La via Acquedotto (ora viale XX Settembre) era diventata tra il 1914 e il 1915 non solo ritrovo cittadino dei più importanti teatri e cinematografi di Trieste, ma anche sede di gestioni associative cinematografiche – formalizzate e non – che tentavano di diffondere tramite i film un’implicita propaganda antiaustriaca. Ne facevano parte non solo alcuni impresari, ma anche altre figure della filiera cinematografica, cioè noleggiatori e distributori.
Desta una certa sorpresa l’atteggiamento della censura e della polizia nei loro confronti: una censura inflessibile (gli ispettori teatrali), presente durante gli spettacoli, (come riferisce l’attore Carlo Fiorello nelle sue Memorie), invece apparentemente indulgente verso le irregolarità commesse dai gestori, poiché le chiusure dei cinematografi e le multe inflitte, decretate dalla Luogotenenza dopo i sopralluoghi della Polizia, in realtà venivano quasi subito commutate o ridotte nella pena, per permettere comunque ai Lizenzinhaber di proseguire l’esercizio pubblico, molto fiorente, che veniva svolto in una condizione di «cartello» economico. Il cinematografo, proprio negli anni di guerra, stava diventando un intrattenimento insostituibile per una popolazione allo stremo che non era disposta a rinunciare allo svago, specie se a basso costo, nonostante le misere condizioni di vita. La stampa indica sempre la presenza di «folle» e «folloni» che gremivano platee e balconate dei cine-teatri.
Tra i gestori più impegnati nella propaganda antiaustriaca c’era Attilio Depaul, impresario del cinematografo al Teatro Fenice tra il 1914 e il 1915, fratello di uno dei più attivi esponenti dell’irredentismo giuliano, cioé Marcello Depaul, ex presidente dell’associazione «La giovane Trieste», che al primo faceva arrivare dall’Italia «films cinematografiche» (come si definivano allora) non gradite alla censura austriaca. Nella ditta di commercio di vini e liquori di Attilio Depaul era impiegato, fino al 1910, il noleggiatore di film Nicolò Quarantotto che, insieme a Ruggero Bernardino, già noto agli uffici di polizia (che afferivano alla Luogotenenza del Litorale), dirigeva un Ufficio di noleggio e vendita di film; inoltre, dal 1910 al 1914, era stato membro della Società cinematografica triestina insieme a Josef Caris, Josef Fulignot e Johann Rebez, attivi al Teatro Fenice e al Rossetti, oltre che ai rispettivi cinematografi triestini Americano, Nuovo Cine ed Edison. La Società permetteva, soprattutto, di ammortizzare le spese, pubblicando annunci in comune e proiettando gli stessi film. Caris in passato era stato componente dell’ Associazione Patria (poi sciolta) e godeva di una buona situazione finanziaria grazie al suo commercio di manifatture. Nel novembre 1914 entrò in contenzioso con la Direzione di polizia, poiché al Cinema Americano, da lui gestito, venne proiettato il film In mezzo al turbine, libera versione italiana del film di provenienza austriaca Der Feind im Land, il quale, nel II e III atto, presentava scene offensive delle armate austriache e dei sentimenti «patriottici» dei cittadini.
Diversi gestori di cinematografi trovarono analoghi ostacoli nell’ottenimento delle licenze per sospette tendenze antiaustriache, quali Giuseppe Stancich, Ernst Lenarduzzi e Salvatore Spina (attivo in Italia anche prima della guerra); a quest’ultimo, in particolare, direttore prima della guerra del cinematografo Excelsior di via Acquedotto 32 (poi Nazionale), le autorità revocheranno la licenza cinematografica, permettendogli di continuare solo l’attività di noleggio di pellicole.
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