Benvenuto da Imola nel commento della Divina Commedia (1376) ci dà un'indicazione precisa: «Est enim Carnarium quidam gulphus in mari Adriatico in finibus Italiae continens XL milliaria». Se Pola è presso dei Quarnaro, e se il Quarnaro ha un circuito di quaranta miglia, ne consegue che esso non può nel pensiero del commentatore estendersi al di là del canale della Farasina, e deve comprendere soltanto il tratto di mare situato tra il capo Promontore, il canale stesso e l'isola di Cherso. Se Benvenuto da Imola avesse inteso il Quarnaro per il mare da Pola all'isola di Pago, il «milliaria XL» resterebbe molto al disotto della misura reale, in quanto che esso, secondo i calcoli del Vivien de Saint-Martin, «a une longueur de 68 kil. avec 76 kil. de largeur à l'entrée».
L'ipotesi è che Dante avesse un'opinione analoga a quella di Benvenuto da Imola e del suo concittadino Fazio degli Uberti: che cioè il Quarnaro fosse il braccio di mare fra l'Istria e Cherso, e che l'Italia finisse su per giù al canale della Farasina.
Sembra chiaro inoltre dal confine fissato dal poeta nel passo citato del «De vulgari eloquentia», che i limiti dell'Italia debbano cadere nel Quarnaro così inteso.
Dante aveva concepito un’Italia come una regione in cui si parlava una medesima lingua, osservata nella varietà dei suoi dialetti nel De vulgari eloquentia, in cui si fa menzione anche dell’istrioto. Un’Italia concepita nella Divina Commedia «com’a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e suoi termini bagna», con riferimento alla necropoli romana di Pola, che l’illustre poeta ebbe quasi sicuramente modo di vedere durante un soggiorno istriano.
Ma la visione di Dante era limitata: si era spinto fino in cima all'Istria senza mettere il naso al di là del golfo che abbraccia il litorale fiumano. Lo schema classico cui si era attenuto, quello Augusteo, non gli permetteva di proseguire per scoprire i luoghi dalmati e approdare nel grandioso palazzo di Diocleziano sulla riva spalatina. Quindi è comprensibile il rimbrotto che il divin poeta si prese sei secoli dopo da quel colto e irruente intellettuale che fu Niccolò Tommaseo da Sebenico il quale scrisse: «Dante dice che il Quarnaro chiude l'Italia, Dante quindi esilia me, il disgraziato. Iddio gli perdoni, ei non sapeva quello che si facesse».
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