Gli Slavi pretendono che la desinenza ich in cui terminano tanti nomi di località e di famiglie istriane sia una caratteristica slava e perciò slavi tutti i nomi in essa terminanti e di origine slava tutti coloro che portano quei nomi. Tale pretesa è così universalmente accettata che né in Istria e tanto meno in Italia, si è mai pensato di dubitare che i nomi terminanti in ich sieno decisamente slavi e solo nei casi più assurdi si ammette che l’ich sia stata appiccicata come ad es. in Fabbrich, Mianich, Marinich, ecc.
Ora l’ich è una desinenza slava corrispondente al latino icus ma solo nella forma, diversa invece nella sostanza poiché l′ich slavo aggiunto a un nome dà ad esso valore diminutivo e anche vezzeggiativo mentre l’icus latino indica la pertinenza. Bisogna poi sottolineare che l'ich slavo è preceduto quasi sempre dal suffisso patronimico ov, ev cosicchè Zarevich, Alexievich, Petrovich indicano rispettivamente il «piccolo figlio» dello zar o di Alessio o di Pietro ecc. In latino invece l’icus aggiunto per es. a Italia, villa, magus dà italicus, villicus, magicus che significano fornito delle caratteristiche cioè appartenente all’Italia, alla villa, al mago. Va ora sottolineato che, tranne come detto sopra, l’ich slavo non ha altre applicazioni. Inutilmente cercherete nella Slavia nomi di località terminanti in ich, non ne troverete neppure nella vicina Slovenia né nella Val d’Isonzo, qualche rarissimo in Dalmazia mentre si addensano in modo sorprendente proprio nell’Istria occidentale entro una larga fascia da Trieste a Pola, proprio in quella parte dell’Istria cioè dove più profonde e più inconfondibili sono le vestigia di Roma e di Venezia. È logico ora che questo fatto dia agli Slavi un argomento, che ha tutta la parvenza della inconfutabilità, a dimostrare che l’Istria, appunto perché così ricca di nomi di famiglie e di località terminanti in ich, è la più slava di tutte le terre slave di questo mondo assai più slava addirittura della Slovenia la quale se ha pochi cognomi in ich, non ha alcun toponimo uscente in quella desinenza!
Anzitutto va notato che le ich dei nomi istriani e dalmati sono o autentiche o posticce. Cominciamo da queste ultime. Ai preti slavi che nel secolo passato l’Austria aveva chiamato in Istria, era facile compilare una fede di nascita in latino (usando magari anche errate forme di ablativo) e portare cognomi come Micheli, Fabbri, Lauri, Marini alle forme Michelis, Fabbris, Lauris, Marinis: ed era il primo passo. In un secondo momento quei cognomi, trattati da impiegati pure slavi, diventavano senz’altro Marinich, Fabbrich, Laurich, Michelich. E quale contadino poteva avere argomenti da opporre a un prete prima e ad uno scrivano poi che in modo così elegante, giovandosi addirittura del latino, andavano alterando cioè slavizzando il suo cognome? E quale persona onesta potrebbe oggi non togliere questi cognomi dal patrimonio onomastico slavo e restituirli a quello italiano cui indiscutibilmente appartengono?
Questo per i nomi dalle ich posticce. Seguono quelli dalle ich autentiche, nomi di famiglie e di località e innanzi ai quali non si può non rimanere perplessi quando si considerino le loro radici le quali saranno tutto quel che si vuole tranne che slave. E raccogliamo gli esempi in tre gruppi:
1) Petrich, Marsich, Letich, Arich, Simich, Ostich, Cepich, Pavich, Mucich, Icich, Persich, Bursich, Sorich e Zorich, Sossich, Barbich, Diminich, Lovrinich, Gullich, Blasich, Zotich, Maurich, ecc.
2) Babich, Schaurich, Primch, Roghich, Gustich, Viscovich, Silich, Rusich, Bicich, Roinich, ecc.
3) Cociancich, Stanich, Motoancich, Resancich, Marsanich, Cancianich, Fabiancich, ecc.
Anzitutto osserviamo che gli stessi slavi, da sempre, tendono a pronunciare questi nomi in plurale e cioè essi stessi non dicono Cepich, Mucich, Icich ma Cépici, Múcici, Icici, ecc. ; in secondo luogo basta poco ad accorgersi che la radice di questi nomi o è italica o è grecanica o è barbarica ma assolutamente non slava; da ultimo osserveremo che i due ultimi gruppi di nomi qui citati ad esempio, sebbene non sembri, sono in realtà i più latini di tutti. Ma allora come spiegare l’autenticità delle ìch finali di tutti questi nomi? Già abbiamo detto che in latino colui che apparteneva all’Italia o all’Iberia era detto italicus, ibericus.
Per la stessa ragione abbiamo nomi come: Adriaticus, Veneticus, Histricus, Carnicus, Flanaticus (da Fianona), Tarsaticus (da Fiume), ecc. Una antichissima divinità adorata in Istria era Sexomnia Leucítica; in lapidi romane del I secolo d.C. troviamo nomi come Túrica, Zóticus, Patàlicus o Pantàlicus; in altre lapidi romane del III e IV secolo d.C. troviamo nomi come Bóicus, Làmbicus, Bàlbica, Névica, Flaémica; in documenti istriani dell’alto Medio Evo troviamo nomi come Dominicus, Cancianicus, Mauricus, ecc. Ora, come per indicare che uno apparteneva alla città di Pola lo si dicevi polaticus e veneticus se apparteneva alle genti venete, così uno che, figlio o servo, apparteneva alla famiglia di Zotus era detto Zóticus, ed una della famiglia di Nevius era detta Névica, ed uno della famiglia di Cancianus era detto Cancianicus.
E come oggi ancora in Istria, per indicare i membri della famiglia per es. Maraston o Bibalo, si dice i Marastoni, i Bibali, così per indicare in complesso la famiglia di un tale Caepius o Mucius si diceva i Cépici, i Múcici proprio come ancora oggi gli stessi slavi nativi dell’Istria tendono a pronunciare questi nomi senza troncare cioè in essi la i finale ! Ed ecco gli altri nomi (da noi citati nei due primi gruppi) in quella che doveva essere la loro forma primitiva e, in parentesi, il nome originante:
Pétrici (Petrus), Màrsici (Marsus), Létici (Laetus), Arici (Arius), Símici (Simius), Óstici (Ostius), Pàvici (Pavus), Ícici (Icius) Pérsici (Persius), Búrsici (Bursus), Búrici (Burus), Sórici (Sorus), Sóssici (Sossus), Bàrbici (Barbus), Dimínici (Diminus), Lovrínici (Laurinus), Gúllici (Gullus), Blàsici (Blasus), Zótici (Zotus), Màurici (Maurus), Bàbici (Papius), Scàurici (Scaurus), Prìmici (Primus), Róghici (Trogus), Gústici (Augustus) Víscovici (Episcopus), Sílici (Silius), Rúsici (Drusus), Róinici (Rufinus), Bícici (Bicius).
Aggiungeremo che alcune di queste forme primitive subirono delle alterazioni, foneticamente assai logiche, nonché delle aggiunte e così per es. Símici si contrae in Simci cui, o per eufonia o per vezzeggiativo o per voluta slavizzazione si appiccica una ich: Simcich. Così Laurinus, Laurínici, Laurinci, Laurenci, Laurencich. Sórici si contrae e poi si tronca in Sorch. Interessante è la derivazione di Primus: Prímici, Primch, Prinz. Scaurici (da Scaurus) si palatizza, arieggiando una forma tedesca, e diventa Schaurich. Bàbici diventa Bàici e Baicich.
Per intendere invece il terzo gruppo dei nomi noi citati è necessario ricorrere al seguente classico esempio. Dopo le invasioni dei barbari, i popoli dell’ex impero romano non sentono più di potersi chiamare romani bensì soltanto un qualche cosa di simile, di approssimativo: non più romani ma romanici, poi romanci e oggi romanzi. Allo stesso modo i nomi del nostro III gruppo: Sextus (poi Sistus) era il padrone di un podere (praedium) e questo podere, per distinguerlo dagli altri, lo si chiamava, dal nome del proprietario, Sextanum (Sistanum) come Ancarianum (Ancarano) da Ancarius, Mummianum (Momiano) da Mummius, Stronianum (Strugnano) da Stronius, Paulinianum o Pavonianum (Paugnano) da Paulinus o Pavonius ecc. Ed ecco che per indicare gli abitanti del Sistanum, padroni e servi, si diceva i Sistànici e poi Stànici. Allo stesso modo dal proprietario Cocceius abbiamo il Cocceianum e la famiglia dei Cocceianici che si contrae (come romanici in romanci) e diventa Coceianci, Cocianci, cui, per le ragioni viste sopra, si aggiunge una ich: Cociancich. Così Timótheus, Timotheànum, Motuanum, Motuanici, Motoanci; Rhesus, Rhesanum, (da cui il nome del fiume Risano), Rhesànici, Resanci; Marsus, Marsanum, Marsànici; Cantius, Cantianum, Cantianici; Fabius, Fabianum, Fabianici, Fabianci, ecc.
Si pensi ora agli Slavi che giungono in Istria e vengono a trovarsi innanzi a tutti quei nomi terminanti in ici: essi che posseggono la ich sono istintivamente, innocentemente portati a troncare l’ultima i di quei nomi. Essi cioè alla desinenza latina ici sostituiscono la loro desinenza slava ich il che è tanto più comprensibile se si considera che la ich slava ha un valore diminutivo, vezzeggiativo che si applicava molto bene a degli ormai poveri contadini di famiglie isolate nella campagna. Oltre a ciò gli slavi presero di peso nomi originali e li trattarono secondo la loro morfologia e così da Marcus, Gellius, Paulus, Faber, Blasus, ecc. vennero i rispettivi discendenti: Marcovich, Gelovich, Pavlevich o Pavlovich, Fabbrovich, Blasevich, ecc.
Lo stesso fenomeno che in Istria ha provocato tanti nomi in ici troncati poi in ich, lo si può osservare anche in Dalmazia e basteranno i seguenti pochi esempi:
Lucich (Lucius), Livich (Livius), Cladich (Claudius), Ciuvich (Cluvius), Gelich (Gellius), Galich (Gallus), Ciulich (Julius), Martich (Martius), Delich (Dellius), Pavlich (Paulus), Ursich (Ursus), Matich (Amatus); Radus, abbreviativo di Corradus, ha dato Radich mentre in Istria il diminutivo Corradino, Corradín si abbrevia in Radìn.
È nostra convinzione che quella della razza o nazionalità non sia una questione di nomi o di sangue ma unicamente di sentimento. Noi non siamo così ingenui da rinfacciare ad un Bernardi o a un Poletti o a un Lenaz il fatto che si sentano slavi per quanto il nome Lenaz, ad esempio, ricordi così stranamente quello del pretore romano M. Popilio Lenas citato da Livio nel XLI 14. Ed è per questa nostra convinzione che quasi ci fanno pietà coloro i quali si trovano a non possedere alcun altro migliore argomento da porre sulla bilancia delle “loro” rivendicazioni, se non un gioco anzi una frode di carattere onomastico.
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