsi a stato unitario, includendosi regioni prevalente mente abitate da altre nazionalità? Di 4.122.000 abitanti dei territori cedutile dall'Ungheria 1.727.000 sono croati della Croazia-Slavonia, ma nelle rimanenti regioni della Voivodina, dei 2.395.000 abitanti: 1.029.000 sono serbi e gli altri 1.366.000 sono ungheresi e tedeschi. Qui, evidentemente, la teoria del numero non vale, Secondo le stesse statistiche ufficiali jugoslave e sa Iddio solo quanto possano essere giuste, specialmente quelle delia Macedonia dove i bulgari sono addirittura ufficialmente scomparsi! contro un 52% di serbi, un 22% di croati. un 9% di sloveni, vi è un 17% (cioè quasi 2.400.000) di altre nazionalità.

E, tirato su questo terreno, probabilmente il dott. Rubic sosterrà che l'etnografico è un fattore, ma non il solo fattore base, per la costituzione di uno Stato. Altri fattori vi concorrono: l'economia, la storia, la tradizione, la geografia, le necessità militari. E, allora, per la Dalmazia che ha una civiltà, una storia, una tradizione artistica, culturale, economica, prettamente italiane può valere il solo fattore numerico?

A non andare oltre, nei secoli più lontani, vogliamo guardare brevemente, come lo consente la brevità di queste note la Dalmazia dalla caduta della Repubblica di San Marco in qua. E- poichè il dott. Rubic parla di servaggio dei dalmati sotto la dominazione veneta e poichè tace il passato glorioso di Ragusa tutto illuminato da una radiosa luce di latinità premettiamo qualche osservazione e qualche ricordo circa Ragusa e circa l'oppressione del Dominio di Venezia.

Ragusa, dal 1300 al 1800, è la più fiorente aiuola italiana sull'altra sponda dell'Adriatico. Echeggia dei canti che percorrono la Penisola. Ha il diritto romano come base degli ordinamenti politici e sociali, ed il suo statuto è uniformato, fin dal 1272, a quello di Venezia per opera del veneziano Marco Giustiniani. Gli ordinamenti scolastici le sono compilati dal cremonese Giovanni Musoni, che è il rettore delle scuole, e il suo poeta laureato Aelius Lampridius Cerva invoca l'aiuto degli dei perché ritorni in auge la favella dei quiriti, sopraffatta dagli sciti e dagli illiri. Nel 1472 la Repubblica approva la legge secondo la quale tutti gli atti del senato dovevano essere redatti in italiano e, ancora nel 1811, Urbano Appendini pubblicava i poemi latini dei suoi contemporanei «Selecta illustrium ragusinorum poemata».

Affacciata sullo specchio dell'Adriatico, Ragusa riflette fedelmente l'Italia del Rinascimento. Quale conoscenza mirabile della mitologia, dei classici e di Dante nell'abate benedettino Mauro Vetrani, che nel suo «Pellegrino» si studia di imitare la «Divina Commedia»! Con lui Andrea Ciubranovich, il Palmotta, il Giorgi e il sommo Giovanni Gondola, il cantore dell'«Osman»  e tanti altri stanno a dimostrare che Ragusa era permeata di tutta la cultura italiana, dalla poesia religiosa ai misteri, dai drammi pastorali ai canti carnascialeschi dell'epoca di Lorenzo il Magnifico. Così erano sorte anche le Accademie: celebre, quella fondata a Vruciza, sulla penisola di Sabioncello, dal poeta Domenico Ragnina e più celebre an cora l'Accademia dei Concordi che aveva la sede a Palazzo Sponza, costruito nel più bel stile del Rinascimento.

E per Ragusa, dalla ancora inedita storia di Ragusa del conte di Zamagna, vogliamo riportare qui l'elenco di tutte le famiglie gentilizie del 1600 per dimostrare, con i nomi, come il patriziato raguseo fosse schiettamente italiano. Ecco l'elenco preciso delle famiglie patrizie di Ragusa, alcune ormai estinte, altre sopravviventi e disperse: Martinis, Luccari, Palmotta, Proculo, Mesti, Bosdari, Prodanello, Paoli, Clasci, Pozza, Giorgi, Magnina, Natali, Volzo, Gondola, Gradi, Bonda, Bucchia, Bona, Slatavich, Caboga, Saraca. Menze, Zamagna, Ghetaldi, Cerva, Sorgo, Gozze, Binciola, Croce, Bassegli, Bobali, Menze, Benessa, Bussignola e Judisi: su trentasei famiglie gentilizie, come si vede, la quasi totalità appare di nazionalità italiana.

Quanto poi a fare un bilancio della dominazione veneta, nei 387 anni che la Serenissima fu signora della Dalmazia, percorra ancora oggi tutta la costa il dott. Rubic e nell'architettura, nella pittura, nella scultura, in tutte le manifestazioni dell'arte, troverà tanto patrimonio di Venezia in Dalmazia che gli jugoslavi non hanno prodotto nè, forse, produrranno mai. E in quattro secoli i dalmati, combattendo sotto il gonfalone di San Marco, dimostrarono una fedeltà e un amore ormai acquisiti alla storia. E, sebbene superflua, vogliamo aggiungere soltanto qualche citazione e ricordiamo che già nel 992 de città dalmate confederate invocano, contro i pirati della Narenta, la protezione della Serenissima. Il doge Orseolo II li debella e, a premio, il Senato gli conferisce il titolo onorifico, per lui ed eredi, di doge di Venezia e di Dalmazia. Giuseppe Modrich: La Dalmazia Edizione L. Roux e Co., 1892: «Spalato fiorì sotto il dominio veneto. Vi faceva capo il commercio con le Indie e con la Persia. La città si estese sensibilmente e molte nobilissime famiglie venete vi presero stabile dimora. Anche oggidì i discendenti di quel le famiglie ne formano il fiore intellettuale». (Idem, Ibidem. Siamo nel 1892 e scrive uno scrittore che è tutt'altro che un nazionalista italiano). Si potrebbe continuare, ma basta ricordare ancora le manifestazioni di dolore avvenute in tutta la Dalmazia alla caduta della Repubblica per avere un'idea di quanto Venezia aderiva all'animo dei dalmati e quanto fosse amato il «servaggio» veneziano.

«Quando, dopo il Trattato di Campoformio, la Dalmazia fu costretta ad abbassare ie bandiere di San Marco, in molte città esse furono portate in processione nelle chiese. Gli Austriaci assistettero commossi a dimostrazioni di tanto affetto, e fecero bene a lasciare al governo delle città quegli stessi Conti veneti che dirigevano la cosa pubblica sotto la Serenissima. A Zara il ritiro del vessillo di San Marco avvenne il 10 luglio 1797 fra il pianto e i singhiozzi dei militi e di grande quantità di popolo. A Perasto, il 22 Agosto di quell'anno, il comandante della fortezza, un dalmata, consegnata la piazza al generale austriaco Rukavina, portò il gonfalone di Venezia in chiesa, lo chiuse in una cassetta, e lo pose poi come una reliquia sotto l'altare maggiore parlando ai presenti in modo da farli lagrimare. (A. d'Alia: «La Dalmazia». 1928). E, dopo mezzo secolo, nel 1848, a Daniele Manin, a Venezia, si presentano giovani dalmati a offrire ii loro sangue per il Leone di San Marco. Tanto fu forte l'azione di Venezia sulle popolazioni dalmate, da attrarne dopo cinquant'anni dalla caduta della Repubblica, i giovani alla sua difesa.

Dopo un breve periodo di occupazione austriaca, i Francesi oсcupano alla lor volta la Dalmazia, nel 1806. Il generale francese Dumas, in nome di Napoleone, lancia ai Dalmati il seguente proclama:

«Dalmati! L'Imperatore Napoleone, Re d'Italia, vostro Re, vi rende alla vostra Patria. Egli vi ha fissato i vostri destini: il Tratato di Presburgo garantisce la riunione della Dalmazia al Regno d'Italia. «Bravi dalmati, compite i vostri destini, riprendete il vostro rango, quello degli avi vostri fra le Nazioni, mostratevi fedeli alla Patria comune, zelanti al servizio del vostro Sovrano, sottomessi alle leggi sotto le quali Egli ha riunito i popoli d'Italia come membri di una sola famiglia; mostratevi degni di essere calcolati nel numero dei figli di Napoleone».

Dopo quattro secoli di dominio veneto. Napoleone e i francesi nella Dalmazia ritrovavano il volto dell'Italia e al Regno d'Italia la rendevano. Il carattere nazionale e l'aspetto della Dalmazia, evidentemente, non lasciavano dubbi.

Nel 1815 la Dalmazia ritorna sotto il dominio austriaco, e vi resta sino al 1918. È il secolo più drammatico per gl'italiani di Dalmazia. Dopo un periodo di stasi, che durò sino alla battaglia di Lissa, si inizia la grande offensiva contro l'italianità della Dalmazia. I comuni cadono uno dopo l'altro; le scuole si slavizzano; la lingua italiana viene bandita dagli uffici; gl'italiani, uno alla volta, sono sfrattati dal Parlamento; il numero degli italiani decresce anno per anno.

Dopo la battaglia di Lissa e la perdita del Veneto data in modo cronologicamente esatto l'inizio della lotta antitaliana, sul finire del 1866 l'Austria si convinse che, per troncare ogni velleità irredentista dell'Italia sull'altra sponda, conveniva snaturare il carattere nazionale della Dalmazia. In quest'azione trovò alleati spontanei alcuni fattori naturali: il risveglio della coscienza nazionale degli slavi; il fenomeno urbanistico che attirava un numero sempre maggiore di campagnoli slavi nelle città ancora italiane; la lotta di classe, predicata dai socialisti, che metteva in conflitto le masse rurali prevalentemente slave contro i proprietari italiani, dando luogo ad uno strano miscuglio psicologico classista e nazionale. Il progressivo allargamento del suffragio elettorale al Parlamento, alla Dieta, nei Comuni, portando un poco alla volta le masse slave rozze ed analfabete ad un livello di parità politica con la minoranza italiana, intellettualmente ed economicamente assai più elevata, veniva. poi, nelle elezioni, in forma costituzionale e legalitaria, a soffocare gl'italiani. Il suffragio universale nel 1907, infatti, segna la fine della rappresentanza dalmata al Parlamento di Vienna.

Ma se l'Austria trovò questi fattori naturali ad aiutarla nella sua azione disitalianizzatrice, è fuori d'ogni dubbio ch'essa e soltanto essa volle, promosse, diresse la lotta contro l'italianità, così come tentò di distruggerla a Trieste, a Gorizia, nell'Istria, dove non ebbe l'aiuto di fattori così decisivi e dove non trovò terreno così favorevole. A sfatare la leggenda del dott. Rubic che l'Austria imperiale fosse così feroce nemica degli slavi e cosi tenera protettrice degl'italiani basterebbe un fatto solo: l'offerta della intera sua flotta, fatta il 10 Novembre 1918, alla Jugoslavia pur di sottrarre la flotta stessa all'Italia vittoriosa.

Ma guardiamo appunto attraverso alle cifre, tanto benvolute dal dott. Rubic, questa progressiva azione distruttrice dell'italianità dalmatica. Prendiamo per buone, sin dall'inizio, quelle austriache, certi che saranno sfavorevoli agl'italiani. E aggiungiamo, alle molte dell'Autore, una sola citazione ad avvalorare la veridicità dei dati del censimento austriaco del 1865, cifra di partenza. A. A. Schmidl in «Koenigreich Dalmatien» (Stuttgart, 1842) su una popolazione della Dalmazia di 375.000 anime dà 320.000 slavi e oltre 40.000 italiani. Non dovrebbe essere una testimonianza sospetta, questa dello Schmidl, anche perché non manifesta alcuna simpatia speciale per gl'italiani. Ora, com'è possibile che, per un fenomeno puramente naturale, i 320.000 slavi del 1842 salgano a 610.000 nel 1910, e nello stesso periodo gl'italiani da 40.000 scendano a 18.000?

Prendiamo dal Dainelli («La Dalmazia», Novara, 1918) i dati dei censimenti ufficiali austriaci dell'ultimo mezzo secolo:


La decrescita degl'italiani è sintomatica. (Notiamo che il miglioramento riscontrato all'ultimo censimento è da ascriversi all'opera intensificata della Lega Nazionale). Per una strana coincidenza, la decrescita degli italiani è accompagnata da alcuni altri sintomatici avvenimenti. Un decreto del Governo austriaco dell'8 Novembre 1866 trasforma numerose scuole dalmate da italiane in croate. Un altro decreto austriaco, del 10 Dicembre 1866, obbliga gl'impiegati della provincia alla conoscenza della lingua slava. Comincia, poi, il crollo dei Comuni: quello di Gelsa cade in mano dei croati nel 1868. Nel 1873 viene abbattuto il Comune di Sebenico che, tra violenze e soprusi d'ogni genere, cade in mano degli slavi. Nel 1875 cade il Comune di Curzola; nel 1876 agli italiani viene strappato il Comune di Signa; Ragusa cadde nel 1878; nel 1881 cade Traù; nel 1882, fra violenze inaudite e con la minacciosa presenza di navi da guerra austriache in porto, cade il glorioso Comune di Spalato fieramente difeso da Antonio Bajamonti; Lissa cade in mano degli slavi nel 1886 e nel 1887 cade Cittavecchia. Nel giro di meno di vent'anni nove Comuni i principali della Dalmazia passano da un'amministrazione italiana ad un'amministrazione croata. Resiste sola Zara. È forse cambiata la fisionomia di queste città? Vediamo, ad esempio, cosa scrive in un viaggio nel 1892 Giuseppe Modrich, nel suo libro sulla «Dalmazia», di Signa: «Avvicinando alcuni cittadini e frequentando i loro ritrovi mi sorprese che, in quell'ambiente prettamente morlacco, tutti parlassero a preferenza l'italiano. Conoscono anche lo slavo, e benissimo; ma non lo adoperano nei rapporti sociali». Non siamo alla costa, siamo a Signa, in Morlacchia, sedici anni dopo che il Comune è in mano degli slavi! Riportiamo quanto scrive lo stesso Giuseppe Modrich, sempre nel 1892 cioè dieci anni dopo che il Comune di Spalato è caduto in mano dei croati dell'ultimo podestà italiano di Spalato, Antonio Bajamonti: «La ferrovia, l'acquedotto dioclezianeo ricostruito, le Procuratie, la riva nuova, la diga che tutela il porto, la fontana monumentale di fronte al suo palazzo, lo ricorderanno ai posteri perpetuamente, siccome un Figlio, prodigo sì, ma innamorato della sua Spalato. Ne resse, par oltre un ventennio, i destini in qualità di borgomastro. C'era un'epoca che a Spalato, specie nei sobborghi, lo adoravano addirittura (Si vede, dott. Rubic, che la dittatura degli italiani nei Comuni dalmati non era poi tanto odiata! N. d. R.). E l'anno scorso, quando morì, migliaia di popolane piansero e pregarono sul suo feretro come dinanzi alle reliquie di San Doimo, il protettore della città. Fu un lutto sincero e generale. Lungo la marina sfilò il corteo funebre, degno di un principe benefico, di un somme personaggio storico. A parte le lotte politiche e i motivi che le inaspriscono, io, quando riveggo Spalato, dopo la morte del dott. Bajamonti, mi sembra che nell'ambiente cittadino manchi qualcosa: vi manca la sua figura geniale». Da ciò si può anche dedurre che, se l'Austria non avesse sciolto il Consiglio comunale di Spalato nel 1879 e non vi avesse mantenuto per tre anni un commissario imperialregio a preparare il varo di una maggioranza croata, il Comune di Spalato nel 1882 sarebbe rimasto, quasi certamente, in mano degli italiani. Altro che partigianeria austriaca per gl'italiani!

Di pari passo con la perdita dei Comuni, procedevano le perdite degli italiani nella rappresentanza al Parlamento di Vienna e alla Dieta di Dalmazia. Di nove deputati assegnati alla Dalmazia, con la legge del 1873 a suffragio diretto, il partito italiano fino al 1879 ne ebbe 5. Nelle elezioni politiche del 1879, però, grazie alle illegalità e alle irregolarità tollerate e aiutate dal Governo austriaco, i croati ottennero otto mandati e agl'italiani rimase un solo deputato, il conte Bonda di Ragusa. Così, nel giro di pochi anni, agli italiani, che avevano la maggioranza dei 15 deputati dietali, nel 1900 non rimanevano che sei seggi: Ziliotto, Ghiglianovich, Salvi, Krekich , Pini e Smerchinich.

Dal 1866 data pure la progressiva disitalianizzazione delle Scuole. Nel 1861, su 157 scuole elementari in Dalmazia, 9 erano italiane, 125 bilingui italo-slave, 23 croate. Eccetto che a Zara, nel 1914 non esistono in Dalmazia che le poche scuole elementari italiane mantenute dalla Lega Nazionale. Delle scuole medie, il ginnasio di Ragusa viene croatizzato nel 1868, quello di Spalato nel 1880. Sempre per...favorire gl'italiani, il Governo austriaco nel 1897 concede un ginnasio croato a Zara, dove gli slavi sono trascurabile minoranza. Anche nel campo religioso nel quale si predicava, a Spalato e a Sebenico, in italiano sino al 1911 e al 1912 la lingua italiana viene bandita. Dagli uffici pubblici viene, infine, adottata la lingua croata come lingua d'ufficio nel 1909. Il processo di disitalianizzazione della Dalmazia, iniziato con precisione matematica subito dopo Lissa, favorito con chiara evidenza dall'Austria, aiutato da innegabili fattori naturali e generali quali il risveglio del sentimento nazionale slavo e la democratizzazione degli ordinamenti pubblici austriaci, è compiuto quasi totalmente.

Salva Zara, appare chiaro dalle cifre e dai dati pubblicati dal dott. Rubic che la distruzione degli italiani nel resto di Dalmazia è assai vicina.

Vedremo ora le elaborazioni statistiche del Rubic. Facciamo una premessa, Gl'italiani, dei quali parleranno le sue cifre, non sono più, in un senso, politico e giuridico, italiani autoctoni. Sono tutti cittadini italiani, cioè o già regnicoli o ex cittadini austriaci che hanno optato per l'Italia. Sono, in pratica, cittadini «esteri» privi d'ogni diritto politico nello Stato in cui vivono. La personalità giuridica dell'italiano che possa svolgere una attività «politica» nella Dalmazia jugoslava è scomparsa.

Gli italiani sono nuclei esteri, anche se nati da famiglie vissute da secoli sul posto che vivono come colonie senza possibilità di partecipare con l'adesione o con l'opposizione, senza aderire in alcun modo, allo Stato in cui vivono. C'è da domandarsi se il Trattato di Rapallo che giuridicamente ha divelto dalla Dalmazia ogni arboscello di vita politica italiana non è stato esiziale agl'interessi italiani anche da tale punto di vista. Che cosa ha risolto in favore degl'italiani autoctoni di Dalmazia la facoltà di opzione per l'Italia? Che, quelli che non hanno optato sono divenuti jugoslavi a tutti gli effetti e tali sono considerati, mentre coloro che hanno optato, sono oggi politicamente e giuridicamente stranieri a casa propria e in nessun modo possono influire sullo Stato in cui vivono. E non per ciò sono meno odiati e meno osteggiati dagli slavi, come è dimostrato dal costante esodo di proprietà e persone, quasi tutti autoctoni e non ex-regnicoli.

Una tutela e una garanzia di vita come minoranza nazionale nel nesso dello Stato jugoslavo, forse, avrebbe assai di più giovato alle possibilità di vita italiana in Dalmazia, la quale avrebbe se non altro potuto mantenere vive quelle correnti culturali e artistiche che, nel passato, tanto giovarono ad entrambi i popoli. E' invece un po' difficile «giuridicamente» sostenere che esista, nelle attuali condizioni, una minoranza italiana in Dalmazia.

Fatta questa considerazione, esaminiamo le statistiche compilate dal dott. Rubic, statistiche ch'egli assicura matematicamente esatte. Scrive, egli, dunque: «Secondo la posizione del 1.0 giugno 1929 ci sono in tutto sulle nostre sponde 5.609 italiani e secondo la posizione del 1.0 giugno 1930, soltanto 4.900, perchè nell'ultimo anno sono emigrate 709 persone. Di fronte alla totale popolazione delle nostre sponde che contano 764.699 abitanti, gl'italiani rappresentano 0.64%.

Considerando gli agglomeramenti maggiori, secondo il numero assoluto, vedremo che essi superano i 100 abitanti in queste città:


Negli altri luoghi, non giungono agli 80.

Se consideriamo gl'italiani nei singoli luoghi in proporzione con gli jugoslavi, i loro agglomeramenti cambiano d'aspetto:


Qui ho enumerato soltanto quei luoghi, dove gl'italiani arrivano fino al 2% in relazione con gli jugoslavi; non ho menzionato i luoghi sotto il 2%. Il loro numero risulta dalla statistica annessa.

Considerando il numero assoluto, si vede che Spalato è la sola città, ove ci sono agglomerati più di 1.000 italiani; al secondo posto viene Veglia e poi Sussak. I numeri relativi parlano diversamente. Mettiamo vicine a queste alcune tabelle statistiche dei censimenti ufficiali austriaci, per intelligente paragone.



Riportiamo ora i risultati di quattro censimenti dal 1880:


Vediamo il curioso fenomeno di Spalato che, nell'anno 1910, ha 2082 italiani autoctoni più 1056 italiani regnicoli: in totale 3138. Nel 1929, secondo il Rubic, essi sono ridotti in tutto a 1309 persone. In 19 anni quella tale epidemia che infierisce da mezzo secolo in Dalmazia, e colpisce solamente gl'italiani, ha fatto un'altra strage: ha ridotto di due terzi gl'italiani di Spalato.

Scrive il dott. Rubic: «malgrado che gli jugoslavi non ostacolino in nessun luogo il loro sviluppo e che il popolo li tratti amichevolmente e non sieno boicottati nel campo economico nè perse guitati nel campo culturale e politico, gl'italiani emigrano, economicamente vanno in rovina e nel campo culturale non prendono parte a nessuna manifestazione di vita del nostro Litorale». E continua:
«Gli italiani emigrano di continuo:

Malgrado gl'italiani non sieno in alcun modo trattati male, non sieno boicottati, non sieno perseguitati, essi emigrano e vendono le proprietà. Chi sa mai, perché. Il quadro di questo esodo è quanto mai triste per noi italiani. Sulla vendita continua di terre d'italiani, scrive il Rubic:

«Dopo il crollo dell'Austria, i latifondisti italiani, desiderosi di emigrare da questa sponda e di andare in Italia, cominciarono a vendere i loro possedimenti agli jugoslavi. Qui ricordiamo soltanto i nomi più conosciuti di ricche famiglie italiane che hanno venduto del tutto o in parte i loro beni immobili in Dalmazia.

Nella città di Veglia gl'italiani hanno venduto 21 case con terreni, mentre nel resto del Litorale settentrionale non hanno venduto possedimenti. In quella zona ci sono pochi grandi possedimenti.

Si caicola che nel 1921 ci fossero in Dalmazia 600 italiani che possedessero terreni. 55 di questi 600 avevano grandi possedimenti da 50 a 150 ettari. Il loro possesso complessivo comprendeva circa 11.000 ettari coltivati e 12.000 ettari non coltivati. Coltivavano in propria regia circa 2000 ettari, mentre il resto era stato dato ai coloni che secondo il patto colonico davano ai proprietari parte delle entrate in natura».

Secondo il Rubic nei dintorni di Zara (dunque intorno a Bencovazzo, Obrovazzo e Nona) hanno venduto terreni ad jugoslavi i seguenti cittadini italiani:

Maria Bakmaz, maritata Foresi a Firenze, ha venduto fra il 1918 e il 1928 circa 160 ettari (1.600.000 m²) di terreno, e le restarono ancora 20 ettari di terreno. Essa ha dunque venduto 1'80% del suo possesso. Giovanni Barbalich ha venduto circa 10 ettari (100.000 m²) di terreno, e gli sono rimasti ancora 20 ettari (200.000 m²), dunque il 66%. Antonio Perlini ha venduto circa 20 ettari (200.000 m²) e gli restano ancora circa 15 ettari (150.000 m²), dunque il 60%. Il conte Begna in tutto circa 15 ettari (150.000 m²). Ha venduto in tutto il 2% della sua tenuta. Antonio Sala ha venduto circa 20 ettari di arativo (200.000 m³), ossia il 66% di tutta la sua tenuta. Bakmaz ha venduto 100 ettari (1.000.000 m²) di terreno, ossia il 10%. Il nobile Hoberth ha venduto circa 1 ettaro (10.000 m²). E' interessante il caso di Remigio cav. Trigari fu Nicolò, morto quest'anno a Zara. Con il suo testamento del 10-XII-1929, completato da 4 codicilli, egli lasciò in proprietà ai suoi contadini, sudditi jugoslavi, tutte le terre di sua proprietà. Questa tenuta ha la superficie di 120-150 ettari (1.200.000-1.500.000 m²), ossia il 96% dell'intero possedimento. Nel distretto di Oltre, gl'italiani hanno venduto questi terreni: De Vergada Giovanni-Damiani 8.35 ettari (83.500 m²), ossia il 60% dell'intera tenuta; Salghetti ved. Savina 27.35 ettari e 93 m² (273.593 m²), ossia il 50% dell'intera tenuta; De Ponte Carlo 95.99 m² (9599 m²), ossia il 15% dell'intera tenuta; Artale Giuseppe Spirin 13.99 m² (1399 m²) ossia il 2%; Dunatov Carlo 5.39.26 m² (53.926 m²), ossia il 35%; Nakich Giorgio 143 m²; Salghetti-Drioli Simeone 10.125 m², ossia il 50%; Filippi Alessandro 390.000 m², ossia l'intera tenuta; Bosich Giorgio fu Elia 94,436 m², ossia il 15%; Cattich Bianca ved. Sime 1016 m²; la fondazione Zmajevic 958.207 m²; Petricioli Augusto 28.356 m², ossia il 60% della tenuta. Inoltre gl'italiani hanno ven duto ad jugoslavi soltanto a Oltre 4 case con orti. Gl'italiani hanno venduto dunque a cittadini jugoslavi nei dintorni di Zara in tutto 7.214.298 m².

«La maggior parte di piccoli possedimenti continua testualmente il Rubic sono stati venduti dai cittadini italiani ai nostri cittadini nei dintorni di Sebenico. Ecco una tabella dei terreni venduti.



Gl'italiani dunque nei dintorni di Sebenico hanno venduto in tutto ai nostri cittadini 1.293.800 m² (ossia 1 chil., 29 ettari, 38 are). Inoltre sono emigrati dalla città molti esercenti italiani.

A Traù ha venduto più di tutti la famiglia de Fanfogna, e precisamente 5 ettari e 33 are (53.300 m²).

Nei dintorni di Spalato hanno venduto terreni le seguenti famiglie italiane: Tacconi 36 are 40 m² (364 m²); De Micheli-Vitturi 1 ettaro, 25 are 56 m² (12.556 m²); Jelicic-Martinis-Marchi 200 ettari (200.000 m²); Burich 30 ettari 65 are 3 m² (306.503 m²); Capogrosso- Cavagnin 1 ettaro 43 are 26 m² (14.326 m²); Pezzoli 2 ettari 43 are 41 m² (24.341 m²); Pezzi 5 are 62 m² (562 m²).

Nelle isole della Dalmazia centrale gl'italiani hanno venduto meno terreni. Nei dintorni di Spalato gl'italiani hanno venduto ai nostri cittadini in tutto 2.415.228 m² (ossia 2 chil., 41 ettari, 52 are, 28 m²).

A Curzola le famiglie Smerchinich hanno venduto circa 230 ettari di terreno (2.300.000 m², mentre i Benussi hanno venduto circa 20 ettari (200.000 m²).

Nei dintorni di Ragusa i cittadini italiani hanno pochi terreni. La famiglia Mayneri, la sola e la più ricca, ha venduto circa il 2% della tenuta di Zupa (circa 59 ettari ossia 590.000 m²). Nemmeno nelle Bocche di Cattaro i cittadini italiani posseggono vasti terreni. Nella Dalmazia meridionale hanno dunque venduto 3.090.000 m² (ossia 3 chil ., 9 ettari). Secondo i dati citati, i cittadini italiani hanno venduto sulla nostra sponda in questi dieci anni 14.013.326 m² (ossia 14 chil.", 1 ettaro, 33 are, 26 m²), ed è rimasto loro ancora circa il 2% dell'intero patrimonio terriero in Dalmazia».

Continua poi il Rubic:

«E mentre gli optanti vendono le loro tenute, i regnicoli dalla Italia ritirano i loro capitali dalle loro maggiori imprese sulla nostra sponda. Così nell'ultimo anno hanno venduto la «Sufid» ai Francesi, abbandonando le imprese che avevano a Gubaviza, a Dugi Rat e a Sebenico; in base a contratto dovranno cedere la centrale elettrica sulla cascata del Cherca ai fratelli Supuk di Sebenico e la miniera «Promina» non viene più sfruttata come prima. Invece del capitale italiano affluisce il capitale francese che viene investito nella «Dalmatienne» (impresa del cianocarbido) e nel bauxite. Così decresce il numero e il capitale degli italiani».

Il quadro è veramente triste. Tanto più triste perché in Dalmazia, sotto la patina demografica slava, ancora al finir della guerra v'erano latenti tutte le possibilità di un risveglio italiano. Perché la croatizzazione era solo alla superficie. Quanto possono essere croati i de Borelli, famiglia bolognese residente in Dalmazia dalla metà del '700, quanto i Tartaglia, d'origine toscana, quanto i Bian hini, marchigiani, quanto i Bressan, i Dominis, i Grisogono, i Tommaseo, i Mladineo, i Fabris, i Lupis? Quanto possono essere croati i nipoti, i figli, dei migliori patriotti italiani? Quanto, tutti gl'italiani che, attraverso il filtro delle scuole slavizzate, sotto la costante pressione di fattori economici e morali, prigionieri delle necessità della vita, sono stati, forzosamente o spontaneamente, snazionalizzati? Sarebbe bastato che un'occupazione italiana avesse dato l'ossigeno italiano necessario, perché in un decennio l'italianità costiera della Dalmazia fosse nuovamente rifulsa alla luce solare. L'attuale. situazione sarebbe capovolta. Ma sono inutili tutte queste considerazioni a quindici anni dal fallito Patto di Londra e a dieci dal Trattato di Rapallo. Meglio è vedere la situazione così com'è e lasciare all'avvenire la definitiva parola sul peso che ancora potrà avere la Dalmazia nel destino dei due popoli.

E diamo, per concludere nuovamente uno sguardo alle varie tappe della Dalmazia nell'ultimo secolo di sua storia.

1797. Dominio Veneto. Reggimento della cosa pubblica, istituti, scuola, economia, totalmente italiani. Popolazione, su circa 280.000 abitanti, italiani 60.000 circa, cioè oltre il 20%.

1806. Provincia del Regno d'Italia, con Napoleone Re d'Italia. Reggimento provinciale, Municipi, scuole, tutto italiano. 1815. Regno di Dalmazia, Provincia dell'Impero d'Austria. Amministrazioni provinciali e comunali, scuole, ordinamenti, tutto italiano.

1865. Idem. Dieta in maggioranza italiana. Italiani i dieci comuni principali: Zara, Spalato, Sebenico, Ragusa, Traù, Lissa, Curzola, Signa, Cittavecchia, Gelsa. Lingua d'uso degli uffici, ita liana. Scuole medie, tutte italiane. Scuole elementari, 9 italiane, 125 italiane-slave, 23 slave. Popolazione: slavi 384.180, italiani 55.020, cioè il 12.5%.

1866. Idem. Inizio dell'azione disitalianizzatrice. 1910. Idem. Undici deputati, tutti slavi. Dieta Provinciale, 39. slavi e 6 italiani. Tutti i Comuni agli slavi, eccetto Zara. Tutte le scuole della Provincia e dello Stato, slave. Lingua d'ufficio, slava. Popolazione 610.669 slavi, 18.028 italiani, cioè il 2.8%.

1929. Zara all'Italia. Il resto della Dalmazia alla Jugoslavia. Scomparsa ufficiale del nome di Dalmazia. Gl'italiani divenuti colonia straniera nel Regno jugoslavo e ridotti a 4900, cioè a 0.64% dell'intera popolazione. Progressiva espropriazione volontaria delle proprietà italiane a favore degli slavi, progressiva scomparsa dell'influenza economica e culturale italiana.

In 132 anni una regione che aveva volto e animo italiani, e caratteristiche sue proprie che da ogni altra regione la distinguevano, nazionalmente è pressochè livellata dal rullo balcanico. Sventola solo su Zara, la bella e indomita capitale della Dalmazia, il tricolore d'Italia, ma la luce di Venezia sale da tutte le città e da tutte le castella dalmate a rompere la nebbia grigia del numero che mai riuscirà a soffocare il lume della civiltà, perché ripetiamo con Niccolò Tommaseo  «la sola elencazione delle cifre non può creare il diritto».

Ma giacchè siamo indotti a scrivere queste note sulla pubblicazione del dott. Rubic che, osserviamo per incidenza, anche lui rifugge dall'usare il nome di Dalmazia sin nel titolo, perocchè chiama il suo libro «Gl'Italiani nel Litorale del Regno Jugoslavo» e giacchè l'Autore vuole imprigionare in una ridda di statistiche e in una selva di freddi numeri ogni possibile diritto italiano sulla Dalmazia, vogliamo aggiungere, anche noi, alla chiusura di queste note, qualche cifra.

Cifre che sanno di sangue e di sacrificio e che comprovano come, accanto agli incomparabili documenti dell'arte e della civiltà, allo scoppiar della guerra vi era ancora in Dalmazia una passione umana capace del massimo sacrificio, passione certo non morta nonostante il soverchiare delle maggioranze. Diamo qui appresso l'elenco dei volontari dalmati, divisi per località, accorsi nelle file dell'Esercito italiano durante l'ultima grande guerra. E' un plebiscito anche questo, e di altro valore che i plebisciti elettorali fatti all'ombra dei gendarmi austriaci o serbi:



Sono 219 giovani accorsi a dimostrare col sangue la fede italiana dei dalmati. Di essi, sono morti per l'Italia e la Dalmazia:

Benevenia Menotti, Codognato Francesco, Croce Egidio, Croce Renato, Fabbrovich Ferruccio, Fiorentino Beniamino, Kraglievich Mirando, Kraglievich Roberto, Lana Umberto, Linz Gregorio, Rismondo Francesco, Stefanini Pietro, Stojan Spiridione, Streinz-Sereni Giovanni, Tommaseo-Ponzetta Antonio, Vucassovich Riccardo, Zink Cornelio, Zink Ezio, Zongaro Giacomo, Zongaro Umberto. In fatto di statistiche, converrà il dott, Rubic che queste cifre e questi nomi hanno un valore documentario ben alto: assai più alto della fredda elencazione di numeri, sia pure assai cospicui, sulla lingua d'uso sulla nazionalità dichiarata. E' il suggello del sangue, questo, che gli italiani di Dalmazia vollero dare ad una lotta semisecolare, tutta soffusa di un'eroica bellezza e che non ha riscontro nelle lotte nazionali di nessun altro paese. Lotta nazionale che come lo attesta anche l'affanno dello scrittore jugoslavo la storia non ha ancora passato all'archivio.

Volontari giuliano-dalmati nella grande guerra pt.1

Cornelio Zink di Antonio, zaratino. Nacque il 20 Marzo 1894, a Mostar, in Erzegovina, dove suo padre, ingegnere edile, si trovava per ragioni professionali.

Visse tutta la sua giovinezza a Zara, dove il padre suo era stato eletto consigliere comunale, e poi — studente nautico — a Trieste, militando nei circoli mazziniani. Scoppiata la guerra europea, assieme al fratello Ezio, passò il confine, rifugiandosi a Mestre e iscrivendosi a quel Battaglione Volontari Irredenti.

Il 29 Maggio 1915 si arruolava volontario al 2° Reggimento Fanteria, passando subito alla fronte, trasferito al 38° Reggimento Fanteria col nome di guerra Cornelio Zini, e prendeva parte alle azioni del Sabotino. Colpito da colera, moriva il 30 Agosto 1915 nelle trincee del Sabotino. Croce al merito di guerra. 

Ezio Zink di Antonio. Come il fratello Cornelio, nacque a Mostar, il 3 Novembre 1895, e visse come lui a Zara e poi a Trieste, educato nel culto della Patria e nell'amore agli studi. Si arruolò volentario il 29 Maggio 1915 al 2º Fanteria, assieme al fratello ed ai molti irredenti che accorsero nelle file del glorioso Reggimento. Fu trasferito poi, col nome di Ezio Zini, al 131° Fanteria, prendendo parte a numerosi combattimenti. Cadde sul San Michele il 20 Novembre 1915. Croce al merito di guerra.

Francesco Rizzo di Francesco, di Pola, nato l’8 Gennaio 1893, impiegato. Arruolatosi volontario nel 63° Reggimento, raggiunse, appena scoppiata la guerra, la fronte e venne promosso sergente. Cadde a Polazzo, colpito da granata nemica, il 20 Luglio 1915. Croce al merito di guerra.

Eugenio Conte Rota fu Girolamo. Nato a Capodistria il 14 Settembre 1853, avvocato. Di famiglia nobile istriana, disertava dall’Austria nel 1879, all’epoca dell’occupazione della Bosnia, mantenendo da Venezia il contatto coi circoli irredentisti della sua Istria. Malgrado l’età matura e la cospicua posizione sociale, si arruolava volontariamente, semplice soldato, al 2° Reggimento Fanteria, il 24 Maggio 1915.

Moriva, in circostanze tragiche, sul Podgora il 21 Luglio 1915. Croce al merito di guerra.

Onorato Zustovich. Nato ad Albona d'Istria il 2 Febbraio 1897, studente al Ginnasio Liceo di Capodistria. Di eletti sentimenti patriottici, si arruolò volontario al 2° Reggimento Fanteria, il 24 Maggio 1915; ed in seguito fu nominato sottotenente. Dopo aver partecipato attivamente alla guerra, cadde a Costa d’Agra, nel Trentino, il 15 Maggio 1916, durante l’offensiva austriaca. Croce al merito di guerra.

Menotti Benvenia di Eugenio. Nato a Zara il 14 Gennaio 1894, falegname. Si arruolò volontario al 15° Reggimento Fanteria a Caserta, nel Maggio 1915; passando in zona di guerra fu trasferito al 111° Fanteria. Cadde il 22 Ottobre 1915 sul San Michele. Croce al merito di guerra.

Pio Riego Gambini di Pierantonio. Nato a Capodistria il 4 Settembre 1893, studente in giurisprudenza e giornalista. Arruolatosi volontario nel Maggio 1915 al 2º Reggimento Fanteria, a Udine, cadde sul Podgora il 19 Luglio 1915. Alla sua memoria venne assegnata la medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione:

Gambini Pio, da Capodistria, soldato nel 2° Reggimento Fanteria, N. 290 V. G. di matricola. «Nell'avanzata, incitava i compagni alla lotta e - entrato arditamente primo in una trincea nemica - in un corpo a corpo con alcuni avversari, rimaneva colpito a morte ». Podgora, 19 Luglio 1915.

La figura di Pio Riego Gambini spicca nitida e pura nella sua cristallina bellezza garibaldina sullo sfondo grigio della politica vissuta dall'Istria negli ultimissimi anni della dominazione austriaca. Difficile politica, che si doveva condurre su un binario tracciato nel terreno accidentato delle contingenze e degli adattamenti alle quotidiane necessità di vita della provincia. Difficile politica, che doveva badare all'incalzante marea slava e destreggiarsi col dominatore imperiale, che d'ogni sospetto traeva pretesto per colpire la nobilissima italianità istriana. In tali vicende, Gambini, con un pugno di giovani, fondava il Fascio Giovanile Istriano, chiamando a raccolta i giovani, per battersi in nome di un'italianità spoglia d'ogni velo. E sorgeva il Fascio Giovanile, severa scuola di educazione mazziniana. Gambini, con la parola fascinatrice, vi portava dentro l'onda travolgente del suo entusiasmo, l'alito possente della sua fede. Ma il destino batteva alle porte e i giovani istriani assai più presto di quanto avessero osato sperare - erano chiamati all'azione. Gambini, in testa, passava la frontiera il 4 Agosto 1914. Poi venivano gli altri, a frotte.

Temperamento politico di valore autentico, Gambini poneva a servizio della buona causa l'intelligenza fresca e la volontà ferrea, e alla lotta per l'intervento dell'Italia in guerra dava ogni energia. Finché venne la guerra che doveva liberare l'Istria sua, e lui cadde umile grande fante d'Italia coronando una vita brevemente ma stupendamente vissuta.

Prima di partir per la trincea, scriveva quel suo manifesto per la gioventù istriana ch'è il suo testamento e basta da solo a significare il suo animo e il suo valore:

«Giovani Istriani,

Quanti non siete immemori delle più pure glorie ed indegni dei più alti ideali di nostra gente, stringetevi intorno al tricolore della Patria, per la prima volta e per sempre libero al nostro vento.

E sia infamia eterna a chi non risponderà a questo nostro appello fraterno e gloria imperitura sia a chi cadrà, baciato in fronte dalla Vittoria, tra i canti della Patria liberatrice».

Questo proclama, che portava le figine di Pio Riego Gambini, Piero Almerigogna, Luigi Bilucaglia e Luigi Ruzzier, venne diffuso tra la gioventù istriana e fu lanciato su Capodistria e sull'Istria, durante la guerra, da Andrea de Bratti, aviatore, capodistriano lui pure, e caduto per la Patria.

Gino De Zotti di Pietro. Nato a Parenzo il 23 Agosto 1894, studentei n medicina. Figlio di nobile ed eletta famiglia istriana, si arruolò volontario il 24 Maggio 1915 a Bologna nel 350 Reggimento Fanteria, raggiungendo la fronte il 14 Giugno.

Cadde sul Podgora il 19 Luglio 1915. Gli venne assegnata la medaglia d'argento al valor militare.

MEDAGLIA D'ARGENTO D. L. No. 32303 dd. 25 Luglio 1918

de Zotti Gino, da Parenzo (Istria), soldato nel 35 Reggimento Fanteria. «Volontariamente fece parte di un drappello che operò, più volte, la distruzione dei reticolati nemici. Il giorno successivo fu tra i valorosi che ripetettero l'operazione, e, durante la avanzata che seguì, fu sempre in prima linea, comportandosi coraggiosamente fino al termine dell'azione. Morì in seguito alle ferite riportate nel combattimento». Podgora, 18-19 Luglio 1915.

Francesco Rismondo di Antonio. Nato a Spalato il 15 Aprile 1885, agente marittimo. Si arruolò volontario nell'8" Reggimento Bersaglieri il 16 Giugno 1915. II 20 Luglio 1915, durante un assalto, sul San Michele, Francesco Rismondo fu gravemente ferito e rimase entro le linee nemiche. Si diffuse tra i soldati la notizia che, riconosciuto dal nemico, fosse stato giustiziato sul posto. E tale notizia trovò un'eco nelle note di Battaglione. La verità vera sulla morte di Rismondo non è documentariamente conosciuta. Non per il solo motivo ch'essa sia sorta e si sia diffusa, ma anche per il fatto che a quell'epoca sulla fronte carsica v'erano molte truppe dalmate, e anche perché Rismondo teneva con sé una tabacchiera d'argento con dedica a suo nome degli sportivi spalatini, la notizia del suo riconoscimento è verosimile ed è verosimile quindi che, anche in tale occasione, la soldataglia austriaca catturandolo ferito abbia dimostrato la tradizionale ferocia.

Vera o non vera la notizia del supplizio, Francesco Rismondo è assurto a simbolo della passione e del martirio degli italiani di Dalmazia e mai vi fu simbolo più puro di questo spalatino dal viso nobilmente cristiano, del quale D'Annunzio scriveva: «Egli non ha volto per noi. Il suo volto non è che un luogo di luce. Egli è, nei secoli dei secoli, l'Assunto di Dalmazia».

Andrea Rismondo fu Pietro. Nato a Pola il 10 Giugno 1897, studente universitario. Si arruolò volontario al 7° Reggimento Alpini, nel Maggio 1915, passando tosto in zona di guerra e raggiungendo il grado di tenente. Prese parte a numerosi combattimenti, fu colpito da gasasfissianti e rimase ferito, il 14 Ottobre 1918, a Soisson, in Francia. Fu congedato. come grande invalido di guerra. Morì a Ovaro il 22 Marzo 1923. Croce al merito di guerra.

Giacomo Dean fu Giovanni. Nato a Pola il 15 Gennaio 1890, muratore. Arruolatosi volontario il 2 Giugno 1915 al 47° Reggimento Fanteria, raggiungeva immediatamente la fronte e cadeva sul S. Michele il 28 Larglio 1915. Croce al merito di guerra.

Ernesto Giovannini fu Alberto, di Capodistria, di fregata, nato il 2 Marzo 1873, capitano Di famiglia capodistriana, educato nel culto della Patria, assolti gli studi si arruolò nella R. Marina, nella quale si distinse per intelligenza e ardimento. Allo scoppiare della guerra italo-austriaca, gli venne affidato il comando della squadriglia sommergibili di Venezia. Dopo che aveva eseguite diverse crociere ed agguati, il 17 Agosto 1915, col sommergibile «Jalea» da lui comandato urtava in una mina tra Sdobba e Punta Grossa, e periva con la sua nave. Già insignito di una medaglia di bronzo per il contegno serbato durante un incidente occorso al sommergibile «Foca», gli veniva assegnata la medaglia d'argento al valor militare, alla memoria, «per aver sacrificato la vita nell'adempimento della missione di guerra affidatagli, mentre comandava il sommergibile «Jalea».

Francesco Dobrilla fu Giovanni. Nato a Pisino 17 Ottobre 1886, impiegato d'assicurazioni. Di ardente fede nazionale, prese parte sempre in prima fila alle agitazioni irredentistiche. Scoppiata la guerra europea, riparò a Milano dove partecipò animosamente all'azione per l'intervento, assieme a Vidali e Corridoni. Il 24 Maggio 1915 si arruolò volontario al 68° Fanteria; passato alla fronte, fu trasferito al 32 Reggimento Fanteria. Allievo ufficiale in questo reparto, cadde a San Martino del Carso il 23 Ottobre 1915. Croce al merito di guerra.

Luigi Potocco fu Nicolò. Nato a Pirano 1'8 Novembre 1888, impiegato. Di fede mazziniana, fece parte attiva del Fascio Giovanile Istriano. Nell'Agosto 1914 riparò in Italia, accorrendo poi nelle file dei garibaldini in Francia e partecipando all'azione delle Argonne. Ritornato in Italia, partecipò con entusiasmo alla propaganda interventista col Fascio milanese. Nel Maggio 1915, assieme agli altri interventisti di Milano, si arruolò volontario al 68° Reggimento Fanteria, passando poi al 32° Fanteria. Nell'attacco del 24 Ottobre 1915, alla Trincea delle Frasche, mentre suo fratello, anche lui volontario, restava ferito, cadeva colpito a morte accanto a Filippo Corridoni. Croce al merito di guerra.

Luigi Naccari di Felice. Nato a Muggia il 28 Agosto 1887, carpentiere. Si arruolò volontario nel Giugno 1915 al 25° Reggimento Fanteria, passando subito in zona di guerra. Cadde a Santa Lucia di Tolmino il 27 Ottobre 1915. Croce al merito di guerra.

Anteo Signorotti fu Augusto. Nato a Buie d'Istria il 20 Maggio 1892, negoziante in manifatture. Si arruolò volontario il 24 Maggio 1915, al 2 Reggimento Fanteria, passando poi al 131° Fanteria. Cadde sul S. Michele il 10 Novembre 1915. Croce al merito di guerra.

Renato Croce di Mauro. Nato a Zara il 27 Luglio 1894, operaio. Di eletti sentimenti patriottici, si arruolò volontario nel Maggio 1915. Soldato del 10° Reggimento Fanteria, cadde il 12 Novembre 1915 a Bosco Cappuccio. Croce al merito di guerra.

Egidio Croce di Mauro. Nato a Zara il 12 Giugno 1897, meccanico. Si arruolò volontario in Fanteria nel Luglio 1916. Passato in zona di guerra, fu assegnato al 223° Reggimento Fanteria, nel quale fu promosso paporale. Per grave malattia contratta in trincea, morì all'Ospedaletto da Campo 035 della C.R.I. il 20 Novembre 1917. Croce al merito di guerra.

Antonio Spangaro fu Nicolò. Nato a Pirano il 5 Febbraio 1895, impiegato. Fu uno dei più attivi ed entusiasti organizzatori della gioventù mazziniana a Trieste, segretario dell'Associazione Sportiva Edera e di altri circoli giovanili. Il 24 Maggio 1915 si arruolò volontario al 2ª Reggimento Bersaglieri. Col 2° Battaglione Bersaglieri Ciclisti passò subito in zona di guerra. Cadde a Oslavia il 26 Novembre 1915. Croce al merito di guerra.

Alfonso Pelizzon fu Antonio. Nato a Umago il 24 Novembre 1898, artiere. Figura magnifica di popolano, mazziniano, si arruolava volontario poco di più che sedicenne il 24 Maggio 1915 al 2º Reggimento Fanteria. Al 3 Luglio, sul Podgora, restava seriamente ferito. Inviato in convalescenza per due mesi ai primi di Novembre, ritornava spontaneamente al reparto e veniva inviato al 35° Fanteria. Sul Podgora, già bagnato del suo sangue, cadeva il 28 Novembre 1915. Croce al merito di guerra.

Mario Angheben di Albino. Nato a Fiume il 12 Marzo 1893, studente universitario. Mente eclettica di studioso, stava rivelandosi come una sicura promessa nel campo delle lettere. Malgrado fosse già stato irreggimentato nell'esercito austriaco, riusciva a disertare attraverso i monti del Trentino. Si arruolava volontario nel 6° Reggimento Alpini, e veniva assegnato al Battaglione Verona. Dopo aver date ripetute prove di valore, cadeva a Malga Zures il 30 Dicembre 1915. Alla sua memoria veniva assegnata la medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione:

«Angheben Mario, da Fiume, sottotenente nel 6° Reggimento Alpini. Diede prove di esemplare coraggio durante otto ore di combattimento, trascorse le quali cadde colpito a morte». Malga Zures, 30 Dicembre 1915.

Gregorio Linz fu Luigi. Nato a Zara l'8 Ottobre 1890, impiegato postale. Di patriottica famiglia, studiò a Pisino e visse poi a Parenzo e Trieste. Si arruolò volontario al 2ª Reggimento Fanteria, a Udine, il 31 Maggio 1915 e fu trasferito poi al 153° Reggimento Fanteria. Cadde a quota 188 di Oslavia il 14 Gennaio 1916. Croce al merito di guerra.

Guido Boninsegna fu Angelo. Nato a Gallesano d'Istria il 18 Settembre 1897, operaio. Si arruolò volontario il 29 Maggio 1915 al 7º Reggimento Alpini, e fu assegnato al Battaglione « Vestone ». Fu nominato caporalmaggiore per merito di guerra. Cadde alle falde del Monte Sperone il 10 Aprile 1916. Proposto per una medaglia al valore con la seguente motivazione: 

«Prendeva il posto del suo comandante caduto e si slanciava all'assalto della prima galleria verso Riva», gli veniva assegnata la croce al merito di guerra.

Vico Predonzani fu Alessandro. Di famiglia capodistriana, nacque a Pirano il 6 Settembre 1890, impiegato. Militò attivamente nei circoli mazziniani dell'Istria e di Trieste. Disertando l'esercito austriaco, nell'autunno 1914 riparò in Italia. Si arruolò volontario, nel Maggio 1915, al 2º Reggimento Fanteria. Passato in zona di guerra, si distinse in numerose azioni. Per il suo contegno, nell'Ottobre 1915, gli venne assegnata, con decreto dd. 13 Settembre 1916, una medaglia d'argento al valore militare con la seguente motivazione:

«Predonzani Vico, da Capodistria, aspirante ufficiale 33° Reggimento Fanteria. Condusse, con bello slancio, il suo plotone all'assalto, e, sebbene ferito, raggiunse fra i primi la trincea nemica. Colpito una seconda volta, fu obbligato a ritirarsi. Monte Sabotino, 23 Ottobre 1915».

Sebbene mai guarito dalle gravi ferite, una pallottola di fucile gli era rimasta nel cuore, chiese di tornare alla fronte. Sottotenente nel 33" Fanteria, cadde, colpito a morte, sull'Adamello il 24 Aprile 1916.

Giorgio Predonzani di Giovanni. Nato a Pirano il 23 Gennaio 1895, marinaio. Si arruolò volontario il 29 Maggio 1915 all'8° Reggimento Alpini, nel quale venne propiosso, per merito, caporal maggiore. Partecipò attivamente alla guerra, rimanendo varie volte ferito. In seguito alle ferite riportate, mori il 18 Novembre 1918 a Fiorenzuola d'Arda senza poter rivedere la sua Istria redenta. Croce al merito di guerra.

Edoardo Tiengo di Ermenegildo. Nato a Pola il 12 Ottobre 1893, di professione tappezziere. Si arruolò volontario il 24 Maggio 1915 al 27° Reggimento Fanteria, passando poi al 44° Fanteria. Cadde a Plava il 2 Giugno 1916. Croce al merito di guerra.

Marco Carvin fu Giuseppe. Nato a Cherso il 25 Aprile 1894, studente. Arruolatosi volontario il 29 Maggio 1915 al 47 Reggimento Fanteria. Passato poi in artiglieria e nominato sottotenente, fu trasferito al 21° Reggimento Artiglieria da campagna. Cadde sul S. Michele il 6 Giugno 1916. Croce al merito di guerra.

Francesco Codognato figlio di Giusto. Nato a Zara il 10 Giugno 1894, tipografo. Vissuto in quell'ardent fucina d'italianità ch'è Zara, si arruolò volontario per la guerra nell'arma di Fanteria. Passato in zona di guerra e promosso caporale, partecipò a numerose azioni di guerra meritandosi una medaglia di bronzo al valore militare. Cadde sul Monte San Michele il giorno 11 Giugno 1916.

Giovanni Grion fu Biagio. Nato a Pola il 20 Agosto 189 1890, impiegato. Fu uno dei condottieri della gioventù mazziniana dell' Istria, e che a Pola roccaforte della marina imperiale agitò sempre e fieramente la bandiera dell'irredentismo. Perseguitato dalla polizia austriaca, nel Giugno 1909 con Giuseppe Vidali subi un processo per alto tradimento dinanzi alla Corte d'assise di Klagenfurt, uscendone con una condanna ad otto mesi di carcere scontata in un penitenziario austriaco.

Scoppiata la guerra, riparò in Italia e si arruolò volontario, nel Maggio 1915, al 5° Reggimento Bersaglieri, raggiungendo il grado di sottotenente. Cadde il 16 Giugno 1916 sull'Altipiano di Asiago. Croce al merito di guerra.

Ernesto Gramaticopulo figlio di Vittorio. Di famiglia capodistriana, nasceva a Pola il 12 Gennaio 1894; studente. Splendida figura di patriotta, entusiasta e audace, si arruolava nel Maggio 1915 quale motonauta volontario nella R. Marina, e si faceva distinguere in numerose azioni rischiose. Passava poi in aviazione. Durante un'incursione sopra Trieste e l'Istria, colpito a morte da mitragliatrice nemica, cadeva il 23 Giugno 1916.

Alla sua memoria, veniva assegnata la medaglia d'argento al valore militare con la seguente motivazione:

«Volontario motonauta di II Classe Gramaticopulo Ernesto. Per aver preso parte, sempre volontariamente, ad ardite scorrerie in mare sulla costa nemica, esponendosi costantemente in modo esemplare ed inspirando nei suoi compagni la fiducia ed il coraggio che eran doti precipue del suo bel temperamento. In un combattimento aereo, colpito dalla mitragliatrice nemica, lasciava la vita, venendosi così a troncare immaturamente la sua preziosa attività bellica». Golfo di Trieste 23 Giugno 1916.

Antonio Parovel di Antonio. Nato a Capodistria il 27 Luglio 1895, studente. Si arruolava volontario il 28 Maggio 1915 al 2ª Reggimento Fanteria, passando tosto in zona di guerra, dove si distingueva in numerose azioni. Nominato sottotenente, passava al 70° Fanteria. Cadeva a Monte Corno (Vallarsa) il 4 Luglio 1916. Per il contegno tenuto a Monte Giove, nel Giugno 1916, gli veniva assegnata la medaglia d'argento al valore militare con la seguente motivazione:

«Coadiuvò energicamente e con fermezza il proprio Comandante di Compagnia nel tenere salde le truppe sotto violento bombardamento nemico, rimanendo sempre in piedi vicino allo stesso comandante e dando, noncurante di sé stesso, mirabile esempio di sereno coraggio. Benché ferito alla testa, assunse poi il comando della Compagnia che già aveva perduti 4 ufficiali, rifiutando il consiglio datogli di ritirarsi per farsi medicare». Monte Giove 9-10 Giugno 1916.

Fabio Filzi di Giovanni Battista; nato a Pisino il 20 Novembre 1884, impiegato.

Il martirio di Fabio Filzi, giustiziato assieme a Cesare Battisti, nel Castello del Buon Consiglio a Trento, il 12 Luglio 1916, è narrato in «Martiri ed eroi trentini» edito dalla Legione Trentina e compilato a cura di Oreste Ferrari. Fabio Filzi è trentino perché figlio di padre trentino e nel Trentino vissuto, ma poiché è nato in terra istriana, da madre istriana, e visse pure a lungo a Trieste e nell'Istria, egli non può essere assente da quest'Albo e noi lo portiamo sopratutto quale simbolo di quella fraternità di passione e di speranze che uni trentini, giuliani e dalmati nei cinquant'anni dell'attesa, di quella fraternità che fu suggellata col sangue dai volontari trentini e giuliani su tutti i campi di battaglia e fu santificata sulla forca da Battisti e da Sauro.

Fabio Filzi, dopo aver disertato l'esercito austriaco nel Novembre 1914, s'era arruolato volontario al 6º Alpini a Verona, nel Maggio 1915. Sottotenente nel Battaglione Vicenza, egli fu fatto prigioniero, assieme a Cesare Battisti, a Monte Corno il 10 Luglio 1916. Riconosciuto e condannato a morte, fu giustiziato con Cesare Battisti nella fossa del Castello del Buon Consiglio, a Trento, il 12 Luglio 1916. Alla sua memoria gli venne assegnata la medaglia d'oro al valor militare.

Fausto Filzi di Giovanni Battista e di Amelia Ivancich, nato a Capodistria il 26 Luglio 1891, impiegato.

Allo scoppiare della guerra, si trovava in America. Conosciuto il martirio del fratello Fabio, rimpatriava per arruolarsi volontario e il 21 Ottobre 1916 entrava al 9° Reggimento Artiglieria, a Verona. Promosso sottotenente, passava nel corpo dei Bombardieri in zona di guerra. Cadeva a Monte Zebio l'8 Giugno 1917. Alla sua memoria veniva assegnata la medaglia d'argento al valor militare, con la seguente motivazione:

«Primo sempre fra tutti ad offrirsi per eseguire pericolose ricognizioni, mentre volontariamente accingeva a spingersi verso i reticolati nemici per verificare l'apertura dei varchi, cadeva colpito a morte; costante e luminoso esempio di ardente patriottismo e di elevato spirito di sacrificio» Monte Zebio, 8 Giugno 1917.

Nazario Sauro nato a Capodistria il 20 Settembre 1880, morto su pati- bolo austriaco, a Pola, il 10 Agosto 1916. 

Anima garibaldina, cuore generosissimo, Nazario Sauro salì nei cieli del martirio sorgendo direttamente dalla schietta purità del popolo. Non conobbe che un solo grande amore: l'Italia. Ebbe un solo odio: l'Austria.

Abbandonata la sua bella Capodistria, quando la guerra mondiale cominciava a scatenare bufere di ferro e di fuoco, Sauro riparava a Venezia; e poi viveva gli eterni mesi dell'attesa coi profughi di Trieste e dell'Istria, infondendo ad essi la serena certezza nella redenzione.

Nel Maggio 1915 si arruolava volontario nella Regia Marina e vi portava patrimonio morale e tecnico di primissimo ordine il suo ardente entusiasmo e la minuziosa conoscenza delle coste nemiche. Il suo stato di servizio in guerra è un rosario d'audacie. Compì, in circa 16 mesi di servizio, oltre sessanta imprese rischiose in acque e su coste nemiche. Un primo riconoscimento ufficiale gli veniva dato, per tale sua azione, nel Giugno 1916 con l'assegnazione di una medaglia d'argento, che porta la seguente motivazione:

«Prese parte a numerose ardite difficili missioni navali di guerra, alla cui riuscita contribui efficacemente, dimostrando sempre coraggio, animo intrepido e disprezzo dei pericoli e rendendo in tal modo preziosi servizi alla condotta delle operazioni navali». 23 Maggio 1915-23 Maggio 1916.

Successivamente, veniva promosso di grado e nominato cavaliere della Corona d'Italia per i suoi meriti di guerra.

L'ultima uscita in mare di Nazario Sauro fu compiuta la notte del 30 Luglio 1916. Era a bordo del sommergibile «Pullino», che aveva per obiettivo Fiume, dove si dovevano silurare dei trasporti. Nelle primissime ore del 31 Luglio, il «Pullino» s'incagliava nei pressi della Galiola, e non riusciva a liberarsi. Al mattino, tutto l'equipaggio era fatto prigioniero.

Riconosciuto, Nazario Sauro fu deferito al Tribunale militare di Pola. Nei dieci giorni che vanno dal 31 Luglio al 10 Agosto, Sauro visse una tragedia che supera ogni potere di resistenza umana. I giudici austriaci, per sanzionare il riconoscimento, avevano fatto venire a Pola dai campi di deportazione dell'interna Austria la madre e la sorella di Nazario Sauro, per schiacciarlo sotto l'emozione degli affetti. Ma il figlio da una parte e, la madre e la sorella dall'altra, non ignorando che il riconoscimento era la morte di Sauro, placarono nella rigidità della maschera facciale gl'irrompenti affetti, soffocarono nel petto l'emozione, e negarono. A nulla valse tanto inutile sacrificio, chè l'Austria aveva già giudicato deciso.

II 10 Agosto 1916 Nazario Sauro sali sulla forca.

II Ministero della Marina, per onorare la memoria di Sauro, gli assegnava la più alta onorificenza: la medaglia d'oro al valore militare. Questa è la motivazione che accompagna l'altissima distinzione:

«Dichiarata la guerra all'Austria venne subito ad arruolarsi sotto la nostra Bandiera per dare il contributo del suo entusiasmo, della sua audacia ed abilità alla conquista della terra sulla quale era nato e che anelava congiungersi all'Italia.

«Incurante del rischio al quale si esponeva, prese parte a numerose, ardite e difficili missioni navali di guerra, alla cui riuscita contribui sempre efficacemente con la conoscenza pratica dei luoghi e dimostrando sempre coraggio, animo intrepido e disprezzo dei pericoli.

«Fatto prigioniero, conscio della sorte che ormai l'attendeva, serbò fino all'ultimo contegno meravigliosamente sereno, e col grido forte e ripetuto più volte dinanzi al carnefice di Viva l'Italia, esalò l'anima nobilissima, dando impareggiabile esempio del più puro amore di Patria». Alto Adriatico, 24 Maggio 1915-10 Agosto 1916.

Nicolò Ferro fu Antonio. Nato a Dignano d'Istria il giorno 8 Marzo 1883, negoziante. Irredentista e patriotta, abbandona la sua Dignano nell'autunno 1914. Il 5 Giugno 1915 si arruola volontario nella 6ª Compagnia Automobilistica. Chiede poi il passaggio in Fanteria e l'ottiene. Nominato sottotenente, viene assegnato al 95° Reggimento Fanteria. Cade sulla Vertoiba il 15 Agosto 1916. Croce al merito di guerra.

Andrea De Bratti figlio del barone Alessandro de Bratti. Nato a Capodistria nell'Aprile 1888. Di eletti sentimenti nazionali, si arruolava nei Lancieri Mantova, prendendo parte attiva alla guerra e raggiungendo il grado di capitano. Passato in aviazione, compiva numerosi voli sull'Istria e, nel Gennaio 1916, gli veniva assegnata la medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione:

«De Bratti Andrea, da Capodistria, tenente Cavalleria Battaglione Squadriglie Aviatori. Osservatore d'aereoplani, in una ricognizione aerea, accortosi che il pilota era stato colpito alla testa da pallottola di shrapnel, confortava il collega, e, nonostante la insistenza del fuoco avversario, acconsentiva a proseguire il volo sino a compiere l'incarico avuto». Regione Carsica 31 Gennaio 1916.

Moriva, in una caduta dell'aereoplano, al Campo di Mirafiori, il 28 Agosto 1916.

Silvio Bartole di Domenico. Da Pirano, nato il 5 Febbraio 1892, marinaio. Rimpatriò dal Brasile, ove si trovava, per arruolarsi volontario nel Maggio 1915. Soldato nel 73° Reggimento Fanteria, cadde a Luego il 12 Settembre 1916. Croce al merito di guerra.

Federico Valerio di Alfonso. Nato a Pinguente il 17 Marzo 1896, impiegato. Si arruolava volontario, nel Maggio 1915, al 23º Reggimento Artiglieria. Nominato poi ufficiale, passava al 159° Reggimento Fanteria, partecipando a varie azioni di guerra e ottenendo la promozione a tenente. Il 17 Settembre 1916 restava gravemente ferito, sul San Marco, e moriva lo stesso giorno all'Ospedale di Gorizia. Croce al merito di guerra.

Ipparco Baccich fu Eugenio. Nato a Fiume il Agosto 1890, studente. Il nome di Baccich per Fiume è stato un programma d'irredentismo. Fondatore della «Giovine Fiume », agitatore d'italianità, disertò da Fiume nel 1912. Si arruolò volontario nei Bersaglieri, raggiungendo il grado di tenente. Ferito in Albania nel Dicembre 1915, cadde sul Veliki Hribak il 12 Ottobre 1916 alla testa di una Compagnia del 77° Reggimento Fanteria. Venne proposto alla medaglia d'oro; gli fu assegnata la medaglia d'argento al valor militare, con la seguente motivazione:

«Baccich Ipparco, da Fiume, tenente in S. A. P. del 77° Reggimento Fanteria. In testa al proprio reparto, incitando i dipendenti con la parola e con L'esempio, muoveva arditamente all'assalto di una ben munita posizione avversaria e, dopo aver conquistato una prima linea di difesa, nell'eseguire un nuovo sbalzo in avanti, cadeva colpito a morte». Veliki Hribak 11-12 Ottobre 1916.

Annibale Noferi nato a Fiume nel 1896. Di ardente fede nazionale, si era segnalato nelle lotte per l'italianità di Fiume. Nel 1915 trovavasi in America; venne in Italia per prendere, volontario, le armi contro gli oppressori della sua terra. Arruolatosi nel 123° Reggimento Fanteria, cadde sul Carso l'11 Novembre 1916 e alla sua memoria venne assegnata la medaglia d'argento al valore militare, con la seguente motivazione:

«Volontario irredento, tentava più volte di avvi- cinarsi alle trincee nemiche per lanciarvi bombe; ferito, ripeteva il tentativo, finché colpito da quattro proiettili cadeva inneggiando all'Italia. Si era segnalato antecedentemente in vari tentativi per il taglio dei reticolati».

Giuseppe Vidali di Giuseppe. Nato a Pola il 19 Novembre 1890, impiegato e pubblicista. Irredentista di provata fede, fu uno dei grandi animatori del movimento giovanile mazziniano dell'Istria e di Trieste. Fondatore del Fascio Giovanile Istriano e del Fascio Giovanni Bovio di Trieste, mai si concesse riposo nella vasta e ardente opera di organizzatore. Conobbe assai di frequente le carceri austriache, subì molti processi e scontò parecchie condanne. Fu il protagonista del processo di Klagenfurt nel Giugno 1909 accusato di alto tradimento e di offese all'imperatore d'Austria e ne uscì con una condanna ad otto mesi, che scontò in un penitenziario. Perseguitato continuamente dalla polizia austriaca, abbandonò Trieste nel 1913 rifugiandosi a Milano. Scoppiata la guerra europea, dedicò ogni energia all'azione per l'intervento in guerra dell'Italia. Fu tra i primissimi aderenti dei Fasci interventisti d'azione rivoluzionaria, fondati da Benito Mussolini, dai quali fu eletto segretario generale. Collaborò al « Popolo d' Italia ». Il 24 Maggio 1915 si arruolò volontario al 68° Reggimento Fanteria, con Filippo Corridoni e molti interventisti milanesi e triestini, partecipando come soldato a molte azioni sul Carso. Nominato sottotenente nel 31° Reggimento Fanteria, il 16 Aprile 1916 fu ferito, in Valsugana. Tornato alla fronte con la 287° Compagnia Mitraglieri, alla Vertoibizza ammalò di tifo e polmonite. Trasportato all'Ospedale di Udine, morì il 16 Dicembre 1916. Fu proposto alla medaglia d'argento al valor militare. Ebbe la croce al merito di guerra.

Una delle più fulgide figure del volontarismo giuliano, i suoi scritti furono amorosamente raccolti da Innocenzo Cappa e pubblicati nel 1919 sotto il titolo «Col cuore della Giovine Italia».

Italo Valerio di Alfonso. Nato a Pola il 23 Febbraio 1895, impiegato. Si arruolò, nel Maggio 1915, al 5° Reggimento Bersaglieri, passando in zona di guerra al 112" Fanteria, nel quale venne promosso tenente. Durante un'istruzione di lancio di bombe a mano, rimase gravemente ferito e morì, in seguito alle lesioni, il 22 Dicembre 1916 all'Ospedale di Noceto di Parma. Croce al merito di guerra.

Antonio Tommaseo Ponzetta fu Giampietro. Nato a Postire sull'isola di Brazza, in Dalmazia, nel 1896, studente. Di famiglia nobilissima, ereditò nel sangue la fierezza di Niccolò Tommaseo e seguì il suo esempio d'amore all'Italia.

Abbandonata la Dalmazia amata, si arruolò volontario al 28° Reggimento Cavalleggeri, il 24 Maggio 1915, quando la guerra riaccese la grande speranza di redenzione adriatica. Nominato ufficiale, e promosso tenente, passò poi alla 104° Batteria Bombardieri, sempre distinguendosi per il fiero contegno e l'alto senso del dovere. Al comando della propria batteria, cadde a Gorizia il 22 Gennaio 1917. Croce al merito di guerra.

Elio Merluzzi di Gioachino. Nato ad Aurisina il 4 Maggio 1894, agente di negozio.

Educato a sentimenti d'italianità, si arruolava nel Maggio 1915 al 73° Reggimento Fanteria. Il 13 Giugno 1916, sul Col di Lana, restava ferito e veniva proposto per una medaglia di bronzo al valor militare. Ritornato al Reggimento, col grado di caporalmaggiore, passava in Macedonia, dove cadeva, a quota 1050 di Monastir, il 13 Marzo 1917. Croce al merito di guerra.

Neri Frediani figlio di Guglielmo. Nato a Portorose (Pirano) il 9 Giugno 1893, studente. Arruolatosi volontario, assolse la Scuola Allievi Ufficiali di Napoli, uscendone sottotenente di complemento nell'Arma di Artiglieria. Dopo aver preso parte alla guerra, mori il 17 Marzo 1917 all'Ospedale di Rimini per grave malattia contratta in servizio. Croce al merito di guerra.

Ferruccio Fabbrovich di Giuseppe. Di padre zaratino e di madre ragusea, nacque a Cormòns il 2 Settembre 1897. Studente universitario, fu sempre fra i più animosi nelle lotte studentesche e in tutte le manifestazioni d'italianità. Si arruolò volontario al 35° Reggimento Fanteria il 10 Giugno 1915. Nominato sottotenente, veniva assegnato alla Brigata dei Lupi, al 78° Reggimento Fanteria. Dopo essersi conquistata una medaglia di bronzo, cadeva a Flondar il 24 Maggio 1917, ed alla sua memoria veniva decretata la medaglia d'argento al valor militare:

MEDAGLIA DI BRONZO R. D. No. 27860 dd. 1 Giugno 1918

«Fabbrovich Ferruccio, da Cormons, sottotenente nel 78 Reggimento Fanteria. Ufficiale addetto al comando di un reggimento, dava costante esempio di coraggio. Sprezzante del pericolo, accompagnava il comandante della brigata sul punto dove più ferveva la mischia e, sotto violento bombardamento nemico, attraversava zone fortemente battute per trasmettere ordini ed avvisi ». 1-3 Novembre 1916. Veliki Kribach-Faiti Kribach,

MEDAGLIA D'ARGENTO D. L. No. 31455 dd. 20 Maggio 1918

«Fabbrovich Ferruccio, da Cormòns, sottotenente 78° Reggimento Fanteria. Cittadino irredento, volontario di guerra fin dallo scoppio dell'ostilità, alla testa di un'ondata di assalto, entrava per primo colla rivoltella in pugno e al grido di « Savoia » nei reticolati nemici. Cadeva oltre le linee avversarie, esempio di fulgido ed indomito valore e di vero amore per la sua Patria ». Flondar, 24 Maggio 1917.

Umberto Bullo figlio di Michelangelo, capodistriano. Nato a Cormons il 16 Novembre 1893, studente. Di ardenti sentimenti patriottici, si arruolava volontario al 2° Reggimento Fanteria, il 26 Maggio 1915. Passava al 73° Fanteria, restando ferito, nel Maggio 1916, sul Monte Merzli. Nominato sottotenente, veniva trasferito prima al 4° Reggimento e poi al 247° Fanteria. Si distingueva in varie azioni di guerra e veniva proposto per una medaglia al valore. Cadeva il 25 Maggio 1917 sul Monte Vodice. Croce al merito di guerra.

Con decreto pubblicato sul B. U. del 1918, disp. 2, pag 116, gli veniva assegnata la medaglia di bronzo al valor militare con questa motivazione:

«Nell'attacco di posizioni fortemente difese dal nemico, coadiuvando efficacemente il suo Comandante di Compagnia, concorreva alla buona riuscita della azione, durante la quale venne colpito a morte ». Monte Vodice, 26 Maggio 1917.

Federico Riosa fu Antonio. Nato a Rovigno d'Istria il 13 Dicembre 1892, compì gli studi medi e fu marinaio. Bella figura di patriotta popolano, disertò l'esercito austriaco e nel Maggio 1915 si arruolò volontario al 68° Reggimento Fanteria. Nominato sottotenente e trasferito al 71° Fanteria, cadde sull'Hermada, a Quota 144, il 4 Giugno 1917. Croce al merito di guerra.

Giovanni Liani fu Italico. Nato a Pola il 5 Settembre 1896, studente. Arruolatosi volontario il 24 Maggio 1915 all'11° Reggimento Artiglieria da Campagna. Tenente della 101° Batteria Bombarde, cadde sull'Ortigara il giorno 11 Giugno 1917. Croce al merito di guerra.

Pietro Mario Liani fu Italico. Nato a Pola il 9 Agosto 1894, studente in medicina. Si arruolò volontario il 24 Maggio 1915 nel Corpo di Sanità, ottenendo poi la nomina ad aspirante medico. Prestò servizio in zona d'operazioni e morì a Roma, il 30 Giugno 1917, per malattia contratta alla fronte. Croce al merito di guerra.

Millo Cerlenizza di Adalgisa, nato a Pola il 31 Gennaio 1899, studente. Si arruolò volontario nel 6 Reggimento Bersaglieri il 24 Maggio 1915. Nominato Sottotenente e assegnato al 9° Reggimento Bersaglieri, fu ferito mortalmente sull'Ortigara ai primi di Giugno 1917 e mori all'Ospedale di Reggio Emilia, in seguito alle ferite, il 16 Giugno 1917. Croce al merito di guerra.

Giorgio De Baseggio figlio di Nicolò, da Capodistria, nato il 18 Agosto 1896, studente. Di nobili e delicati sentimenti, appassionato della sua Istria, allo scoppiare della guerra s'era arruolato volontario in Artiglieria. Dopo aver combattuto, nell'autunno 1916, sul Pasubio, passava nella 184ª Batteria Bonmbardieri, sempre distinguendosi per coraggio e nobiltà d'animo. Gravemente ferito sull'Ortigara il 10 Giugno 1917, moriva all'Ospedaletto da Campo il 18 Giugno 1917. Croce al merito di guerra.

Pietro Fanio fu Enrico. Nato a Pola il 20 Novembre 1896, negoziante. Si arruolò volontario in Banteria nel Settembre 1915, assegnato prima al 207° Reggimento Fanteria e poi al 208° R. F. Cadde sulla Bainsizza il 27 Agosto 1917. Croce al merito di guerra.

Carlo Gottardis fu Gioachino. Nato a Tribano di Buie il 17 Marzo 1888, possidente. Di eletti sentimenti patriottici, si arruolò volontario al 72° Reggimento Fanteria, nel Maggio 1915. Cadde sul Carso l'11 Settembre 1917. Croce al merito di guerra.

Antonio Borruso di Vito. Nato a Fiume il 29 Agosto 1898, studente. Si arruolò il 20 Dicembre 1916 nel 20° ° Reggimento Artiglieria da Campagna, dove raggiunse il grado di sottotenente. Cadde sul Col della Berretta il 17 Novembre 1917 ed alla sua memoria venne assegnata la medaglia di bronzo al valor militare.

MEDAGLIA DI BRONZO R. D. No. 70755 dd. 31 Marzo 1925

«Borruso Antonio, sottotenente del 20° Reggimento Artiglieria Campagna 4º batteria. Durante aspro combattimento, sotto intenso e preciso tiro di controbatteria che produceva gravi perdite, ferito il comandante della batteria, lo sostituiva nel comando con ammirevole fermezza e încuranza del pericolo continuava a dirigere il fuoco concorrendo validamente a respingere reiterati attacchi nemici, finché cadeva colpito a morte da scheggia di granata». Col della Berretta 17 Novembre 1917.

Ermanno Birri figlio di Beniamino. Nato ad Aurisina il 28 Febbraio 1895. di professione scalpellino. Bella figura di popolano, aveva sempre manifestato fervidi sentimenti d'italianità. Arruolatosi volontario negli Alpini nel Maggio 1915, passava in zona di guerra partecipando a numerosi combattimenti. Nel Giugno 1916, per il suo contegno si meritava una medaglia d'argento al valor militare, con la seguente motivazione:

«Offertosi volontario per formare la pattuglia di punta, con audacia e noncuranza del pericolo, assali fulmineamente la posizione nemica, incoraggiando con l'esempio i compagni. Benchè ferito, rimase sulla posizione finchè sopraggiunse la compagnia, dando esempio ai compagni di valore e di tenacia». Punta Zellenkofel 29 Giugno 1916.

Per l'esemplare condotta veniva poi promosso sergente maggiore per merito di guerra. Alla testa di un reparto del 3° Reggimento Alpini, cadeva il 22 Novembre 1917 sul Monte Tomba.

Egidio Grego di Giacomo. Nato ad Orsera d'Istria il 24 Dicembre 1894, impiegato. Patriotta e soldato intrepido, si arruolò volontario a Bologna il 6 Giugno 1915 nel 35° Reggimento Fanteria, col quale combatte sul Podgora. Nominato ufficiale, passò in aviazione raggiungendo il grado di tenente e guadagnandosi, per l'eroico contegno, quattro medaglie al valor militare. Cadde nel cielo del Piave il 28 Novembre 1917.

MEDAGLIA DI BRONZO D. L. dd. 25 Giugno 1916

Grego Egidio, da Orsera, soldato 35 Reggimento Fanteria, n. 157 A.G. matricola. «Volontariamente fece parte di un drappello che operò, più volte, la distruzione dei reticolati nemici. Il giorno successivo fu tra i valorosi che ripetettero l'operazione, e, durante l'avanzata che seguì, fu sempre in prima linea, comportandosi coraggiosamente fino al termine dell'azione n. Podgora, 18-19 Luglio 1915.

MEDAGLIA DI BRONZO dd. 15 Agosto 1916

Egidio Grego, sottotenente di Fanteria. «Quale osservatore di idrovolante durante un'azione di bombardamento acreo, eseguita in pieno giorno in mezzo al fuoco di numerose artiglierie antiaeree, dette prova di calma e di ardimento». Trieste, 15 Agosto 1916.

MEDAGLIA D'ARGENTO D. L. dd. 5 Maggio 1918 (Bollettino 10 Gennaio 1922)

Grego Egidio da Orsera, tenente milizia territoriale stazione idrovolanti Grado. «Osservatore di idrocolante, compica numerose missioni in paraggi pericolosissimi, stante l'efficace difesa nemica. Partito per bombardare navi a Trieste sapendo giù che si trovavano in quota, all'agguato, apparecchi da caccia austriaci noncurante del pericolo assolveva il suo compito e inseguiva un apparecchio avversario fino su territorio nemico, danneggiandolo e abbandonandolo solamente quando, per il sopraggiungere di altri due apparecchi, dovette combatterli, riuscendo a difendersi mirabilmente. In una ricognizione, mitraglio presso Trieste, a 500 metri di quota, una torpediniera nemica, facendola fuggire e abbandonandola al giungere di due apparecchi da caccia, coi quali impegnava combattimento rimanendo colpito nell'apparecchio e nel motore». Trieste, Agosto-Settembre Golfo d Trieste, 1 Settembre: Costa Istriana 23 Settembre 1917.

MEDAGLIA D'ARGENTO R. D. dd. 5 Maggio 1918 (Bollettino 10 Gennaio 1922)

Grego Egidio, da Orsera, tenente milizia territoriale, stazione idrovolanti S. Andrea. «Non ancora pilota, in una grave contingenza pilotava un idrovolante, portandolo in salvo; preso il brevetto, iniziava con entusiasmo il suo nuovo servizio. Nel compimento di una missione, attaccato da un velivolo da caccia nemico, precipitava coll'apparecchio in fiamme, chiudendo così una vita di valore, dedicata alle sue aspirazioni di italiano irredento». Fra Piave e Sile 23 Novembre 1917.

Giovanni Fornasar fu Antonio, nato a Pola il 25 Giugno 1878, di professione cocchiere. Soldato di fanteria, mori il 24 Novembre 1917. Era decorato con croce al merito di guerra.

Adriano Pozzatti fu Alfonso. Nato a Pola il 20 Ottobre 1877, pittore. Si arruolò volontario nel Maggio 1915 e venne incorporato al 198° Reggimento Fanteria promosso caporale. Mori all'Ospedale di Bologna il 29 Gennaio 1918 per malattia contratta in servizio. Croce al merito di guerra.

Roberto Kraglievich fu Nicolò. Nato a Zara il 30 Agosto 1895, studente. Si arruolò volontario il 28 Ottobre 1915 al 49° Reggimento Fanteria, passando subito alla fronte. Nominato sottotenente, fu trasferito al 30° Fanteria, partecipando a varie azioni di guerra. Sognando la sua Dalmazia amata e lontana, mori al Sanatorio della Pineta di Sortenne, a Sondrio, il 4 Febbraio 1918, per malattia contratta alla fronte. Croce al merito di guerra.

Mirando Kraglievich fu Nicolò. Nato a Zara il 3 Aprile 1897, studente. l'Italia e la Dalmazia furono il sogno e la fede di questo generoso giovane. Come il fratello suo Roberto, non potè morire sul campo ma si spense, sognando la patria lontana, il 15 Settembre 1918 all'Ospedale Vittorino da Feltre a Roma, per malattia contratta alla fronte, dove s'era distinto per cuore e valore. Si era arruolato volontario il 21 Giugno 1915 al 6° Reggimento Bersaglieri, passando poi all'81° Batteria d'Assedio, come sottotenente. Croce al merito di guerra.

Raimondo Spangaro figlio di Luigi; di Capodistria, nato nel 1890. Soldato nel 227° Reggimento Fanteria, venne fatto prigioniero alla Vertoibizza nell'autunno 1916, e morì in prigionia il 10 Febbraio 1918. Croce al merito di guerra.

Antonio Grabar di Parenzo, fucilato a Cattaro il giorno 11 Febbraio 1918.

I fermenti di malcontento e di rivolta che agivano nel corpo stanco dell'esercito austriaco, sul finire del 1917 erano largamente penetrati anche nella imperiale e regia marina, resi più acuti dal malo trattamento cui erano oggetto i marinai di tutte le razze che componevano gli equipaggi delle navi austriache.

Il primo Febbraio 1918, a Cattaro, dove s'annidava una parte della flotta, la rivolta a lungo compressa scoppiava fulminea. Affermare che tale moto rivoluzionario abbia avuto un carattere irredentista sarebbe antistorico. Molti e svariati elementi, e non ultimo l'esempio russo che agiva da eccitante sui nervi scossi dell'esercito stanco e sfibrato, contribuirono a creare l'atmosfera cocente della ribellione. Certo si è che lo spirito di Antonio Grabar, educato nella fucina irredentista della italianissima Parenzo, levigato sulle tavole della scuola mazziniana, era uno spirito purissimamente italiano e irredentista. Egli si buttò con garibaldino entusiasmo nella rivolta. Dai consigli dei marinai fu eletto comandante dell'incrociatore «San Giorgio», fu l'anima, lo stimolatore, il condottiero dell'azione.

Ma i ribelli non potevano resistere a lungo. La confusione delle lingue, in quella torre di Babele ch'era l'esercito austriaco, se era un fattore di disgregazione era anche, in un senso negativo, un elemento di coesione: i soldati non si comprendevano. I rivoltosi tentarono di mettersi in contatto, a mezzo della radiotelegrafia, con Pola. Ma i messaggi non vennero raccolti. Anzi, il mattino del 3 Febbraio le navi che si trovavano a Pola, donde erano salpate d'urgenza, comparvero dinanzi a Cattaro appoggiate da una grossa flottiglia di sommergibili germanici, e intimarono la resa, entro le ore 10, alle navi dei ribelli contro le quali aveva già cominciato a sparare il Forte di Scirocco, tenuto da truppe ungheresi, Vista l'impossibilità di una resistenza, alle ore 9.45 tutte le navi ribelli ammainarono la bandiera rossa, e furono riprese in consegna dagli ufficiali.

Tutti i capi della sollevazione furono tratti in arresto, e contro di essi fu avviato procedimento che fu sospeso prima per l'intervento del Parlamento austriaco, e poi fu troncato dalle fiamme di Vittorio Veneto, rogo benedetto d'infiniti procedimenti giudiziari. Per Antonio Grabar però la giustizia fu inmediata e sommaria. Portato dinanzi al Tribunale di guerra, fu condannato a morte e nelle prime ore del giorno 11 Febbraio 1918 veniva fucilato. Morì fiero, gridando: Viva l'Italia!, affermando con tale grido una fede che illumina la sua figura di fulgidissima luce e fa porre il suo nome nell'elenco glorioso dei martiri italiani.

Virgilio Sansone fu Francesco. Nato a Capodistria il 16 Febbraio 1893, agente di commercio.  Di sentimenti mazziniani, si arruolava volontario, il 29 Maggio 1915, al 2° Reggimento Fanteria, passando in zona di guerra e partecipando a numerosi combattimenti. Promosso caporale, passava in aviazione. Per una caduta d'aereoplano, a Gallarate, moriva il 17 Febbraio 1918. Croce al merito di guerra.

Giovanni Cozzi di Giovanni. Nato il 18 Giugno 1886 ad Aurisina, di professione scalpellino. Bella tempra di operano italiano, si arruolò nel Maggio 1915 all'8° Reggirmento Alpini. Aggregato al Battaglione Gemona, prese parte a tutte le azioni del glorioso reparto. Durante la ritirata di Caporetto, tagliato fuori il suo reparto dal resto dell'Esercito, fu fatto prigioniero. A metà Marzo 1918, róso da male contratto in prigionia, moriva all'Ospedale di Praga. Croce al merito di guerra.

Giacomo Zongaro figlio di Agostino. Nato a Zara il 20 Ottobre 1893, di professione falegname. Magnifica tempra di popolano patriotta, fu sempre tra i primi nelle lotte per la difesa dell'italianità di Zara. Si arruolò volontario al 94° Reggimento Fanteria, il 24 Maggio 1915, passando tosto in zona di guerra e raggiungendo il grado di caporalmaggiore. Passò poi, a sua richiesta, all'Aviazione. II 20 Maggio 1918, per un incidente al velivolo, cadde nel Trasimeno. Trovò sepoltura onorata a Passignano. Croce al merito di guerra.

Umberto Zongaro di Agostino. Nato a Zara il 18 Marzo 1891, agente di navigazione.

Accorse volontario nell'Esercito all'epoca della guerra libica, prendendone attivi parte col 94° Reggimento Fanteria. Nel Maggio 1915 ottiene la nomina a sottotenente e viene assegnato al 134° Reggimento Fanteria, passando subito in zona di guerra. Promosso tenente, alla testa della sua Sezione Mitragliatrici viene ferito sul San Marco il giorno 11 Agosto 1916 e per il suo eroico contegno ottiene una medaglia d'argento al valore. Nell'Agosto 1917, a Panovizza, si merita un'altra medaglia, di bronzo, al valor militare.

Nel Settembre dello stesso anno viene promosso capitano. Sempre distinguendosi per valore e nobiltà d'animo, cade il 4 Ottobre 1918 a Malga Vallone (Monte Grappa) e alla sua memoria viene decretata una terza medaglia di argento al valore, con la seguente motivazione:

«Con elevato sentimento del dovere, con fede, con entusiasmo, assumeva il comando d'un reparto, il cui comandante era precedentemente caduto ferito, e lo trascinava con mirabile slancio al contrattacco di una trincea occupata dall'avversario. Colpito a morte mentre, alla testa dei suoi uomini, valorosamente combatteva, cadde sul campo, lasciando gloriosamente la vita».

Giovanni Streinz Sereni fu Ignazio. Nato a Malinsea nell'isola di Veglia il 28 Gennaio 1896, studente in medicina, prima all'Università di Vienna, poi a quella di Bologna; di ardenti sentimenti nazionali. Si arruolò il 24 Giugno 1915 nel 91° Reggimento Fanteria. Nominato sottotenente, alla testa dei suoi soldati, nel 161° Reggimento Fanteria, venne ferito il 28 Giugno 1916 sul Monte Rasta. Valorosissimo ufficiale, cadde a Bligny il 17 Luglio 1918. Venne insignito di due medaglie. d'argento al valor militare, della croce di guerra italiana e della croce francese con palma al merito di guerra.

MEDAGLIA D'ARGENTO D. L. No. 29900 dd, 10 Novembre 1917 Sereni Giovanni, sottotenente nel 161° Reggimento Fanteria, da Trieste. 

«Alla testa di due plotoni sotto fuoco intenso di fucileria e mitragliatrici nemiche, ferito, rimase al suo posto cercando di dar esecuzione agli ordini, sino a che una seconda ferita lo mise fuori di combattimento ». 28 Giugno 1916. Monte Rasta,

MEDAGLIA D' ARGENTO R. D. No. 46818 dd. 28 Febbraio 1921

Sereni Giovanni, da Trieste, tenente nel 75° Reggimento Fanteria. «Ardente di amor patrio, venuto a noi dalla nativa Trieste quale volontario di guerra, non volle mai abbandonare le prime linee, ove prestò l'opera sua, dimostrando elette virtù civili e militari. Primo fra i suoi soldati, irruppe all'assalto di una forte posizione, dando nobilissimo esempio di ardimento e di valore, finchè, colpito dal piombo avversario, vi lasciò gloriosamente la vita».  Petit Champ, 17 Luglio 1918.

CROCE FRANCESE CON PALMA AL MERITO DI GUERRA Citazione all'o. d. g. della V Armata Francese:

Sereni signor Giovanni, tenente, comandante il 2° Reparto Zappatori del 75 Reggimento Fanteria. «A la tête de leurs unités se sont élancés à l'attaque de fortes positions du Bois du Petit Champ, donnant à leurs troupes l'ardeur pour la lotte et la foi dans la victoire. Brillants officiers, superbes figures de soldats, ils sont tombés glorieusement avec la vi sion de la victoire, affirmant la valeur italienne sur le Champ de Bataille de France au service de la cause. de la liberté des peuples contre la barbarie ennemies».

Angelo Della Santa di Terenzio. Nato a Capodistria 19 Settembre 1898, studente. Si arruolava volontario in Fanteria e, nominato sottotenente, veniva assegnato al 231° Reggimento Fanteria. Cadeva sulle sponde del Piave il 22 Luglio 1918. Per il contegno tenuto nella Battaglia del Piave, gli era stata concessa la medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione:

«Con esemplare e costante ardimento, si offriva per le azioni più pericolose, dando mirabili prove di animo invitto e di elevato patriottismo. In una particolare circostanza si offrica per attaccare, con una pattuglia, una casa saldamente occupata dal nemico munito di mitragliatrice, e dopo un'azione di fuoco. costringeva l'avversario a ritirarsi». Scolo Palumbo (Piave), 18 Giugno 1918.

Pompeo De Colle figlio di Pietro. Nato a Capodistria il 12 Novembre 1894, cuoco marittimo. Si arruolo volontario all'8° Reggimento. Alpini a fine Maggio 1915, e raggiunse tosto la fronte al Pal Piccolo. Dopo aver preso parte attiva alla guerra, fu fatto prigioniero nel Novembre 1917, durante la ritirata di Caporetto. Morì al Campo di Campeni Topänfalva il 9 Novembre 1918 per malattia contratta in prigionia. Croce al merito di guerra.

Giuseppe Müller di Giovanni. Nato a Parenzo ile Febbraio 1887, commesso. Militò tra la gioventů mazziniana a Trieste, distinguendosi per l'ardente fede nazionale. Si arruolò volontario il 24 Maggio 1915 nel 2° Reggimento Fanteria. Trasferito all'11° Reggimento Fanteria, fu ferito a Oslavia il 2 Ot- tobre 1915. Assolto il Corso Ufficiali, fu nominato Sottotenente, guadagnandosi poi una medaglia di bronzo. durante le operazioni che condussero alla presa di Gorizia. Morì in circostanza tragica a Parenzo nel Marzo 1919.

MEDAGLIA DI BRONZO D. L. No. 23837 dd. 20 Ottobre 1917

Müller Giuseppe, da Parenzo, sottotenente di complemento nell'11° Reggimento Fanteria. «Comandante di una sezione di lancia torpedini, continuava di sua iniziativa il tiro contro i reticolati nemici, cercando di aprirci dei varchi e rincorando con lo esempio i propri soldati scossi da un violento bombardamento avversario». Podgora, 6 Agosto 1916.

Nereo Petranich fu Antonio. Nato a Cherso il 10 Settembre 1887, laureato in giurisprudenza. Disertò dalle file dell'esercito austriaco, passando in Russia e arruolandosi poi nel Corpo Italiano dell'Estremo Oriente. Nominato sottotenente, diede sempre prova di elevato patriottismo e alto senso del dovere. Morì, durante un'azione di salvataggio nel fiume Irtish, il 15 Luglio 1919 a Omsk (Siberia). Alla sua me moria venne decretata la medaglia d'oro al valor civile, con la seguente motivazione:

«Spinto da magnifico croismo si slanciava per tre volte nelle acque del fiume Irtish, agitate da vio ento vento, salvando due uomini e tentando di salvare una ragazza, finchè sopraffatto dalla stanchezza e dalla violenza della corrente veniva egli pure travolto e gloriosamente soccombeva, chiudendo con sì sublime sacrificio la giovane purissima vita di soldato. e di patriota».

Umberto Lana fu Cipriano. Nato a Zara net 1882, professore. Si arruolò volontario al 7° Reggimento Alpini, nel quale ottenne In nomina ad aspirante ufficiale. Morì nel Sanatorio di Belfiore a Mantova il 13 Dicembre 1919 per malattia contratta in servizio. Croce al merito di guerra.

Riccardo Vucassovich figlio di Matteo. Nato a Spalato il 20 Dicembre 1904, studente.

Accorse il 18 Settembre 1919 a Fiume sotto le insegne di Gabriele d'Annunzio e s'arruolò nel Batt glione Rismondo. Servì la causa di Fiume sino alla morte. Fu gravemente ferito il 26 Dicembre 1920, nel triste Natale di sangue. Morì il 2 Gennaio 1921, in seguito alle ferite riportate, senza poter rivedere la sua Spalato. Medaglia di Ronchi.

Spiridione Stojan nato a Traù. Nel Settembre 1919 accorse a Fiume e si arruolò nel Battaglione Rismondo, servendo la causa di Fiume da legionario fedele. Nell'insurrezione del 3 Marzo 1922 contro il Governo di Zanella, cadeva colpito a morte presso il palazzo def Governo. Riposa nel Cimitero di Cosala tra i morti del Natale di sangue. Medaglia di Ronchi.

Nicolò Bessich figlio di Domenico. Nato a Umago il 18 Febbraio 1897. pescatore. Nel Febbraio 1913, assieme a tre altri giovani istriani, Zoppolato, Todaro D'Ambrosi, fuggì dall'Istria su una piccola barca a remi, attraversando l'Adriatico e riparando a Venezia. Si arruolò volontario, il 28 Maggio. 1915, al 2° Reggimento Fanteria, partecipando a numerose azioni di guerra. Chiese poi di passare in Aviazione, nella quale arma si distinse per coraggio e audacia, ottenendo la promozione a sergente maggiore. Trovò la morte il 22 Marzo 1928 in Albania, in seguito ad un incidente di volo. Croce al merito di guerra.

Pietro Stefanini fu Giuseppe. Nato a Spalato il 18 Agosto 1887, di professione barbiere. Mazziniano fervente, animo di patriotta e temperamento di « bohemien» passò la giovinezza a Pola, svolgendo coraggiosa attività irredentista. Scoppiata la guerra europea, passo il confine. Si arruolò con i volontari garibaldini in Francia. Nel Maggio del 1915 fu con i volontari ciclisti. Passò poi al 8° Reggimento Artiglieria, e venne promosso caporale. Coi bombardieri, prese parte attivamente alla guerra su diverse fronti. Nel Settembre 1919 partecipò all'impresa di Fiume. Per malattia con-ratta in guerra, morì a Pola il 23 Marzo 1923. Croce militare francese, croce italiana al merito di guerra.

Mario Moresco Pillepich fu Giuseppe. Nato a Fiume il 30 Agosto 1893, impiegato. Si arruolò volontario in Fanteria nel Maggio 1915, prendendo attiva parte alla guerra prima col 2° Reggimento Fanteria e poi col IV Reparto d'Assalto, nel quale raggiunse il grado di sottofenente. Morì a Fiume il 2 Settembre 1923 per malattia contratta in guerra. Croce al merito di guerra.

Attilio Buttignoni di Lorenzo. Nato a Pola il 14 Maggio 1893, studente universitario. Reduce dalla Russia, si arruolò, nel Settembre 1916, nel 3° Reggimento Alpini, raggiungendo il grado di sottotenente. Morì a Pola il 28 Maggio 1925 per malattia contratta in guerra. Croce al merito di guerra.

Giovanni Ricotti fu Nicola. Nato a Fiume il 21 Novembre 1888, meccanico. Si arruolò volontario nel Maggio 1915 al 19° Reggimento Artiglieria da Campagna, prendendo attiva parte alla guerra e raggiungendo il grado di tenente. In seguito a grave malattia contratta in guerra, morì all'Ospedale di Brusegana (Padova) nel 1925. Croce al merito di guerra.

Giuseppe Lebeda figlio di Giuseppe. Nato a Pola il 6 Gennaio 1899, studente. Sedicenne, alterava i propri documenti personali per poter essere accolto nell'Esercito, e s'arruolava volontario nel Maggio 1915, in Artiglieria. Passato in zona di guerra, si distingueva per il coraggioso contegno e nell'Ottobre 1915 gli veniva assegnata una medaglia d'argento al valor militare, con la seguente motivazione:

Lebeda Giuseppe, da Pola (Istria), N° 274 v. g. matr. 

«Offertosi di fare parte di una squadra di volontari artiglieri incaricata di occupare una forte posizione nemica, invano attaccata due volte nei giorni precedenti da altri nostri reparti, si slanciava tra i primi nella difficile impresa, nonostante la violenta reazione avversaria esercitata con tiro incrociato di mitragliatrici e lancio di bombe a mano». Montozzo, 29 Ottobre 1915.