Se si chiede ad un capodistriano quale sia lo stemma comunale della sua città si avrà una sola inequivocabile risposta, il “Sole raggiato”. I più informati aggiungeranno “di sedici raggi di uguale misura, otto serpeggianti alternati con otto diritti”.
Non è che la risposta sia proprio sbagliata, ma la realtà storica non è così semplice se non altro per il fatto che gli stemmi sono due in quanto al Sole va aggiunta la Medusa con pari dignità e rappresentatività, per tacere dello stemma più antico, le tre torri (vedi il sigillo del 1321) come a Trieste, Pola, Gorizia, Muggia, Grado.
Prendiamo pure il Sole ma entriamo subito in un labirinto inestricabile perché il sole che tutti conosciamo, vale a dire il disco antropomorfo, è un emblema risalente al 1920 o 1921, del quale si potrebbe addirittura fare il nome del disegnatore, o quantomeno ispiratore, il prof. Ranieri Cossar, insegnante di disegno nell’Istituto Magistrale, studioso di storia patria, d’arte, folclore e consigliere comunale. Questo è ben diverso degli stemmi solari del passato che non sono antropomorfi in quanto presentano non un disco ma la faccia di un putto o giovinetto senza contare il fatto che la raggiera viene rappresentata nei modi più disparati fino a scomparire del tutto restando, in un certo momento, solo la faccia con o senza la relativa capigliatura. La mitica Medusa non è stata comunque cancellata, non è stata tolta dalla chiave di volta del portale del municipio, ha continuato a comparire ancora su certe carte del Civico Museo e della Biblioteca Comunale, sulla bandiera del Circolo Canottieri Libertas, ha dato il nome ad una squadra giovanile di calcio.
Il periodo 1814 – 1918 esibisce la sola Medusa, simbolo di origine letteraria, retaggio della coltura umanistica ancora imperante. Rispecchia un mito molto diffuso nell’antichità, che compare a Capodistria nel fregio tipografico sul frontespizio della prima edizione a stampa degli Statuti cittadini comparsa nel 1668. Un simbolo che accompagna tutti i documenti amministrativi pubblici e privati, timbri e sigilli, in versioni che, diversamente da quanto avviene col Sole, non si discostano molto l’una dall’altra.
Dopo quanto successo nel 1945 con la fine della guerra, l’immagine della Medusa ha acquistato una valenza quanto mai significativa che, in rapporto a quanto accaduto, rispecchia fedelmente il mito, ovvero una delle diverse versioni con le quali il mito è stato rivestito fino dall’antichità, quella della cattiveria dei potenti ai danni di chi non può difendersi. La Medusa era una bellissima e timida fanciulla, adoratrice della dea Atena, che il rivale dio Apollo beffeggia stuprandola sotto gli occhi della dea. L’innocente, vittima due volte della prepotenza dei superni, viene trasformata per colpe non sue in un mostro anguicrinito, simbolo di un’ingiustizia plateale. Si pone spontaneo il parallelo con quanto successo ai danni della nostra civile città, della pacifica sua popolazione condannata a pagare per colpe non sue nel più duro dei modi, col maneggio non solo dei superni balcanici ma anche col benestare dei superni che stanno al di qua dell’iniquo confine, degli italioti calabraghe. Vedi Osimo.
Sottrattoci perfino il Sole raggiato, non resta che il simbolo della Medusa.
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