Michele Maylender nacque a Fiume l'11 settembre 1863 ed a Fiume fece i primi studi, distinguendosi sin da allora per prontezza e vivacità d'ingegno. Uscito dal Liceo, si inscrisse alla facoltà di legge della Università di Kolosvár, ne seguì per due anni i primi corsi, e si trasferì dipoi a Budapest, dove, frequentata per altri due anni quella Università, consegui, nel 1888, la laurea in giurisprudenza.
Compiuto il tirocinio forense, superò, nel 1891 l'esame di avvocato, e cominciò dipoi subito ad esercitare in Finme la professione.
Non tardarono molto i primi trionfi; e qualche strepitosa assoluzione ottenuta alla Corte d'Assise valse ben presto a dargli fama di valente oratore ed a porlo tra i primi avvocati della città.
Fu in quell'epoca pure eletto a presidente della Società Filarmonico-drammatica di Fiume, la quale società era in allora, e fu sempre dipoi, vera facina di italianità. Saggiamente da lui diretta, la Società si ebbe uno slancio novello e, intensificata la propria attività, divenne il fulcro della vita cittadina. E fu bene a proposito.
Il governo ungherese invero, tanto largo e benevolo sino allora di appoggi alla cittadinanza fiumana, della quale riconosceva la schietta italianità, sicchè le accordava ogni più ampia autonomia, stava cambiando tattica; e con l'introduzione di norme nuove attentava all'integrità nazionale della terra di San Vito.
Le autorità locali di quel tempo, ligie ai sistemi del passato, sembravano voler lasciar correre.
Insorse allora Michele Maylender, e, facendosi interprete del sentimento comune, organizzò il partito autonomo, dandogli per compito e programma: la difesa della autonomia di Fiume: vale a dire la difesa della italianità di Fiume. E ingaggiò la lotta col governo centrale.
Lotta aspra e difficile invero. Nel 1897, avendo avuta il Partito Autonomo nelle elezioni amministrative la maggioranza, Michele Maylender veniva per la prima volta, ai 19 di febbraio, eletto podestà. Ma quando il governo centrale nel novembre dello stesso anno ebbe a introdurre in Fiume senza nè chiedere nè ottenere il voto consultivo del Consiglio Comunale leggi lesive degli antichi diritti municipali, in segno di protesta Michele Maylender dava le dimissioni dalla sua carica, seguito in ciò da tutto il Consiglio.
Procedutosi a nuove elezioni, il 10 gennaio 1898, Michele Maylender, che aveva capitanato il suo partito alla vittoria ed aveva visto stringersi intorno a sè fiduciosa l'intera cittadinanza, veniva di nuovo proclamato podestà. In cospetto allora del rappresentante del Governo Centrale, Michele Maylender, rifiutava di prestare giuramento, sino a tanto che le leggi abusivamente introdotte non fossero state tolte. Il 12 gennaio si procedeva a nuove elezioni e per la terza volta veniva eletto a podestà il Maylender, il quale, tra entusiastici applausi di popolo, rifiutava il giuramento. Fiera e nobile resistenza! Il Consiglio veniva di conseguenza sciolto. Ma le nuove elezioni ridavano più assoluta la vittoria al partito autonomo, che, nella seduta del 28 aprile di nuovo acclamava, per la quarta volta, il Maylender a sindaco. Altro rifiuto solenne di chinare il capo di fronte alla prepotenza straniera.
Il Governo centrale ricorse allora e invano a subdole manovre. Nella nuova seduta del 4 maggio 1898, per la quinta volta usciva vittorioso dalle urne il nome di Michele Maylender: superbo trionfo della coscienza cittadina, forte solamente del suo diritto di fronte all'armata tracotanza avversaria. Sciolto di nuovo e soppresso il Consiglio Comunale, la lotta continuò fuori.
Michele Maylender ne fu l'anima.
Egli creò allora il giornale «La Difesa» che, perseguitato dal Governo, veniva stampato clandestinamente e diffuso di nascosto.
Tre anni durò l'impari lotta. Ma la volontà cittadina trionfò e sceso il Governo a più miti consigli furono stipulati i concordali, pei quali, salvaguardandosi le prerogative autonome della città, si garantiva il pieno sviluppo del libero Comune italico.
Si fu allora che, indette dopo il lungo intervallo le elezioni, Michele Maylender veniva acclamato tra l'entusiasmo generale per la sesta volta podestà di Fiume, Tenne per quasi un anno la carica sino a che, sorte beghe e dissidi interni, preferi ritirarsi a vita privata, conscio che la sua missione, col trionfo delle libertà cittadine, era compiuta. Aveva combattuto pel trionfo d'una idea; le pure competizioni di parte non potevano trovarlo consenziente.
Visse per lunghi anni, più precisamente sino a tutto il 1910, ritirato completamente dalla vita pubblica, dedito unicamente ai suoi studi letterari ed alle cure della sua professione: ma pronto però sempre ad intervenire in difesa dei diritti municipali e ad interporre una parola di consiglio, oppure la sua valida autorità qualora le contingenze lo richiedessero.
Si ripresentò nell'agone politico, chiamatovi dalle insistenze dei suoi fedeli, nel 1910. Era allora la città più che mai stanca degli interni dissidi che la affliggevano. Michele Maylender volle, cessate le aspre rivalità, fossero volti gli sforsi comuni unicamente al risorgimento morale ed economico della città. E, sempre fedele alla linea di condotta tenuta, propugnò un programma di intesa col Governo Centrale, nel senso che, riconosciuti e confermati i diritti di libero comune italico, venissero d'altro canto concordati e concessi alla città quei benefici economici ch'erano necessari al suo rifiorire. La sua parola fu allora ascoltata. Eletto, l'8 giugno 1910, a grande maggioranza deputato al Parlamento, si dava tutt'uomo a realizzare il vasto programma disegnato, riuscendo ben presto ad ottenere, in favore della città nativa, provvedimenti e concessioni numerose. Nell'assemblea parlamentare il suo valore fu ben presto apprezzato, sicchè venne eletto membro di varie deputazioni. Egli prese ripetute volte la parola nell'assemblea in merito alla introduzione a Fiume di nuove leggi, sostenendo a viso aperto la difesa della lingua italiana, come unica lingua ufficiosa. Inteso così ogni suo sforzo al compimento del mandato assuntosi, non curò nè punto nè poco gli attacchi personali, e un'aspra campagna denigratoria di cui fu oggetto da parte di una fazione cittadina. Ma, tutto dedito al suo compito, resistette e non curò neanche la di già malferma salute. La morte lo colse improvvisa, nell'atrio del Parlamento ungarico, mentre appunto si recava a sostenervi i diritti della sua città natale. Fu il 9 febbraio 1911. Aveva 48 anni.
Dinanzi alla sua bara tutti gli odi tacquero; e Fiume intera si commosse e, compresa del sacrificio del suo figlio migliore, caduto sul posto del combattimento con fisi gli occhi alla meta agognata pel bene della patria, si chinò riverente al passaggio della sua salma, tributandogli imponenti onoranze funebri.
L'opera letteraria di Michele Maylender.
Di Michele Maylender, oltre alla tenace e patriottica opera politica che le future generazioni e la storia imparziale sono ormai chiamate a giudicare, resta l'opera letteraria. Non molto si può dire dei suoi scritti minori che, per la frammentarietà con cui videro la luce, perdono forse oggi della loro importanza. Non possono tuttavia non venire ricordate pel loro valore le seguenti monografie storiche di varia mole:
Galera Pontificia catturata a Fiume nel 1843;
Ser Nicolò Drappieri ambasciatore d'Ancona al Capitano di Fiume. In «Difesa» del 1898.
Il brigantaggio nelle adiacenze di Fiume intorno al 1762. In «Difesa» del 1900.
Frammento di racconti (1509). In Difesa del 1898.
Pagine Fiumane. In « Difesa » del 1899.
Del Vescovado di Fiume. In « Difesa » del 1900. E le seguenti monografie di indole letteraria:
Di Paolo Bagollardi da Fiume, medico e filosofo del secolo XV. In « Difesa » del 23 ottobre 1898.
Sull'Accademia flumana. In « Difesa » del 1899.
Di Faunio Funarlo pastore Emonio (Antonio Franul di Veisenthurm da Fiume).
In Difesa del 1900. Ma l'opera sun precipua e di utilità generale per gli studiosi ci è data dai cinque grandi volumi nei quali raccolse, con diligente studio e grande amore, quante più notizie gli fu dato di rinvenire sulle Accademie italiane, florite in Italia ed all'estero.
Come sorse nella sua mente l'idea di tale lavoro? Nella sua qualità di presi- dente della Società Filarmonico-Drammatica egli ebbe invero agio di constatare l'utilità materiale e morale di queste società o accademie, come un tempo si chiamavano, e l'importanza dello influsso da esse esercitato sulla vita cittadina. Si fa allora che disegnò di tenere, in una solennità del sodalizio, una conferenza, col proposito di far rilevare l'importante funzione sociale che a società del genere è affidata. La vastità però della materia lo sgomentò e, abbandonato il primo progetto, procedette invece alla compilazione d'una monografia dal titolo: «Le Società Filarmonico-Drammatiche come mezzo di educazione morale e intellettuale» (Fiume 1893), che poi lasciò a mezzo e ripudiò. Infatti lo studio più profondo dell'argomento l'aveva fatto risalire alla origine degli istituti dei quali andava dimostrando l'importanza: e si trovò a trattare Delle Accademie e della loro funzione. Era il tema che un riminese, il Garufti, aveva tentato nel secolo XVIII. Molte le difficoltà da superarsi, dovute sopratutto alla scarsezza dei dati sulasi stenti, ed alla frammentarietà delle storie delle Accademie sino ad oggi compilate.
L'amore ingenito per la letteratura italiana fece si che egli ben presto prendesse vivo interesse all'argomento e formasse il pensiero di scrivere «La storia delle Accademie d'Italia».
Sono in proposito importanti alcuni brani di un suo lavoro informativo, rimasto dipoi incompleto, e pubblicato negli anni 1899-1900 sul giornale « La Difesa » Giova riportarli qui testualmente a mostrare come maturasse il proposito.
Egli scrive: Difesa Anno 1, (N° 21, Mercoledì 22 Agosto 1900)
"...Una storia universale o generale delle Accademie d'Italia non è stata finora nè scritta nè - a quanto mi consta - nessuno è dietro a compilaria. Il motivo di questa lacuna nella storia particolare della letteratura italiana io l'attribuisco anzitutto alla poco buona fama che la istituzione accademica godeva nell'ultimo. periodo della sua esistenza ed alla poca importanza che all'Accademia concedono gli scrittori e gli eruditi. Dal lato oggettivo poi. la circostanza che a nessuno venne in mente di tessere la storia delle Accademie io la spiego appunto colle difficolta gravi, e col dispendio congiunto coll'acquisto del materiale e colle ricerche.
Come tutte le manifestazioni dell'umana attività, come tutte le istituzioni, anche l'Accademia ebbe il suo periodo di fanciullezza, di sviluppo e fiorimento e di decadenza. Gli scrittori moderni avranno probabilmente avvisato l'Accademia dal lato del suo prostramento e degenerazione alla fine del secolo XVIII:
«io invece ne ho abbracciata l'esistenza intera, l'ho veduta nascere, prosperare ed intisichire e ne ritrassi quindi una impressione ben differente da quella sfavorevole che generalmente prevale e che io mi propongo naturalmente giusta mia possa di distruggere rivendicando a favore dell'Accademia il posto importantissimo che le spetta quale veicolo di cultura»
E ancora e più chiaramente e con simpatici accenni alla sua fatica, in «Difesa»: Anno III, N 28 ottobre 1900, dopo enumerate e criticate le fonti esistenti, lo scritto del Maylender continua:
...È questo tutto il materiale di cui può disporre chi volesse tessere una storia delle private Accademie. E questo tutto fu ed è appunto così poca cosa da scoraggiare dall'un canto coloro che intendessero di colmare questa lacuna della storia della letteratura italiana, e da stimolare d'altra parte i cultori delle lettere a completare ed estendere quello che altri hanno iniziato, tanto più in quanto che da sommi letterati e lettori fu lamentata in tempi andati la mancanza di un'opera che, con erudizione e ricchezza di notizie avvisasse l'istituzione delle private accademie dal punto di vista delle loro origini, sviluppo, attività ed influence nelle vicende generali della letteratura italiana. E qui trovo necessaria una premessa di cui avrei dovuto veramente valermi prima di iniziare la pubblicazione di questo modesto mio saggio sulle Accademie. Il giornale nel quale m'onoro di collaborare ha una missione politica. A Fiume, ed in generale nelle nostre regioni, politica cultura italiana corrono parallele non solo, ma il predominio della cultura italiana, la bellezza e ricchezza naturale della favella di Dante, la nobiltà del sentimento, del porgere, dell'agire, imponendosi a tutti, perfino agli avversari, contribuiscono. quasi di riflesso a far prevalere anche in politica se non per altro, per forza persuasiva del paragone — quell'elemento che segue questa nazionalità e cultura, che a loro difesa insorge, lavora, lotta."
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