mercoledì 6 dicembre 2023

Vincenzo Fasolo

Vincenzo Fasolo (Spalato, 5 luglio 1885 – Roma, 6 novembre 1969) è stato un architetto, ingegnere e storico dell'architettura italiano.

Nato a Spalato da Michelangelo e Andreina Allujevich, dovette lasciare la città natale ancora in tenera età per seguire il padre, docente di chimica, prima a Cagliari e poi a Foggia, continuando però nei mesi estivi a recarsi ogni anno in Dalmazia, ospite dei cugini Ghiglianovich e Barbieri.

In seguito ad un incidente di laboratorio Michelangelo Fasolo perse la vista, e la famiglia fu colpita da ristrettezze economiche. La cosa fu di sprone per il giovane Vincenzo, che a quindici anni giunse a Roma dove seguì tutti gli studi.

Laureatosi in ingegneria civile nel 1909, lo stesso anno fu insignito del titolo di professore di disegno, cui tenne in modo particolare lungo tutta la vita, abbinando alla pratica di architetto anche l'hobby della pittura e della grafica.

Alla scuola di ingegneria si formò in Architettura Tecnica con Giovanni Battista Milani che gli trasmise il metodo analitico di comprensione dell'architettura attraverso il disegno integrato dell'architettura e della costruzione dell'organismo architettonico.

Fervente irredentista, il 13 novembre 1920 fu fra i tredici dalmati residenti a Roma firmatari di una lettera di protesta contro il Trattato di Rapallo, col quale l'Italia rinunciava alla Dalmazia promessale col patto di Londra per il suo intervento nella prima guerra mondiale.

Assieme a Gustavo Giovannoni, Giovanni Battista Milani, Arnaldo Foschini, Manfredo Manfredi e Marcello Piacentini fu promotore della Scuola di Architettura di Roma, divenuta in seguito la prima facoltà di architettura in Italia, della quale fu professore di Storia e stili dell'architettura dal 1925 e preside dal 1961. In pari tempo, fu anche direttore della Scuola di Disegno della facoltà di ingegneria.

Milani lo coinvolse nell'opera "Le forme architettoniche" di cui Fasolo scrisse poi i volumi successivi.

Nel corso della sua vita, fondò la Scuola di perfezionamento per il restauro dei monumenti ed il periodico "Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura".

Vincenzo Fasolo fu uno dei più insigni storici dell'architettura del suo tempo, nonché autore di svariati studi e monografie. La sua opera più importante fu una Storia dell'architettura in più volumi, che dopo la sua morte verrà portata a termine dal figlio architetto e professore universitario Furio, il quale, assieme al fratello Orseolo, curerà anche la pubblicazione delle stampe di Roma e Venezia.

Fra gli altri titoli e incarichi, Vincenzo Fasolo fu anche presidente dell'Accademia nazionale di San Luca e architetto della Fabbrica di San Pietro, titolo avuto in passato da Michelangelo. Fu poi socio onorario della Scuola Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone di Venezia, nonché socio e presidente della Società Dalmata di Storia Patria di Roma.

Progetti principali:

In qualità di architetto Vincenzo Fasolo ha progettato una serie di edifici sia pubblici che privati di notevole importanza in varie zone dell'Italia, ma principalmente a Roma. Fra di essi si ricordano:

Villino Mandolesi a Grottammare, opera giovanile in stile eclettico-liberty;

stadio della Vittoria di Bari;

palazzo del comune di Zara;

Villa Cidonio, nel comune di Rocca di Mezzo.

A Roma

Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia, restauro del 1917;

ara della breccia di Porta Pia, su Corso d'Italia;

Liceo Terenzio Mamiani, su viale delle Milizie (1921-23);

palazzo del Governatorato, su piazza della Stazione Vecchia a Ostia (1924-28);

scuola elementare Alberto Cadlolo, su via della Rondinella (1925) oggi sede dell'Accademia di costume e di moda;

caserma dei Vigili del Fuoco Alberto De Jacobis, su via Marmorata, angolo via Galvani (1926-28);

colonia marina Vittorio Emanuele III, su lungomare Paolo Toscanelli a Ostia;

complesso scolastico monumentale tardo-liberty Armando Diaz, su via Acireale (1928-30);

ponte Duca d'Aosta sul fiume Tevere (1939-42).

Opere principali:

Le forme architettoniche dal '400 al neoclassico, Milano 1931.

Le forme architettoniche dall'Ottocento ai giorni nostri, Milano 1934.

Guida metodica per lo studio della storia dell'architettura, Roma 1954.

Analisi grafica dei valori architettonici, Roma 1962.

Angelo Antonio Frari

Angelo Antonio Frari (Sebenico, 1780 – Venezia, 1865) è stato un medico ed epidemiologo italiano, rinomato per i suoi studi di carattere epidemiologico. Fu uno dei membri di una famiglia di famosi medici della città di Sebenico.

Figlio di Giuseppe Frari, medico nato a Treviso ed in seguito trasferitosi a Sebenico per assumervi la carica di primario (capo dei medici municipali), si laureò in medicina all'Università degli Studi di Padova nel 1801, perfezionandosi poi a Vienna come allievo del famoso Johan Peter Frank (1745-1821), precursore dell'idea dell'igiene come scienza.

Interessandosi di epidemiologia, divenne medico municipale a Spalato e nel periodo del governo francese della Dalmazia (1806-1813) fu a capo del lazzaretto cittadino: una carica che riacquisterà in seguito, mantenendola fino al 1821.

In quel periodo acquisì una notevole fama per le sue teorie sull'igiene pubblica e sull'utilizzo della quarantena come metodo per la prevenzione delle epidemie. Scioccato dalle misere condizioni igieniche dalla Dalmazia, profuse molte energie per il loro miglioramento, rendendo varie volte edotto il governatore pro tempore della regione - Vincenzo Dandolo - delle precarie condizioni di Spalato e delle campagne circostanti. Fu grazie allo sforzo di Frari che il governo del Dandolo emanò un complesso di disposizioni legislative sulla sanità locale, accompagnate dalle "Istruzioni sui lazzaretti" (1812), composte quasi completamente dal Frari stesso.

In questi anni, Frari fu attivamente impegnato a combattere epidemie di peste a Spalato, Macarsca e in svariate regioni del Montenegro e dell'Albania. Nel 1815 venne colpito dal morbo, ma si curò da solo incidendo i bubboni e trattandoli con olio ed aromi.

Sostenitore delle idee rivoluzionarie francesi, Frari nel 1821 lasciò Spalato per Zara, dalla quale nel 1822 si spostò a Verona e nel 1825 a Venezia, dove lavorò come epidemiologo e scrittore di vari saggi scientifici. Assunse la carica di protomedicus (capo del servizio medico) a Venezia, divenendo in seguito presidente del Magistrato di Sanità Marittima della città (1830-1843). Nel 1835 passò un periodo in Egitto, come consulente per la cura di un'epidemia di peste.

Angelo Antonio Frari fu uno dei dalmati che parteciparono attivamente alla rivolta veneziana contro l'Impero Austroungarico nel 1848-1849, assumendo nuovamente l'incarico di presidente del Magistrato di Sanità Marittima su incarico del Governo Provvisorio della Repubblica Veneta (il relativo decreto di nomina - datato 27 aprile 1848 - venne firmato direttamente da Daniele Manin). Questa attività però non gli fu di nocumento per gli anni a venire, che lo videro ancora rispettato medico e scienziato a Venezia, socio del rinomato Ateneo Veneto e decorato dall'imperatore Francesco Giuseppe della "Medaglia d'oro di onore del merito civile per servizi prestati in circostanze di peste".

Lungo tutto il corso della sua vita, Angelo Antonio Frari coltivò sempre un forte rapporto di amicizia con lo scrittore e patriota Niccolò Tommaseo, di lui più giovane di oltre vent'anni. Tommaseo riservò al Frari svariati passi del suo Diario intimo, e utilizzando i risultati dei suoi studi una volta indirizzò una nota di protesta all'imperatore d'Austria, lamentando le gravi condizioni sanitarie della sua Dalmazia.

Opere:

Frari pubblicò vari saggi scientifici, fra i quali in particolare vengono ricordati:

"Storia della febbre epidemica che regnò a Spalato e luoghi vicini nell'anno 1817" (Padova, 1817)

"Cenni storici sull'isola di Poveglia e sulla sua importanza sotto l'aspetto sanitario" (Venezia, 1837)

Soprattutto però si ricorda il suo capolavoro: "Della peste e della publica amministrazione sanitaria" (Venezia, 1840), all'epoca considerato il testo più importante al mondo con riferimento alla storia delle epidemie di peste.


La figura di Angelo Antonio Frari è storicamente ritenuta collocabile nell'ambito culturale italiano. Tuttavia, in una pubblicazione del 1955 lo studioso croato Mirko Drazen Grmek ha espressamente definito Angelo Antonio Frari "primo storico della medicina croata", traducendone il nome proprio in Antun Anđeo. Tale nome non era mai stato precedentemente utilizzato, né risulta in alcun documento contemporaneo al Frari. Questa precisa identificazione etnica ha fatto presto breccia nel mondo degli storici jugoslavi prima e croati poi, fino ai giorni nostri.

Mila Schön

Mila Schön, nata Maria Carmen Nutrizio (Traù, 28 settembre 1916– Quargnento, 5 settembre 2008), è stata una stilista italiana.

Nata da una famiglia agiata (il padre era farmacista e la madre apparteneva alla famiglia degli industriali zaratini Luxardo), venne alla luce il 28 settembre 1916 in Dalmazia durante la prima guerra mondiale. L'impero austro-ungarico si sarebbe presto dissolto e la città di Traù, assieme a gran parte della regione dalmata, fu assegnata al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni pochi anni dopo la sua nascita. Fu così che nel 1920 Maria si trasferì a Trieste con i genitori e il fratello Stefano, destinato a diventare uno tra i più conosciuti giornalisti del dopoguerra.

Compiuti gli studi a Trieste, nell'immediato secondo dopoguerra si trasferì poi a Milano con il marito, il commerciante magnate Aurelio Schön. Si godettero la ricchezza per qualche anno, fino a che il marito cadde in disgrazia e lei chiese il divorzio. Di nuovo povera ma ancora terribilmente appassionata di quei capi che non poteva più permettersi Maria iniziò a copiare i modelli dei grandi stilisti, come Dior, Balenciaga e Chanel ed affidarli a delle sarte. Cominciò disegnando per le sue amiche appartenenti alla ricca borghesia milanese. Con il tempo i capi che disegnava ebbero un grande successo, con una richiesta sempre in aumento. Nel 1958 fondò il suo primo atelier e sette anni più tardi, nella celebre cornice delle sfilate di Palazzo Pitti, lanciò la sua prima collezione di abiti femminili che le permise di fare il gran salto nel mondo dell'alta moda. La sua prima collezione, piena di sfumature viola, venne apprezzata addirittura dal New York Times.

Negli anni settanta cominciò a creare collezioni di moda pronta sia femminile che maschile.

Nel 1966 Mila Schön viene premiata con il Neimann Marcus Award, l'oscar del mondo della moda. Il suo successo negli Stati Uniti d'America esplose, tanto che vestì le donne più belle e importanti dell'epoca, tra cui Marella Agnelli e Lee Radzwill, sorella di Jackie Kennedy.

Nel 1981 Mila Schön ampliò il business del marchio per esplorare nuove frontiere oltre a quella dell'abbigliamento, la maison produsse così il suo primo profumo, chiamato Haute Couture. Alla produzione si aggiunsero anche abiti, accessori, pelletteria, piastrelle.

Negli anni '90 il brand entrò in un periodo di forte crisi, che si risolvette con la cessione del marchio al colosso giapponese Itochu. Maria Carmen rimase comunque alla guida artistica di Mila Schön. L'accordo con Itochu prevedeva che la licenza del marchio venisse poi ceduta al Gruppo Mariella Burani, accordo che si concluse prematuramente nel 2008.

Nel 1985 ricevette a Venezia uno speciale leone d'oro per la moda in occasione della Mostra del cinema. Due anni dopo le fu consegnata la medaglia d'oro dal Comune di Milano. Nel 1990 le è stato conferito il premio San Giusto d'Oro dai cronisti del Friuli Venezia Giulia. Ancora oggi, il marchio Mila Schön è rimasto un punto di riferimento della moda sobria ed elegante.

Nicolò Sagri

Nicolò Sagri (Ragusa di Dalmazia, ? – Manfredonia, 1573) è stato un astronomo, matematico e letterato dalmata.

Le scarne informazioni su Nicolò Sagri si ricavano principalmente dalla Storia di Raugia di padre Serafino Razzi, un domenicano fiorentino trasferitosi nella città dalmata. L'anno e il luogo della morte sono invece desunti dalla Descrizione delle origini e genealogie dei cittadini di Ragusa che furono in offitio della confraternita di Sant'Antonio, composto dallo stesso Nicolò Sagri ma dato alle stampe dopo la sua morte dal fratello Giovanni Maria. Nella prefazione a quest'opera si dice che la famiglia Sagri - originaria della Bosnia - si era trasferita a Ragusa per dedicarsi ai commerci marittimi, raggiungendo un'agiata posizione.

Il Sagri fu senz'altro un uomo di vasta esperienza marinara, e dall'esame dei suoi scritti si ricava pure una certa padronanza in materia filosofica ma soprattutto una profonda conoscenza dell'astronomia, sia teorica che osservativa. Egli stesso attesta di aver predilezione per questi studi, coltivato con la lettura degli "autori antichi", e in modo particolare del "principe di tutti gli altri Tolomeo Alessandrino".

L'indicazione come luogo di morte di Manfredonia fa pensare ai frequenti contatti fra la Puglia e la dirimpettaia Repubblica di Ragusa.

Opere:

L'opera per la quale il Sagri è rimasto nella storia dell'astronomia e della navigazione fu i Ragionamenti sopra le varietà de i flussi et riflussi del mare Oceano occidentale. Fatti da Andrea di Noblisia, Pedotto Biscaino, et Vicenzo Sabici Nocchiero, et Ambrosio di Goze, Ragusei; Raccolti da Nicolo Sagri, et in un Dialogo dall'istesso ridotti, Diviso in due parti, ad utilità di ciascuno Navigante (Venezia, appresso Domenico e Gio. Battista Guerra fratelli, 1574), pubblicato anch'esso postumo per opera del fratello Giovanni Maria, con un'introduzione di quest'ultimo.


Per secoli la questione della nazionalità di Nicolò Sagri non venne mai sollevata. Alla fine del XIX secolo - sull'onda del movimento illirico che considerava la Dalmazia come territorio nazionalmente croato, il Sagri venne identificato come etnicamente croato. Il suo nome venne quindi traslitterato inizialmente in Nikola Sagri, ed in seguito in Nikola Sagroević. Alcuni utilizzano invece il doppio cognome: Nikola Sagroević-Sagri (o all'inverso Nikola Sagri-Sagroević)

Martino Rota

Martino Rota (nelle fonti il nome viene anche scritto come Martin o Martinus, mentre il cognome si trova anche nelle forme Rot, de Rota o Rotta) (Sebenico, 1520 circa – Vienna, 1583) è stato un incisore e pittore italiano.

Nel 1540 lo si trova a Roma, ove lavora assieme a Cornelius Cort (del quale fu forse aiutante), producendo una serie di opere sullo stile di Marcantonio Raimondi. Fra le opere di questo periodo, si ricorda la serie del Cristo e dei dodici apostoli. Egli non creò delle opere originali, ma incise su lastra metallica secondo varie tecniche le opere di altri artisti, quali Luca Penni, Raffaello e Michelangelo.

La sua più celebre opera del periodo romano fu una copia in formato ridotto del Giudizio universale di Michelangelo.

Lasciata la città, si stabilì per un breve periodo a Firenze e, poi, dal 1558 a Venezia, dove realizzò una serie di incisioni tratte dalle opere di Tiziano, oltre a svariate mappe e vedute di Venezia e di altre città.

Nel 1568 si spostò, infine, a Vienna, dove lavorò come pittore e incisore alla corte imperiale di Massimiliano II e Rodolfo II e dove morì nel 1583. Durante questi ultimi anni iniziò a cimentarsi anche nella pittura e nella scultura, oltre che nel disegno di medaglie e monete.

Delle circa 120 incisioni di Rota a noi pervenute, oltre la metà è costituita da ritratti.

Alla fine del XIX secolo, il nome di Martino Rota è stato croatizzato in Martin Kolunić, semplicemente traducendo il cognome "Rota" (ruota) nel corrispettivo croato kolo trasformato poi nel patronimico Kolunić. Questa traduzione del cognome viene generalmente aggiunta al cognome Rota, che risulta invece dai documenti coevi dell'artista, in modo da ottenere un singolare cognome bilingue: Rota Kolunić. Attualmente Martino Rota è considerato dai geografi croati come uno dei capostipiti della moderna cartografia croata.

Roberto de Visiani

Roberto de Visiani (Sebenico, 9 aprile 1800 – Padova, 4 maggio 1878) è stato un botanico, naturalista e letterato italiano. È stato uno dei padri dello studio moderno della botanica in Italia. Le piante da lui classificate riportano la sigla "Vis.".

Fin da ragazzo coltivò vari interessi, dalla letteratura alle scienze, ma la sua predilezione andò subito alla botanica, al tempo considerata una branca della medicina: a Padova il suo interesse si focalizzò sul locale Orto botanico, alla cui cura si dedicò fin da studente.

Assistente universitario fino al 1827, ritornò in Dalmazia per dedicarsi all'attività di medico (a Sebenico, Dernis, Cattaro e Budua). I suoi appunti dell'epoca mostrano ancora una volta il suo vero interesse: recandosi a visitare i malati non mancava infatti di raccogliere gli esemplari di centinaia di erbe trovate lungo la strada, che in seguito classificava, descriveva ed archiviava. Nel contempo, manteneva una corrispondenza col proprio maestro padovano, quel professor Giuseppe Antonio Bonato che negli stessi anni cercava di istituire l'insegnamento autonomo della botanica nell'ateneo patavino.

Il 7 giugno 1827 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.

De Visiani scrisse di alcune piante al direttore della "Gazzetta Botanica" ("Botanische Zeitung") di Ratisbona, e poco dopo venne invitato a collaborare alla rivista. Fra il 1828 e il 1830 pubblicò la classificazione e la descrizione di oltre cinquanta specie da lui scoperte.

Il riconoscimento più importante per la sua attività scientifica gli venne alla morte del Bonato, quando nel 1836 l'Università di Padova lo chiamò a succedergli in qualità di "Prefetto dell'Orto". Il titolo della sua prolusione fu "Dell'utilità e dell'amenità delle piante".

Dopo aver superato il concorso a professore universitario a Vienna, nel 1837 Roberto de Visiani si insediò come titolare della nuova cattedra di botanica, istituita presso l'Università di Padova.

La sua attività scientifica fu estremamente prolifica, e comprese centinaia di pubblicazioni in italiano e in latino. Fra queste, la più famosa rimane il saggio "Flora Dalmatica sive Enumeratio Stirpium Vascularium quas hactenus in Dalmatia lectas et sibi observatas descripsit digessit rariorumque iconibus illustravit" (generalmente citato semplicemente come "Flora Dalmatica"), pubblicato a Lipsia fra il 1842 e il 1845: in esso vengono classificate e descritte secondo il metodo scientifico di Linneo oltre 2.500 specie di piante della Dalmazia. Quest'opera era stata preceduta e in qualche modo preparata da tre saggi sullo stesso tema: "Stirpium dalmaticarum specimen" (Padova, 1826); "Plantae rariores in Dalmatia recens detectae", in "Botanische Zeitung von Regensburg" (Ratisbona, 1828); "Plantae dalmaticae nunc primae editae" (Ratisbona, 1830).

Prima ancora della pubblicazione della "Flora Dalmatica" la sua fama era assai ampia, tanto che il re di Sassonia Federico Augusto II, anche lui amante della botanica, aveva chiesto ed ottenuto di poter correggere le bozze di stampa del suo capolavoro.

Sotto la direzione del Visiani, l'antico Orto Botanico di Padova venne notevolmente ingrandito, con la messa a dimora di piante di svariati paesi del mondo, sulle quali egli scrisse puntualmente l'esito delle proprie osservazioni scientifiche.

Fondata la "Società del Veneto a promuovere la coltura dei fiori", assieme a Pier Andrea Saccardo, stese il "Catalogo delle piante del Veneto". Assieme all'allievo Andrea Massalongo, fu il primo in Italia a studiare le piante fossili.

Roberto de Visiani viene ricordato anche per una serie di studi letterari, fra i quali un lavoro sul "Tresor" di Brunetto Latini, al quale dedicò pure un saggio a proposito del suo "Trattato di virtù morale". Fra i suoi saggi di critica del testo, sono da ricordare il trattato "Degli avvedimenti da usarsi nella pubblicazione di testi antichi" e i saggi "Nuova pubblicazione di Valerio Massimo", "Accenni alle scienze botaniche nella Divina Commedia" e "Sopra l'Acanto degli scrittori greci e latini".

Lungo il corso della sua vita, Visiani non dimenticò mai la propria città natale, provvedendo molte volte ai poveri con elargizioni liberali. Nel 1863 donò una forte somma per l'ampliamento e l'ammodernamento del locale ospedale, fondato da suo padre nel 1807.

Tenne sempre corrispondenza col Tommaseo, che gli fece dono di una sua traduzione dei Vangeli.

Nel 1877 lasciò l'insegnamento e un anno dopo morì, lasciando la propria copiosa biblioteca e l'archivio all'Università di Padova. Il suo corpo venne trasportato a Sebenico, ove riposa nell'antico cimitero cittadino.

Opere:

Della origine ed anzianità dell'Orto botanico di Padova, Venezia, 1839.

Illustrazione delle piante nuove o rare dell'Orto botanico di Padova, Padova, 1840.

L'Orto botanico di Padova nell'anno MDCCCXLII, Padova 1842.

(LA) Flora dalmatica, vol. 1, Leipzig, Hofmeister, 1842.

(LA) Flora dalmatica, vol. 2, Leipzig, Hofmeister, 1847.

(LA) Flora dalmatica, vol. 3, Leipzig, Hofmeister, 1852.

(LA) Flora dalmatica. Supplementum, vol. 1, Padova, 1876.

(LA) Flora dalmatica. Supplementum, vol. 2, 1881.

Fino ad anni relativamente recenti, Roberto de Visiani veniva normalmente considerato un botanico italiano.

La sua stessa partecipazione alle varie "Riunioni degli scienziati italiani", dalla prima convocazione del 1839 in poi (egli fu segretario della Sezione Botanica e Fisiologia generale nel 1840, nonché segretario generale del congresso nel 1842) è un chiaro segno di autoidentificazione nazionale. 

All'annessione del Veneto all'Italia nel 1866, Roberto de Visiani acquisì la cittadinanza italiana. Oltre a ciò, sono note le sue donazioni alla biblioteca della Società del Casino di Sebenico, sede principale e centro delle iniziative culturali della locale comunità italiana.

Pur con queste premesse, attualmente in Croazia il de Visiani è considerato perlopiù uno scienziato croato. In alternativa, viene definito semplicemente "Šibenčanin" - e cioè "Sebenicense" - ed il suo nome viene quasi sempre traslitterato in "Robert Visiani" (eliminando la particella "de").

Giorgio Ventura

Giorgio Ventura, nelle fonti anche Zorzi Ventura (Zara, XVI secolo – XVII secolo), è stato un pittore manierista dalmata, attivo soprattutto in Istria a cavallo fra il XVI e il XVII secolo.

Allo stato attuale, quasi nulla si sa della vita di Ventura se non quanto deriva dal cartiglio di uno dei suoi quadri più famosi, una Madonna col Bambino con i santi Rocco e Sebastiano e due committenti, conservato nella chiesa parrocchiale di Isola d'Istria: «Zorzi Ventura Zaratino in Capodistria Pingieva 1603».

Nato quindi a Zara in un anno imprecisato, assai probabilmente della seconda metà del Cinquecento, un suo solo quadro rimane in tutta la Dalmazia: la Vergine con sei Santi nella piccola chiesa dei francescani sull'isola di San Paolo di Oltre, presso Zara.

Tradizionalmente si ritiene che la sua attività in Istria abbia avuto inizio nel 1598, anno in cui egli firma e data un'Ultima cena oggi conservata nella chiesa parrocchiale di Fasana. Anche da quest'opera risulta la sua residenza a Capodistria.

Nel 1607 firma la sua ultima opera istriana: un Concerto di santa Cecilia nella chiesa di Abrega (vicino a Parenzo).

Nessuna notizia si ha degli anni successivi, né della data e luogo della morte.

Opere:

Madonna del Rosario (apoteosi della vittoria cristiana a Lepanto) - Chiesa parrocchiale di Visignano. Firmata e datata 1598.

Madonna con i santi Nazario, Giovanni Battista e Marco - Chiesa di Villa Decani. Firmata e datata 1600.

Madonna e santi - Chiesa parrocchiale di Visinada. Firmata e datata 1602.

Deposizione nel sepolcro - Chiesa di Abrega. Non firmata né datata.

San Floriano - Chiesa parrocchiale di Covedo. Non firmata né datata.

Dall'analisi delle sue opere si nota la sua conoscenza e lo studio di Vittore Carpaccio e di Girolamo Santacroce.