mercoledì 8 novembre 2023

L'eccidio di Malaga Bala

Imprigionati, deportati, avvelenati, torturati ed infine tagliati a pezzi: fu questo il tragico destino di ben dodici giovani Carabinieri Reali, catturati nel 1944 dai partigiani comunisti sloveni e italiani alle Cave dei Predil, nell’alto Friuli.


I Carabinieri Reali, a quel tempo sotto il Comando tedesco, costituivano un presidio a difesa della centrale idroelettrica di “Bretto di sotto”, oggi territorio sloveno, che produceva energia per l’intera popolazione della vallata e per la miniera di Cave del Predil, appunto, situata a 10 chilometri da Tarvisio.


A loro era stato chiesto, dopo l’8 settembre 1943, di rimanere al loro posto, al fianco delle popolazioni, per assicurare la regolarità delle funzioni civili (ordine pubblico e polizia giudiziaria) e delle funzioni militari (protezione degli impianti industriali e di pubblica utilità).


La vigliaccheria partigiana delle bande armate comuniste in quel periodo si accaniva contro obiettivi militari tedeschi mediante agguati e attentati, ben sapendo che ciò avrebbe scatenato le rappresaglie naziste (consentite dai codici di guerra) contro le popolazioni civili.


Dopo aver subito gli attacchi dei “valorosi” partigiani comunisti, che prima si rendevano responsabili delle inevitabili rappresaglie e poi si davano alla macchia, il commissario germanico Hempel richiese al Comando militare la costituzione di un Distaccamento fisso di Carabinieri a protezione della centrale idroelettrica.


Il 23 marzo 1944 però i partigiani assassini di Tito misero in atto un piano criminale, volto a seminare terrore e a destabilizzare quei territori su cui il comunismo titino voleva estendere i suoi artigli, pianificandolo in due fasi.


Dapprima presero in ostaggio il Vicebrigadiere Dino Perpignano, comandante del distaccamento, e il Carabiniere Attilio Franzan, catturandoli mentre rientravano dal paese e si dirigevano verso gli alloggiamenti.


I due partigiani Ivan Likar, detto Socian, e Zvonko, costrinsero i due prigionieri sotto la minaccia delle armi a pronunciare la parola d’ordine all’ingresso del Presidio, riuscendo così a penetrarvi con facilità insieme agli altri comunisti assassini che nel frattempo avevano circondato la caserma.


Una volta entrati i partigiani catturarono tutti i Carabinieri, sorprendendoli in parte addormentati, e dopo essersi abbandonati ad un criminale saccheggio dei locali, li costrinsero a portare in spalla tutto il materiale trafugato (armi, munizioni, vestiti, cibo, attrezzi, e turbine) mentre a piedi si dirigevano verso la salita che conduceva al Monte Izgora (circa mille metri di altitudine), poi scendendo verso la Val Bausiza, e infine risalendo ancora verso l’altopiano di Bala, appena fuori Tarvisio.


I dodici Carabinieri furono così deportati nel luogo in cui avrebbero trovato la morte per mano assassina dei vili partigiani comunisti, dei quali ancora oggi le squallide Associazioni come l’Anpi ne commemorano le gesta, a ribadire il loro disprezzo per la Democrazia e i diritti umani.


La sera del 24 marzo 1944 i partigiani decisero di effettuare una sosta, e di pernottare sull’altopiano di Logie, (853 metri di altitudine), rinchiudendo i prigionieri in una stalla.


Quella sera la ferocia comunista e la vigliaccheria partigiana, che hanno sempre contraddistinto l’operato degli “eroici” fautori della cosiddetta “resistenza”, si manifestò con sadico cinismo.


Ai militari venne infatti servito un pasto caldo, costituito da un minestrone nel quale era stata aggiunta soda caustica, varechina e sale nero, nella consapevolezza che i prigionieri affamati avrebbero inconsciamente mangiato tutto ciò che era nel piatto.


Il minestrone avvelenato fu preparato dalle donne della famiglia di Lois Kravanja (Cravagna), uno dei partigiani del commando criminale, composta esclusivamente da elementi comunisti titini, ben felici di esprimere così il loro odio irrazionale e sadico.


Dopo breve tempo i Carabinieri avvelenati iniziarono a contorcersi dal dolore fra atroci spasimi, urlando e implorando i loro carnefici in una lunga agonia che si protrasse per diverse ore.


Il mattino seguente, il 25 marzo 1944, nonostante il fatto che i prigionieri fossero stremati dalla dissenteria provocata dall’ingestione di sale nero e in preda a dolori lancinanti causati dall’azione necrotica della soda caustica, che nel frattempo aveva ustionato faringe, esofago e stomaco, vennero obbligati dai “valorosi” partigiani comunisti titini a marciare fra atroci sofferenze verso Malga Bala, la destinazione finale in cui sarebbero stati uccisi.


I prigionieri stremati e consumati dalla febbre, quasi tutti ventenni (e mai impiegati in altri servizi tranne quello a guardia della centrale, cui erano stati sempre preposti), vennero sottoposti allo sfrenato sadismo che caratterizza l’operato degli aguzzini comunisti.


Il Vicebrigadiere Perpignano venne afferrato per primo e spogliato, poi i partigiani gli conficcarono un legno ad uncino nel nervo posteriore di un calcagno, e lo issarono con una corda legata ad una trave a testa in giù, come se fosse un quarto di bue, infine non contenti gli squallidi assassini lo incaprettarono e lo finirono a calci in faccia e in testa.


L’incaprettamento, per chi non lo sapesse consiste nel legare mani e piedi dietro la schiena, facendo passare la corda attorno al collo e provocando lo strangolamento a causa dei movimenti dell’incaprettato stesso.


Nel frattempo gli istinti più selvaggi e brutali dei partigiani palesarono la loro indole criminale con comportamenti inumani, come quello di colpire i prigionieri con violente picconate su ogni parte dei corpi.


I macellai partigiani tagliarono i genitali ad alcuni prigionieri, ancora vivi, e glieli conficcarono in bocca, dimostrando un disprezzo che va al di là dell’umana comprensione e proseguendo la tortura mediante la frantumazione degli occhi e l loro asportazione dalle orbite.


Ad altri prigionieri venne aperto il cuore a picconate, oppure veniva cucita la bocca con filo di ferro dopo averli castrati.


Al Carabiniere Primo Amenici venne aperto il cuore per conficcargli dentro la fotografia dei suoi cinque figli che teneva nel portafoglio.


Dopo la feroce mattanza i Carabinieri furono legati col filo di ferro e trascinati come sacchi sotto un grande masso, e ricoperti sommariamente di neve.


I corpi straziati furono rinvenuti casualmente da una pattuglia di militari tedeschi della Wehrmacht la sera del 28 marzo 1944, e recuperati.


Oggi i resti mortali di queste vittime del comunismo partigiano riposano, nell’artificioso oblio imposto dai seguaci di Togliatti e dalla compiacenza politica istituzionale, nella torre medioevale della Chiesa a Manolz di Tarvisio, le cui chiavi sono custodite dalle suore di un vicino convento.


I resti di Dino Perpignano di Domenico Dal Vecchio, e di Antonio Ferro sono stati invece riportati nelle località di provenienza dalle rispettive famiglie.


Nel 2018 il Generale dell’aeronautica militare Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, oggi ultra ottantenne, ha ricordato l’eccidio testimoniando quanto segue:


 “Ero un ragazzino, avevo sette anni nel 1944. Ho visto quei corpi, ancora me li ricordo.

Stavamo passando da lì, appena fuori Tarvisio, con mio padre.

Eravamo sulla moto, io sul seggiolino dietro.

Non guardare, non guardare, copriti gli occhi — mi disse mio padre. Ma non lo ascoltai.

Erano ghiacciati, denudati, i lividi degli scarponi, forse li avevano finiti a calci.

Uno aveva ancora il manico spezzato di un piccone infilzato nel petto, un paio la bocca cucita con il filo di ferro”.






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