lunedì 30 ottobre 2023

La lotta della Dalmazia per la sua italianità


(Camera dei Deputati, n. 685, XVI Legislatura, Proposta di legge d’iniziativa del deputato Menia, 30 aprile 2008)


Disposizione per la concessione all’Associazione « Libero Comune di Zara in esilio » della medaglia d’oro al valor militare alla memoria dei suoi cittadini che in guerra e in pace hanno servito la Patria


Onorevoli Colleghi! – Riteniamo doveroso presentare anche in questa legislatura la seguente proposta di legge, in quanto l'attualità delle norme che detta è stata confermata proprio dal trascorrere del tempo, rendendo necessario un suo spassionato esame.

Napoleone, sconfitta l'Austria nel 1805 ad Austerlitz, con la pace di Presburgo aggregava la Dalmazia al Regno italico, e a febbraio dell'anno dopo il generale Mathieu Dumas, con un «proclama» ne dava l'annuncio: «Dalmati! L'Imperatore Napoleone, Re d'Italia, Vostro Re, vi rende alla Vostra Patria. Egli ha fissato i Vostri destini; il Trattato di Presburg garantisce la riunione della Dalmazia al regno d'Italia... Bravi Dalmati! Riempite i vostri destini, ripigliate il vostro Rango, quello degli Avi vostri fra le nazioni, mostratevi fedeli alla Patria comune, anelanti pel Servizio del Vostro Sovrano, sommessi alle Leggi sotto le quali Egli ha riuniti li Popoli d'Italia, come membri d'una sola Famiglia».

Nella pragmaticità della logica e della storia, Napoleone aveva ricostituito l'unità di quel bacino adriatico, già retaggio di Venezia, che per oltre quattro secoli aveva visto la simbiosi – storicamente consacrata dal motto: «Ti con Nu - Nu con Ti» che tutto esprimeva – delle genti di Dalmazia con la Serenissima.

Caduto Napoleone, l'Austria-Ungheria nei suoi cento anni di dominazione in Dalmazia perseguitò la lingua, la cultura, la tradizione di quelle popolazioni, favorendo – per gli interni equilibri dell'Impero – la componente croata.

Ma i dalmati erano italiani, e lo manifestavano partecipando ai fermenti, alle idee, ai propositi che maturavano nella Penisola. A Zara, nel 1822, l'Imperial-regio Governo sottoponeva all'Inquisizione di Stato venticinque aderenti alla Carboneria, altri venticinque vennero «adombrati» e sessantaquattro dichiarati «sospetti».

Nel 1848, i giovani delle città dalmate, all'appello di San Marco, passavano l'Adriatico e con Niccolò Tommaseo combattevano per la Repubblica di Venezia. Costituirono la Legione dalmato-istriana. Cinque caddero nella lotta.

Ma il 1848 significava anche Repubblica romana, e sei dalmati in armi furono presenti. Fra gli altri Federico Seismit-Doda, poi deputato al Parlamento italiano, Ministro delle finanze nel Governo di Benedetto Cairoli (1878) ed in quello di Crispi (1889-1890).

A Curtatone, come primo tenente del Battaglione «Bande Nere», combattè Marino Giurovich. Sarà fucilato dagli austriaci a Livorno quale promotore di moti mazziniani.

Ventuno furono i dalmati che nelle campagne del 1859-1860 s'arruolarono nell'esercito italiano o indossarono la Camicia rossa. Fra gli altri, Marco Cossovich, già tenente della Guardia Nobile alla difesa di Venezia, che combattè a Calatafimi e a Palermo. Uno dei pochi che Garibaldi ricorda nominativamente nel suo libro I Mille.

Nella terza guerra d'indipendenza, Giorgio Caravà, da Tenìn (Zara), comandò il 5° Reggimento Granatieri. Promosso generale divenne aiutante di campo di Re Umberto. Con lui, altri ventiquattro dalmati combatterono in quella campagna. Giovanni Ivancich, da Spalato, guardiamarina sul Re d'Italia, moriva a Lissa.


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Mentre nella penisola si chiudeva il ciclo risorgimentale, Zara doveva affrontare la lotta per la difesa della sua italianità. L'Austria, nel 1866, perduto il Veneto, vedendo sorgere un'Italia dove l'ansito unitario coinvolgeva e aggregava le popolazioni, e paventando ulteriori fermenti disgregatori nella compagine dell'Impero, iniziò la metodica snazionalizzazione di quanto d'italiano esisteva in Dalmazia.

Per Vienna fu una scelta politica di salvaguardia, ma nella quale si inserì la componente croata dell'Impero asburgico che intendeva aggregarsi la Dalmazia e, per la forza del numero, diventare la terza componente di quell'Impero che si era articolato nella duplice monarchia d'Austria e di Ungheria.

In quegli anni, inoltre, i croati, dopo secoli di acquiescente sottomissione all'Austria, cominciavano a ricercare una propria identità storica e, sotto la spinta dei nascenti nazionalismi europei, si richiamavano a lontani precedenti dell'alto medioevo per legittimare le loro aspirazioni sulla Dalmazia.

Aspirazioni che Vienna sfruttò sospingendo i croati a slavizzare la Dalmazia. Accontentandoli nel loro nazionalismo, sostanzialmente se ne serviva per coartare l'elemento italiano ritenuto – non a torto – preminente pericolo per l'Impero. Ma non consentì mai l'aggregazione della Dalmazia alla Croazia.

Primo obiettivo della pressione croata fu la conquista degli ottantasei comuni che intorno al 1870 erano retti da amministrazioni italiane, tradizionale espressione di comunità che, sin dai tempi di Venezia, erano state costantemente guidate da italiani.

Abbattere le amministrazioni comunali significava demolire le roccaforti dell'italianità consentendo ad austriaci e croati – ciascuno per i propri fini – di incidere sempre più sulla nazionalità delle comunità stesse.

Fu una lotta giornaliera, sottile, difficile, fra «annessionisti» croati ed «autonomisti» italiani, protrattasi sino alla prima guerra mondiale.

Per poter vincere le tenaci resistenze l'Austria modificò anche le circoscrizioni elettorali, aggregando alle città campagne e circondari. Ed i comuni, nell'arco d'una cinquantina di anni, nonostante ogni abnegazione, sarebbero caduti tutti, meno il comune di Zara.

Era indispensabile organizzarsi capillarmente per contrastare questa pressione. E gli zaratini strinsero le fila, costituendo società politiche, sportive, di mutuo soccorso, di cultura. Ciascuna divenne centro di resistenza, di irradiamento, ed anche di provocazione. Due anni dopo la presa di Roma, la «Società del tiro a segno di Zara» adottò la divisa del bersagliere italiano. E l'iniziativa entusiasticamente dilagò a Sebenico, a Spalato, nei più piccoli centri. Era una affermazione ed una sfida.

La lotta ebbe il suo arengo nella stampa locale dove – è bene ricordarlo – sino al 1880 circa i giornali croati venivano pubblicati in italiano. Sintomaticamente l'Avvenire di Ragusa, a chi gli rinfacciava di difendere le idee croate scrivendo in italiano, rispondeva che: «la università di quelli che leggono giornali nella Dalmazia ha bisogno di apprendere dall'italiano le verità slave», poiché non conoscevano altra lingua.

Nel 1866 a Zara vide la luce il Dalmata, organo del partito italiano che, fra sequestri e censure, continuerà la sua battaglia sino agli anni della prima guerra mondiale. Ed i croati gli opposero il Nazionale, stampato in italiano, con uno scarno supplemento in slavo. Si dovrà giungere alla fine del 1878 per leggere la nota redazionale: «Impiegheremo tutte le nostre forze affinché nelle nostre colonne a poco a poco sia esclusa anche una sola linea che non sia tutta nella lingua nazionale», cioè in serbo-croato.

Negli anni a cavallo del secolo venne combattuta l'altra battaglia, la più determinante: quella per la difesa della lingua. Nel 1890 Vienna aveva deliberato l'istituzione di scuole croate a Zara. E la popolazione, che immediatamente insorse in una memorabile adunata di protesta, si organizzò. Con l'aiuto della «Lega Nazionale», personalmente ciascun zaratino – anno dopo anno – contribuì all'apertura di nuove scuole, direttamente gestite, temendo che prima o poi negli imperial-regi istituti venisse meno l'insegnamento sino a quel momento impartito in italiano.

Nel 1899 a Zara fu fondata la «Società degli studenti italiani della Dalmazia», che divenne il braccio operativo del partito italiano. Così, di fronte alle autorità austriache, si potè giustificare la costituzione di biblioteche popolari, si potè – nel nome della cultura – invitare a Zara i più prestigiosi esponenti della Penisola come Innocenzo Cappa, Alberto Lombroso, Virginio Gayda, Giulio Caprin, Guido Mazzoni ed altri che, sotto lo schermo di un titolo letterario, nelle loro lezioni o nelle loro conferenze portavano alla città la voce della Patria.

Zara manifestava in tutti i modi la sua partecipazione alle vicende della Madrepatria e sentì come un dovere di essere presente a Roma con una propria rappresentanza alle onoranze funebri per la morte di Re Umberto. Dirà un rapporto della polizia austriaca che: «Anche in questa città (Zara) le manifestazioni di lutto furono nei giorni 8 e 9 corrente (agosto) importanti. Mentre nei primi giorni dopo il tragico avvenimento soltanto il Console italiano issò la bandiera con crespo di lutto a mezz'asta ed i sudditi italiani (cioè cittadini del Regno che abitavano a Zara) coprirono le loro abitazioni e locali d'affari con segni di lutto, una gran parte dei cittadini (cioè italiani cittadini austriaci) seguirono tale esempio nei giorni 8 e 9 e specialmente i negozianti delle principali strade, Calle Larga e Calle S. Maria, dove quasi tutte le vetrine dei negozi erano coperte da segni di lutto; mentre durante la Messa funebre nella Chiesa del Duomo al 9 corrente e durante tutto il giorno i locali erano chiusi». Espressioni di lutto, ma soprattutto manifestazioni d'italianità.

Nel 1909 Vienna imponeva l'uso della lingua croata negli atti ufficiali. Oltre cinquecento tra dirigenti e impiegati di Zara firmarono con il proprio nome e cognome un «Memoriale» di protesta – Sulla nazionalità italiana della Dalmazia – diretto al Ministro austriaco dell'interno.

E la sezione della «Lega Nazionale», in quell'anno, grazie al comune impegno degli zaratini poteva vantare, in difesa della lingua italiana, la gestione diretta di un collegio maschile, di uno femminile, di tre giardini d'infanzia, d'una scuola elementare mista maschile e femminile, e di una scuola preparatoria alle medie. Gli insegnanti venivano dalla penisola. Tessuto connettivo di queste realizzazioni, le sezioni «segrete» della «Dante Alighieri».

Con la lingua, per i dalmati era indispensabile salvare anche la tradizione di quella cultura per secoli appresa nell'università di Padova dove, annesso il Veneto all'Italia, era sempre più difficile accedere.

Così, tra gli studenti delle province italiane dell'Austria sorse prepotente la richiesta di una facoltà con insegnamento italiano nell'ambito dell'Impero. Vienna si oppose, e nel novembre del 1904 si ebbero i fatti di Innsbruck: dei centotrentasei studenti arrestati, sedici erano zaratini. Poi, i fatti di Graz e di Vienna con altri feriti ed arrestati.

Nel secondo decennio del secolo, con le guerre balcaniche, si sentì che qualcosa di nuovo, anche se ancora indefinito, stava maturando nell'Impero asburgico. L'impresa italiana di Libia e il forzamento dei Dardanelli sollevarono l'entusiasmo di Zara.

Quanto più l'Austria comprimeva l'italianità tanto più Zara, in una orgogliosa battaglia, anche se oramai di retroguardia, cercava di non perdere ulteriore terreno. E seguiva con sempre più morbosa sensibilità le vicende internazionali attendendo la denuncia della Triplice Alleanza da parte di Roma.

A Sarajevo, Gavrilo Princip esplodeva i suoi colpi fatali ponendo l'Europa di fronte a se stessa. Zara, in quel 1914, era l'unico comune ancora italiano della Dalmazia e visse nell'ansia e nel timore i mesi della neutralità dell'Italia. Ma venne il 24 maggio.

D'Annunzio, che sempre aveva inteso il travaglio di Zara, ora separata dalla Patria anche da un Adriatico divenuto ostile, volle portarle il saluto dell'Italia. Pianificò un volo sul cielo di quella città, da lui battezzata «La Santa», per lanciarle un messaggio. Ma l'impresa non potè aver luogo. Alcuni giorni prima della partenza il pilota prescelto per portare il Comandante su Zara perdette la vita in un incidente di volo.

In quel «Messaggio» il Poeta scolpiva l'animo della città. «Chi più di te fu coraggiosa e costante, fedele e disperata, nella lotta d'ogni giorno? Noi lo sappiamo. Noi ce ne ricordiamo. Il popolo di Zara solo contro tutti, negato dalla Madre e senza lamento contro la Madre, ha salvato il Comune italiano, ha preservato la figura della nostra più antica dignità. Nella Dalmazia latina, da schiatte barbariche iniquamente invasa e usurpata col favore imperiale, il popolo di Zara ha salvato e confermato il glorioso Comune italico. Ha mantenuto nel suo pugno il fermento della nostra più antica libertà... Queste parole che ti gettiamo dovrebbero essere un canto, perché solo il canto è degno di avvicinarsi alla tua virtù ed al tuo martirio».

Si può dire che la città, anche se allora non conobbe il «Messaggio», ne interpretò lo spirito con i suoi centoquarantun giovani che, attraversato l'Adriatico, volontari nell'esercito italiano, vestirono il grigio-verde. Altri trentanove, costretti nell'esercito asburgico, attesero di essere sulla linea del fronte e, sul Carso, passarono i reticolati. Meno uno, freddato dal fuoco austriaco nella terra di nessuno. Disertori dall'Austria combatterono con i fanti di tutti i comuni d'Italia. Caddero diciannove dalmati, e dodici erano zaratini. Una medaglia d'oro al valor militare, quella di Francesco Rismondo – l'«Assunto di Dalmazia» – nove medaglie d'argento, otto di bronzo, premiarono il loro valore.

Il 4 novembre 1918, Zara redenta – unica fra tutte le città della Dalmazia – divenne italiana. Non le altre città, perdute nel naufragio della diplomazia italiana durante la Conferenza della pace. A Versailles, Roma non seppe farsi riconoscere dai suoi stessi alleati i diritti che le derivavano dalla cambiale sottoscritta nel 1915 con il Patto di Londra e che aveva onorato con 680.000 morti. La diplomazia italiana naufragò ancora nei negoziati diretti con i rappresentanti del nuovo Stato dei serbi-croati-sloveni, e venne firmato il Trattato di Rapallo.

Zara, che per secoli era stata la capitale della Dalmazia, ora redenta, veniva avulsa dal suo naturale circondario, ristretta in un territorio che superava appena la cinta delle mura. Rimase fedele alla propria storica tradizione e, fra le due guerre mondiali, proseguì nella missione di guida e di riferimento per gli italiani di Dalmazia rimasti al di là della sua breve frontiera.

Provincia d'Italia, partecipò fattivamente alla vita della nazione. Sentì, come impegno morale verso quei 680.000 fratelli che vent'anni prima avevano sacrificato la loro giovinezza per redimerla, di dover rispondere all'appello quando la Patria fu nuovamente in armi. Sei furono i suoi caduti nella campagna d'Etiopia; tre medaglie d'argento e cinque di bronzo le ricompense conquistate. Altri sei zaratini caddero sui campi di Spagna, nella crociata per la difesa della civiltà europea; cinque le medaglie d'argento, due quelle di bronzo.


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Venne l'ultima guerra, e la tragedia esaltò la storia di Zara.

Cittadina di 22.000 abitanti, unica fra tutte le città d'Italia assediata per più giorni durante la campagna contro la Jugoslavia, resistette. Nel contrattacco passò il confine.

Nel corso della conflagrazione, attraverso le classi di leva, i richiami, i volontari, con i suoi 3.500 combattenti dette un tributo di 324 caduti; più del 9,25 per cento della forza alle armi.

E l'Italia ricompensò questi combattenti con otto medaglie d'oro al valor militare, con quarantuno medaglie d'argento, con cinquantadue medaglie di bronzo, con centoquindici croci di guerra al valor militare.

A questo sacrificio, a questo eroismo, purtroppo sterile, si aggiunse l'olocausto della popolazione civile.

Quando le vicende della guerra si appalesarono chiaramente favorevoli alle potenze alleate, Tito chiese che Zara divenisse obiettivo dei bombardieri anglo-americani. E convinse gli alleati che quel piccolo centro con un porto ben limitato fosse un determinante centro logistico per le divisioni tedesche nei Balcani.

Gli Alleati gli credettero: dal 2 novembre 1943 al 31 ottobre 1944, sarebbero apparsi 54 volte nel cielo di Zara. La città, indifesa, fu letteralmente distrutta nell'82 per cento delle sue abitazioni; quanto restava era gravemente danneggiato. Tito, con l'inganno, aveva perfezionato la secolare aspirazione croata. Era stato annientato anche l'ultimo baluardo della italianità sulla costa orientale dell'Adriatico.

Sotto quei bombardamenti non fu possibile annoverare i morti. Probabilmente duemila persone perdettero la vita. Ma il silenzio di un'Italia prostrata dalla guerra perduta coprì tanto sacrificio. Fu anche dimenticato che a Zara un prefetto, Vezio Orazi, e un capo della provincia, Vincenzo Serrentino, erano stati uccisi dai partigiani titini.

A Parigi, alla Conferenza della pace, nessuno ricordò tanta tragedia. Neppure a Norimberga.

Quando, nel 1947, il diktat sanzionò definitivamente la sorte della città, i pochi zaratini ancora abbarbicati alle macerie abbandonarono le rovine delle loro case scegliendo la via dell'esilio. Troncarono le loro stesse radici, e coscientemente lo fecero, perché essendo italiani e liberi tali vollero rimanere.

Esuli in Patria, donarono ancora all'Italia la vita del giovane Pierino Addobbati, colpito a morte dalla polizia alleata a Trieste, quando la città giuliana era contesa.

Perseverarono nella dedizione, e l'Italia concesse a due zaratini, ufficiali dell'Arma dei carabinieri, le massime ricompense: al capitano Enrico Barisone, ferito nella lotta contro il banditismo sardo, la medaglia d'oro al valor militare; al tenente colonnello Antonio Varisco, abbattuto a Roma dal terrorismo rosso, la medaglia d'oro al valor civile.


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Superato il primo travaglio dell'esodo, negli zaratini sorse naturale l'istinto di ritrovarsi, e i superstiti nella solidarietà del dolore cementarono la nuova comunità.

Il 20 settembre 1953, per la prima volta dopo la diaspora, sull'onda di una emotività non contenuta, convennero a Venezia, nella loro città-madre. Fecero il contrappello dei sopravvissuti e l'appello dei morti.

Da allora, ogni anno, quegli esuli dispersi nei tanti comuni della Penisola e all'estero si riuniscono in un raduno nazionale. Ma subito avvertirono che al loro ritrovarsi mancava uno scopo. Sentirono che la comunità non poteva essere la semplice somma di tante presenze e di soli ricordi. Sentirono di avere in sé una forza viva, vitale per dimostrare ancora la propria identità. Idee, propositi, che si plasmarono nella ricostituzione del loro comune.

Era il 1958, e nel raduno di Napoli, nella sala dei Baroni al Maschio Angioino, gli zaratini, dopo aver solennemente dichiarato che il comune «si afferma e si incardina soprattutto nella libera volontà unanimemente espressa dai cittadini» e di volere, «forti del diritto millenario della stirpe.... mantenere intatta la tradizione municipale», plebiscitariamente deliberarono la costituzione dell'Associazione «Libero Comune di Zara in esilio».

Perfezionata formalmente la deliberazione, per ricomporre «la unità municipale di un libero comune italico» per «mantenere fra i cittadini associati gli antichi vincoli di concordia civica, continuando in Patria il culto delle tradizioni cittadine» per «rivendicare in nome della storia e della cultura italiana della Dalmazia, il diritto ad un libero plebiscito per il ritorno alla Patria dei padri», il 29 settembre 1963, nelle sale del Palazzo ducale di Venezia elessero il loro primo sindaco.

La forza spirituale di questo comune, senza territorio – ma con il suo sindaco, la sua giunta, i suoi consiglieri e con la sua anagrafe –, che riviveva nel solco della storia della città, ha dato un senso alla loro condizione di esuli in Patria.

Però, in un'Italia dominata «non tanto dalla cultura comunista, ma da quella pseudo-cultura che – come aveva affermato Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica, – ci è stata propinata per quarant'anni in modo egemonico come cultura democratica», al nome di Zara spettò l'ostracismo.

Quale non fu la trepidazione quando, per la prima volta a un raduno nazionale degli alpini, e subito dopo dei bersaglieri, quasi di soppiatto, i reduci di Zara vollero sfilare alzando l'azzurro striscione dove campeggiava la scritta: «Morti o vivi i Bersaglieri (gli Alpini) di Zara - Pola - Fiume sono qui presenti». Ignorati dalla televisione, imbarazzati i Ministri e le autorità, quegli striscioni con il loro messaggio furono – e lo sono tutt'ora – accolti dall'applauso istintivo del popolo.

Per decenni il comune lottò contro la burocrazia per far togliere dai documenti anagrafici dei propri cittadini quella «Yu» (Jugoslavia) che marchiava la nascita degli zaratini e degli altri italiani di Dalmazia. Grazie proprio al MSI-DN, e alla cosiddetta legge Pazzaglia, furono finalmente liberati da una errata qualificazione che li offendeva.

Per superare in qualche modo l'ostracismo, per far conoscere la propria presenza in modo più duraturo, il comune fece incidere il nome di Zara sul marmo di quelle lapidi che riusciva a murare creando o sfruttando i momenti. Una fu collocata al porto di Ancona, a ricordo dei legami delle due città dirimpettaie. Un'altra fu scoperta nella Piazzetta Dalmatica del Vittoriale a Gardone Riviera, dove Gabriele d'Annunzio ha voluto conservare la prua della Regia Nave Puglia. Curiosità quasi incomprensibile per gli italiani di oggi. Per gli esuli, sacrario alla memoria del comandante Tommaso Gulli e del suo motorista Aldo Rossi, caduti su quella tolda per mano croata, il 12 luglio 1920, quando la nave si trovava a Spalato. A Torino, è stata collocata una lapide sulla casa dove aveva abitato Niccolò Tommaseo.

A Rosolini (Siracusa), città natale di Vincenzo Serrentino, il comune consacrò nel marmo il ricordo dell'ultimo rappresentante ufficiale dell'Italia a Zara, ucciso dai titini, e ad Ercolano, nella scuola dove insegnava, si trova il ricordo del sacrificio del professor Vincenzo Fiengo soppresso a Zara dai partigiani. Un cippo venne eretto a Monte Zurrone – dove sono ricordati i caduti senza croce - alla memoria dei tanti anonimi figli di Zara scomparsi nella tragedia della guerra.

Nel culto dei propri morti il comune costituì il «Madrinato Dalmatico», affidando alla pietà di un comitato femminile l'onere di salvare dalla distruzione il plebiscito d'italianità e di storia espresso dalle lastre tombali nel cimitero di Zara.

La città amava ed ha sempre amato il soldato d'Italia che l'aveva redenta, ed il comune in esilio, interpretando l'immutato sentire dei propri cittadini, con l'apprezzato consenso degli stati maggiori, ha consegnato le azzurre drappelle con i tre leopardi al 22° Battaglione carri che, nell'araldica del proprio stemma, racchiude quello di Dalmazia.

Ha gemellato, durante una particolare cerimonia, la nave San Marco della marina militare che si fregia del motto dalmatico «Ti con Nu – Nu con Ti».

Ha concesso la cittadinanza onoraria della città ai reduci del comando truppe, poi divisione, «Zara» ed ai reduci del battaglione Bersaglieri «Zara». Al raduno nazionale dei Bersaglieri di Asti, al gonfalone del comune di Zara in esilio furono resi gli onori militari, poiché il battaglione Bersaglieri «Zara» era nato dal 9° reggimento, che aveva la propria sede ad Asti.

Gli zaratini, consci che la loro identità è – e sarà – parte della storia d'Italia, anche quando i protagonisti di questi eventi non esisteranno più, attraverso il comune ed il loro giornale, lo Zara, con personale contributo di tutti e di ciascuno, a Venezia, presso la chiesa dei Santi Giorgio e Trifone, dove sin dal 1451 ha sede la «Scuola Dalmata» voluta dalla Serenissima, hanno ristrutturato un intero stabile trasformandolo nel loro museo-archivio. E lì, con documenti, libri, cimeli donati dagli esuli stessi vive la incontrovertibile testimonianza della loro storia, della cultura dalmata. Completa, in tal modo, l'altra testimonianza racchiusa negli undicimila volumi della biblioteca Cippico-Bacotich, conservata dalla gelosa cura del Senato della Repubblica.

Intorno al comune hanno gravitato le altre iniziative degli esuli. Ha rivisto la luce La Rivista Dalmatica, nata a Zara nel 1899, edita a Roma dall'Associazione nazionale dalmata che, con la regolarità dei suoi fascicoli trimestrali, dopo novantacinque anni di attività, si allinea oggi fra le più vecchie riviste d'Italia. È risorta la Società Dalmata di storia patria, fondata a Zara nel 1926, attiva a Venezia con le sue periodiche monografie, con le sue tornate di studio.

Gli zaratini, dal 1953, sono fra loro collegati dal periodico Zara, cui va il merito d'aver mantenuto vivo lo spirito della città, raggiungendo anche le comunità degli esuli all'estero, con le quali il comune mantiene un continuo contatto. A Sidney, a Brisbane, a Melbourne, dove si sono organizzate in circoli dalmatici, a Toronto in Canada, negli Stati Uniti, oltre ai concittadini in America Latina. Impegno non indifferente, che costituisce una delle attività più attentamente seguite dal comune.

Proprio nei giorni in cui insorgeva il conflitto serbo-croato, per la munificenza di uno zaratino, a Zara è stato consacrato il ricostruito santuario della Madonna della Salute, centro di devozione della città, integralmente demolito dai bombardamenti dell'ultima guerra.

Da Ancona, via mare e via terra sono state inviate a Zara centinaia di tonnellate fra viveri, indumenti, medicinali, raccolti dal comune. Gli esuli, umanamente sensibili, superando ogni barriera politica e la tragicità di ricordi sofferti in prima persona, hanno inteso soccorrere quanti si trovano nella loro città, nuovamente martoriata da una guerra.


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Nel 1992, a settembre, gli zaratini si sono riuniti ad Assisi nel loro 38° raduno nazionale. Hanno riconfermato come loro sindaco lo «stilista» Ottavio Missoni, nato a Ragusa, educato a Zara. Su sua proposta l'assemblea dei cittadini, nella città del Santo patrono d'Italia, ha approvato un documento che facciamo nostro.

Dopo aver ringraziato l'allora Presidente della Repubblica Cossiga, per le parole pronunciate sull'incrociatore Garibaldi; dopo aver ricordato il travaglio della città nella sua storia, la tenace fedeltà all'Italia dei suoi cittadini, il loro apporto in pace ed in guerra; dopo aver espressa la sentita gratitudine alla Patria per le ricompense al valore individualmente concesse ai propri figli che nel combattimento hanno esaltato il proprio credo, ha chiesto: «che il Governo italiano voglia ricordare anche il sacrificio dei tanti militari e civili anonimamente caduti, soppressi, dilaniati dalle bombe, annegati, fucilati, con la concessione di una medaglia d'oro cumulativa "alla memoria" della città di Zara che, nel travaglio coscientemente affrontato in nome della Patria, ritiene di averne legittimamente titolo».


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Onorevoli Colleghi!

Se un Presidente della Repubblica si è inginocchiato davanti alla grande lastra tombale di Basovizza, onorando quei caduti senza nome troppo a lungo ignorati, siamo convinti che la Camera dei deputati, oggi, ben possa deliberare la concessione al comune di Zara in esilio di una medaglia d'oro «alla memoria» dei suoi cittadini che con il loro sangue hanno impregnato le macerie della città perduta in un patto che, confermando la storia, trascende gli eventi.


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I dati riportati in questa relazione sono stati ripresi, in particolare, dal volume Per l'Italia – Centocinquanta anni di Storia dalmata, che raccoglie quanto Zara ed i dalmati hanno dato all'Italia. Documentazione necessaria per valutare i momenti e le circostanze che presiedono alla concessione della massima ricompensa al valor militare.

Il volume è da considerare come essenziale parte integrante della presente relazione, e come tale viene parzialmente riprodotto in calce alla stessa per la necessaria e più completa conoscenza degli avvenimenti da parte degli onorevoli Colleghi.

Una copia del citato volume è stata già depositata nella scorsa legislatura, a cura dei proponenti, negli uffici della Segreteria generale della Camera dei deputati, ed altra copia, non appena la proposta di legge avrà completato il proprio iter, sarà trasmessa a cura dei proponenti alla commissione militare cui compete l'esame dei titoli per la concessione delle ricompense al valor militare.


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Onorevoli Colleghi!

Affidiamo alla Vostra sensibilità questa proposta di legge, che conferma alla nostra storia il sacrificio e la dedizione di una comunità che ha sempre onorato l'Italia.

 

Si allegano con il consenso dell'autore, avvocato Oddone Talpo, alcuni brani estratti dal volume «Per l'Italia – Centocinquanta anni di storia dalmata – 1797-1947», Editrice periodico Zara, Ancona 1987.



Parte prima


I FEDELISSIMI SCHIAVONI DELLA SERENISSIMA E L'ULTIMA DIFESA CON VENEZIA


1796 – La Serenissima, minacciata da Napoleone, chiama a raccolta le milizie Oltramarine. Convengono a Venezia 11.500 Schiavoni, al grido di "Viva San Marco! Viva il nostro Principe!".

6 luglio – Nelle vicinanze di Verona, un drappello di Schiavoni disperde un reparto di militi napoleonici. Il generale francese Massena protesta. Il Provveditore Foscarini disarma gli Schiavoni di stanza a Verona. Per protesta, uno Schiavone va in giro con in dosso il solo camiciotto. A chi, ironicamente, gli chiede se sentisse caldo, rispondeva: "No! ma finché Principe non darà mia arma, mi no voler so abito!".

Gli Schiavoni presidiano Vicenza, Padova, Poveglia. Al comando del dalmata Antonio de Galateo e del colonnello Giorgio Antonio Matutinovich, da Spalato, difendono il forte di Brondolo. Altri 4.000 sono schierati fra Fusina, Marghera e Campalto.

1797 – Gli Schiavoni, al comando del tenente Mazarovich respingono un tentativo dei francesi contro Salò.

17 aprile – "Le Pasque Veronesi". Con i cittadini combatte un reparto di Schiavoni ed i "soldati Oltramarini menano strage degli avversari". In soccorso di Verona giungono il generale Antonio Stratico ed il capitano Antonio Paravia, ambedue nativi di Zara, con altri Schiavoni.

Tre battelli da guerra francesi cercano di forzare il canale del Lido. Il conte Alvise Viscovich, da Perasto, al comando della goletta Annetta Bella abborda il Libérateur d'Italie. L'equipaggio dei perastini, "infierendo contro il nemico, menava strage completa". Fu l'ultimo combattimento della Serenissima sul mare.

6 maggio – Nella incertezza che pervade il Maggior Consiglio, Francesco Pesaro, Procuratore di San Marco, grida al Doge Ludovico Manin: "Tolé su el Corno e andé a Zara".

Nelle giornate dal 6 al 12 maggio, gli Schiavoni presidiano Venezia. Sono sui burchi pronti a sbarcare. Lungo la Riva vigilano 150 Bocchesi in armi.

12 maggio – Ultima seduta del Maggior Consiglio per deliberare sui "Da mò di Massima" (decreti). Si procede in una indescrivibile confusione. Manca il numero legale. Una scarica di fucileria, saluto a Venezia dei reparti Schiavoni che si stavano imbarcando, sconvolge i Patrizi. Al grido di "sia mandata la Parte" (votazione) le decisioni sono approvate.

In Piazza San Marco Bocchesi e Schiavoni, innalzano ancora una volta il Gonfalone della Serenissima.


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Gli Schiavoni venivano ingaggiati da ufficiali detti 'capo-leva'. Il contratto di arruolamento aveva la durata di sei anni. La statura minima per l'accettazione era di m. 1.62, e l'età dai 17 ai 40 anni.

Erano suddivisi in 11 reggimenti, contraddistinti dal nome del colonnello, o del centro di reclutamento più importante da cui provenivano gli effettivi.

Ogni reggimento era composto da nove compagnie, salvo quello di Signo. Ne aveva undici, per la maggior importanza del territorio di leva che comprendeva Signo, Spalato, Salona e Clissa.

Ogni reggimento era formato da 485 uomini, per cui ciascuna compagnia risultava di 54 militi. In tempo di guerra il loro numero era raddoppiato.

Per la formazione degli ufficiali degli Schiavoni Venezia aveva istituito a Zara, sin dal 1740, una Accademia Militare.



LA DEPOSIZIONE DELLE INSEGNE DI SAN MARCO IN DALMAZIA


A ZARA

Il 1° luglio 1797, verso le ore 15, alla Cittadella ed in Piazza delle Erbe, vennero ammainate le insegne di San Marco.

I vessilli, raccolti da due capitani, e con la scorta di alcune compagnie in armi, furono portati in Piazza dei Signori, dov'erano schierate le Milizie Venete.

Le insegne, affidate al sergente generale Antonio Stratico, furono prese in consegna da due colonnelli, uno dalmata ed uno veneziano.

Da Piazza dei Signori, fra il tuonare delle artiglierie, lungo la Calle Larga, seguite dai reparti in armi e dal popolo tutto, vennero portate nella Cattedrale di Sant'Anastasia, e poste sull'Altar Maggiore.

Narra Lorenzo Licini, testimone oculare, che "nel terminare della funzione ascese sulla detta ara il sergente generale Antonio Stratico, che con lacrime baciò le indicate venete bandiere, il che fu eseguito da tutti gli Offiziali nazionali [dalmati] ed italiani, al numero di 160; ai quali seguì quantità di popolo dell'uno e dell'altro sesso; e talmente delle lacrime rimasero bagnati i vessilli, come se fossero stati immersi nell'acqua, quali si conservano nella sacrestia".

 

A PERASTO

Il conte Giuseppe Viscovich, capitano di Perasto, deponendo nella chiesa le insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il popolo – era il 22 agosto 1797 – pronunciò il seguente discorso:

"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon della Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o Cittadini, che la nostra condotta passada, che quella de sti ultimi tempi rende più giusto sto fatto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu.

Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l'Europa che Perasto ha degnamente sostenudo fino all'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto.

Sfoghemose, Cittadini, sfoghemose pur, ma in sti nostri ultimi sentimenti, coi quali sigilemo la nostra gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto Governo, rivolgemose verso sta insegna che lo rappresenta e su de ela sfoghemo el nostro dolor.

Per 377 anni la nostra fede, el nostro valor, l'ha sempre custodia per terra e per mar, per tutto dove ne ha ciamà i so nemici che xe pur quelli della Religion.

Per 377 anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite, le xe stae sempre per ti, o San Marco, e felicissimi sempre s'avemo reputà. Ti co nu, nu co ti; e sempre con ti sul mar nu semo stati illustri e virtuosi. Nissun con ti n'ha visto scampar, nissun con ti n'ha visto paurosi.

Se i tempi presenti, infelicissimi per imprevidenza, per dissension, per arbitrj illegali, per vizj offendenti la natura e el gius delle genti non te avesse tolto dall'Italia, per ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la vita nostra, e piuttosto che véderte vinto e desonorà dai toi, el coragio nostro, la nostra fede se averave sepelio soto de ti.

Ma za che altro no ne resta da far per ti, el nostro cor sia l'onorata to tomba, e el più puro e el più grande to elogio le nostre lagrime".

Il conte Viscovich, deponendo le insegne, s'inginocchiò davanti all'Altare, e rivolto al piccolo nipote che gli era accanto, disse:

"Inzenocite anca ti; bàsile, e tiénile a mente per tutta la vita".



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CON NAPOLEONE PER IL REGNO D'ITALIA
1805-1814


IL PROCLAMA DI NAPOLEONE AI DALMATI


Il 19 febbraio 1806, il generale di divisione Mathieu Dumas lanciava da Zara il "Proclama" di Napoleone ai Dalmati.

"Dalmati! L'Imperatore Napoleone, Re d'Italia, Vostro Re, vi rende alla vostra Patria. Egli ha fissato i vostri destini; il Trattato di Presburg garantisce la riunione della Dalmazia al Regno d'Italia [...].

Bravi Dalmati! Riempite i vostri destini, ripigliate il vostro Rango, quello degli Avi vostri fra le Nazioni, mostratevi fedeli alla Patria comune, anelanti pel Servizio del Vostro Sovrano, sommessi alle Leggi sotto le quali Egli ha riuniti li Popoli d'Italia come membri d'una sola Famiglia".


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LA LEGIONE REALE DALMATA


Con decreto del 31 maggio 1806, dato da Saint Cloud, Napoleone costituiva una "Legione in Dalmazia" composta da quattro battaglioni, che porterà il nome di 'Reale Legione Dalmata'.

Metà degli Ufficiali venivano tratti dall'Armata d'Italia, l'altra metà dai nativi della Dalmazia.

I regolamenti di disciplina ed amministrativi erano gli stessi dell'Armata d'Italia.

I due primi battaglioni avevano il loro 'Consiglio d'amministrazione' (centro di reclutamento o deposito) a Zara; gli altri due a Spalato.

La Reale Legione Dalmata venne organizzata dal generale di brigata Milossevich.

La Legione, in seguito (8 gennaio 1808), prese il nome di "Reggimento Reale Dalmato" e partecipò alle campagne del 1809-1810 contro l'Austria; del 1812 in Russia; del 1813 in Prussia.

Il Reggimento fu sciolto il 18 agosto 1814.

(Omissis).

Seguono i nominativi degli ufficiali del "Reggimento Reale Dalmato".


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DALLA CARBONERIA AL RISORGIMENTO
1813-1847


I DALMATI E LA CARBONERIA


Le sette dei "Guelfi" e dei "Greci del Silenzio"

"Giuro al Dio degli Eserciti, ed a Te Sommo Terribile di tenere custodito nel profondo del mio cuore il segreto che io rilevo.

Giuro di prestare assistenza ed ajuto, tanto con la vita, quanto con le proprie sostanze a' miei Cugini.

Giuro di prestare ajuto a difesa per l'Indipendenza e Costituzione Italiana.

Ed in fine giuro di esterminare gl'inimici sotto pena di esser trucidato, ed il mio corpo venga dato alle fiamme e la mia cenere rimanga preda al vento, e così estingua ogni mia memoria".

(Giuramento della setta dei "Guelfi")


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"Lo scopo dei Carbonari è lo sconvolgimento e la distruzione di tutti i Governi.

Quello dei 'Greci del Silenzio' è lo stesso.

Quello dei 'Guelfi' è la liberazione dell'Italia dagli attuali Governanti".

(Da una "Relazione redatta dall'I.R. Presidente del Tribunale d'Appello della Dalmazia, in Zara, Giovanni Nepomuceno Vlach, per il conte Venceslao Vetter nobile di Lilienberg, Governatore della Dalmazia", 15 gennaio 1834).


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"La Setta dei Carbonari apparisce sia stata introdotta in Dalmazia alla fine dell'anno 1813 o al principio del 1814 dall'isola di Lissa, che si trovava allora sotto il Governo Britannico e che era l'asilo dei faziosi di varie nazioni, i torbidi progetti dei quali furono distrutti col cangiamento politico allora avveratosi.

Infatti li Vincenzo e Giulio fratelli Solitro di Spalato furono aggregati alla Carboneria in Lissa verso la fine del 1813, ivi ebbe le prime Comunicazioni Vito Nicolich da un Uffiziale Inglese, ed in quell'epoca a Lissa dimorava Pietro Gadola di Graz, che può ritenersi uno dei primi che in Zara abbia per questa Setta aggregato.

A Lissa, poi, nel 1814 si ridusse, per quanto sembra espressamente, per disseminare la Setta de' Carbonari, certo don Pasqual Cibotti da Casal Bordino vicino Pesaro, medico di professione, il quale è indiziato come l'aggregatore alla Setta medesima di Francesco Negretti, ora defunto. Ivi soggiornarono pure per qualche tempo anche li francesi Pinel ed Ippolito Bertrand, che si calcolavano avere idee esagerate dei sistemi francesi, ed essere Capi Massonici. Dicesi che in Ancona sia stato arrestato il Bertrand nell'anno 1818 come promotore di Sette.

Contemporaneamente apparisce dagli atti, che siensi sparsi per la Provincia anche degli emissari di questa Setta, mentre Antonio Franzoni negoziante da Venezia oltre all'aver fatto associare in Puglia Gio. Papali, procedente da colà, venne in sua compagnia a Zara, e vi fece, per quanto consta fino ad ora, due aggregazioni Carbonici; Gio. Menini da Barletta arrivò quasi contemporaneamente a Zara, ed è indiziato d'aver fatto degli aggregamenti Carbonici, delle associazioni alla Setta de' Greci, manifestando le ree tendenze contro il buon ordine e la tranquillità d'Italia".

(Dalla "Relazione dell'origine e dello stato dell'Inquisizione costruita in Zara contro la Società de' Carbonari" a firma del barone de Billemberg, consigliere – Zara, 9 settembre 1822).

(Omissis).

Seguono i nomi degli inquisiti sospetti Carbonari.


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PER LA DIFESA DI VENEZIA
1848-1849


LA LEGIONE DALMATO-ISTRIANA

La Legione Dalmato-Istriana venne costituita per iniziativa di un Comitato formato dai dalmati, don Luca Antunovich, don Luca Lazaneo, Pietro Naratovich, e dall'istriano Matteo Petronio che, il 14 novembre 1848, lanciarono il seguente proclama:


AI GIOVANI DALMATO-ISTRIANI

che non militano ancora sotto la Bandiera della Indipendenza Italiana

"Il caldo desiderio da Voi esternato, giovani valorosi, nel 22 marzo, di formare una legione Dalmato-Istriana, per combattere in campo aperto l'austriaca tirannide, verrà esaudito, tosto che Voi accorriate sotto il vessillo tricolore italico dell'indipendenza.

(...) Arruolati sotto lo stendardo dell'Italico riscatto, ed organizzati in legione Dalmato-Istriana, diverrete la potenza armata ed operosa contro l'austriaco dispotismo, che in ogni maniera si sforza, nei suoi aneliti estremi, di carpire la nazionalità perfino ai popoli da esso fin'ora tormentati.

No, l'Istria e la Dalmazia marittima, non sono, non possono essere, non saranno mai germaniche o slave, ché non lo consentono natura, né la storia delle politiche loro vicende, non la lingua, la religione, i costumi.

Il bel paese italiano non finisce al di quà dell'Adriatico, ma sulle opposte sponde pur si distende, e la barriera mal vietata delle Alpi è separazione che la natura pose tra le vandaliche masnade dei barbari e la civiltà dell'italo, dell'istriano e del dalmata suolo.

Accorrete quindi senza indugio, accorrete numerosi sotto le sospirate bandiere della santa guerra d'Italia, ed efficacemente cooperando alla redenzione di questa invidiata, e perciò dai selvaggi straziata penisola, coopererete del pari alla redenzione dell'Istria e della Dalmazia.

All'armi, giovani generosi, all'armi; la Patria vi chiama e vi incita. Il giorno della completa indipendenza italiana, sarà giorno dell'emancipazione, pur anche dalmato-istriana, dalle branche crudeli dell'esecrata bicipite aquila austriaca!

Viva l'Italia! Viva San Marco!

ANTUNOVICH – LAZANEO – NARATOVICH – PETRONIO

(Omissis).

Seguono i nomi dei volontari, dei caduti, dei feriti, dei proscritti dall'Austria.


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I DALMATI NEL RISORGIMENTO
IL 1848 IN DALMAZIA

A ZARA

 Il 18 marzo 1848, alle prime notizie dei moti insurrezionali di Vienna, la popolazione di Zara si riversa per le calli e per le piazze inneggiando alla libertà ed all'Italia.

Il 22 marzo, mentre il barone von Fluck, commissario di polizia, abbandona la città, settecento zaratini, al comando del conte Francesco de Borelli, si costituiscono in Guardia Nazionale.

La Guardia Nazionale, oltre ai poteri di pubblica sicurezza, assume anche quelli amministrativi, e come propria bandiera adotta il Tricolore d'Italia.

I dalmato-italiani, inquadrati nel reggimento "Wimpffen" al comando del colonnello Sirtori, sono pronti ad insorgere al segnale di Venezia.

Niccolò Tommaseo, alcun tempo dopo, scrisse di non aver dato l'atteso segnale poiché:

"non avendo Venezia né legni da difendere la lunga costa, né armi da mettere in mano a' volonterosi, né danaro, non dico da premiarli ma da sfamarli [...], quel popolo disgraziato rimaneva preda, non solo dell'Austria, che ci avrebbe avventati a rapina i Croati e attizzata la guerra civile [...] ma preda alla Russia distendente la sua rete di ferro su tutta la gente slava".


A SEBENICO

La notizia degli avvenimenti di Vienna arriva il 23 marzo. Tremila persone percorrono la città e fanno una imponente dimostrazione davanti alla casa natale del Tommaseo.

Vengono innalzate le vecchie insegne di San Marco.


NELLE ALTRE CITTÀ DALMATE

A Spalato, il 23 marzo, il popolo scende in piazza con una entusiastica dimostrazione. La Municipalità vota, in Consiglio comunale, l'unione a Venezia. Analogamente a Ragusa ed a Cattaro.


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Se il 25 marzo 1848 la Dieta croata di Zagabria chiede all'Imperatore "una nuova e più salda unione in ogni senso del Regno di Dalmazia, nostro per legge e per storia, al Regno di Croazia e Slavonia", i dalmati fanno immediatamente sentire la loro risposta.

Guidati da Antonio Grubissich, di Spalato, rettore della chiesa italiana di Vienna, diressero all'Imperatore "in nome dei loro connazionali una pubblica e solenne protestazione contro qualsivoglia proposta o deliberato che venisse fatto in nome della Dalmazia, senza l'intervento di persone da essa deputate a legalmente rappresentarla".

Il 29 marzo, Spalato chiese di condividere le sorti del Lombardo-Veneto, e non quelle della Croazia.

Inoltre la Municipalità di Spalato rispose a quella di Zagabria che le aveva fatto pervenire un invito, scritto in lingua slava, perché aderisse all'unione della Dalmazia alla Croazia, che: "La Dalmazia è italiana; un solo cittadino di Spalato, che ne conta 12.000, è stato capace di tradurre le vostre onorevoli parole".


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DALMATI ALLA DIFESA DI ROMA 

A CURTATONE


(Omissis).

Seguono i nomi dei volontari.

 

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NELLE GUERRE D'INDIPENDENZA E PER LA DIFESA DELL'AUTONOMIA IN DALMAZIA


A Zara e negli altri centri della Dalmazia, i cittadini di quegli ottantasei comuni, tutti amministrati da podestà italiani, sentivano incombere il confronto con i croati.

Nei riguardi dell'imperial-regia polizia non si ebbero atti di violenza, ma una costante e strisciante affermazione d'italianità.

Si sfoggiavano i cappelli alla Cavour, i fazzoletti e le cravatte alla Garibaldi, i ventagli alla veneziana, si ostentavano decorazioni di San Marco e di Napoleone.

Se vi erano delle manifestazioni, non avvenivano più nel nome di San Marco. Ora il grido era "Garibaldi e Vittorio Emanuele".

In quel 1859, non era più possibile un afflusso di volontari, come a Venezia nel 1848. Tuttavia, zaratini e dalmati presero parte alle campagne della seconda guerra d'indipendenza con Garibaldi e con l'esercito Sabaudo.

(Omissis).

Seguono i nomi dei volontari nelle campagne del 1859-1860.

 

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LA PRIMA DIETA DALMATA 

LA DIETA DEL "NON ACCOGLIMENTO" 1861


Con la patente del 5 marzo 1860, l'Austria aveva istituito un Consiglio dell'Impero "rinforzato" da rappresentanti regionali. Convocato a Vienna, nel settembre di quell'anno, i croati chiesero l'annessione del Regno di Dalmazia a quello di Croazia.

Insorse il deputato conte Francesco de Borelli, di Zara, che, parlando in italiano, decisamente affermò: "Nego che alcuno abbia diritto di sorta sulla Corona del Regno di Dalmazia".

L'8 aprile 1861 furono istituite le Diete regionali. Quella della Dalmazia era composta da quaranta deputati elettivi e da due membri di diritto: l'arcivescovo cattolico, monsignor Giuseppe Godeassi, ed il vescovo ortodosso monsignor Knesevich.

Le elezioni si svolsero nella contrapposizione degli "autonomisti", italiani, e degli "annessionisti", croati. Gli "autonomisti" conquistarono ventinove seggi.

(Omissis).

Seguono i nomi dei componenti la prima Dieta Dalmata.

Fra i deputati "autonomisti" vi erano due serbi, l'avvocato Spiridione Petrovic, ed il vescovo ortodosso, monsignor Knesevich.

Nella seduta del 18 aprile 1861, l'imperial-regio commissario, stabilì che la Dieta dovesse procedere:

"alla scelta dei deputati i quali avranno a perpetrare il quesito dell'unione della Dalmazia alla Croazia e Slavonia, colla Dieta di questi due Regni".

Il deputato autonomista, Federico Antonio Galvani, in risposta all'imperial-regio commissario, presentò la mozione:

"La proposta governativa sulla nomina ed invio dei deputati a Zagabria per trattare sul quesito dell'annessione, non sia svolta tanto per la forma, quanto per la inopportunità dell'annessione stessa".

La mozione, posta ai voti, venne approvata con ventisette voti favorevoli e tredici contrari.

Il corrispondente da Zara dell'Osservatore triestino telegrafava:

"L'entusiasmo è immenso, la città è in festa".


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LA TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA

1866-1867


Con la guerra del 1866, l'Austria pose in stato d'assedio le città della Dalmazia, poiché sentiva vigoroso fra quegli italiani il convincimento di una prossima Redenzione.

A Spalato, gli italiani avevano preparato i tricolori, ed erano pronti ad accogliere l'arrivo delle navi d'Italia.

Un ufficiale della squadra italiana aveva portato a Giorgio Giovannizio – che a Spalato, in assenza di Antonio Bajamonti, guidava il partito degli "autonomisti" – un messaggio dell'ammiraglio Carlo Pellion conte di Persano. 

Un telegrafista, dall'isola di Lèsina, teneva informata l'ammiraglia italiana dei movimenti della flotta austriaca.

Sui campi di battaglia della Penisola, altri dalmati erano presenti alla lotta.

Ma la giornata di Lissa (20 luglio 1866) fu fatale per l'italianità della Dalmazia.

Da quel momento, i dalmati autonomisti dovettero iniziare la loro dura, tenace battaglia per resistere e sopravvivere all'incalzare dei croati sostenuti ed incitati da Vienna.

(Omissis).

Seguono i nomi dei combattenti nella Terza Guerra d'indipendenza.


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PER LA DIFESA DELLA SCUOLA ITALIANA

1890

 

Il 6 novembre 1890, gli "annessionisti" croati, alla Dieta dalmata, fanno approvare una mozione per la istituzione di scuole croate in Dalmazia.

La reazione popolare è immediata. A Zara si costituisce un Comitato, sotto la presidenza del podestà Nicolò Trigari, per elevare le più ferme proteste.

In città viene diffuso il seguente manifesto:

"Concittadini,

il sei novembre sarà scritto con dolore negli annali della patria nostra!

In quel giorno la maggioranza della dieta provinciale esprimeva un voto all'i.r. governo per la mutazione delle nostre scuole italiane in scuole slave.

Noi dobbiamo tutelarci con tutte le nostre forze dell'anima contro questo voto, che disconosce i nostri diritti, che viola lo statuto, che lede il nostro sentimento nazionale.

La storia di tutti i tempi è per noi: scuole slave entro le mura della nostra ducale città non esistettero mai; gli avi nostri hanno adoperata, e nei pubblici e nei privati negozi, sempre la lingua italiana; e noi, non degeneri eredi dei nostri maggiori, vogliamo mantenuto questo santo retaggio – lo vogliamo in nome della costituzione, che ci conforta a difenderlo e a non permettere che da nessuno venga manomesso giammai.

Noi abbiamo applaudito alle nobili e strenue parole che a sostegno della lingua e civiltà nostra fecero i nostri deputati: abbiamo coronato delle nostre acclamazioni la provvida risoluzione votata ad unanimità dal patrio municipio. Importa però che la reazione, così legittimamente iniziata, non per anco s'arresti.

Domenica, 30 novembre, alle ore 11 a.m., il Teatro Nuovo sarà aperto per noi. Ivi conveniamo tutti in patriottico comizio: l'amore ardentissimo per la lingua dei nostri padri colà indistintamente ci chiami, la difesa di questa nostra lingua dolcissima colà ci raccolga.

Nessuno deve mancare!

I nostri forti campioni, i coraggiosi patrioti del nostro consiglio municipale hanno ancora una volta diritto agli applausi di tutta Zara italiana; il voto fatale del sei novembre ha d'uopo ancora di una legale, solenne protesta da parte nostra; l'i.r. governo non dev'essere in dubbio sui sentimenti della nostra città. 

Concittadini!

Sappiamo di combattere una grande battaglia; ma convinti della giustizia della nostra causa, affratellati all'ombra di quella sacra bandiera della patria nostra, resa immortale da tanti secoli di storia gloriosa, ci arride la speranza che trionferanno i nostri diritti e assurgeranno più gagliardi i nostri entusiasmi!

Nessuno deve mancare!"

Zara, 25 novembre 1890.

(Omissis).

Seguono i nomi di coloro che firmarono il manifesto.

Imponente fu l'afflusso alla manifestazione. Parlarono Luigi Ziliotto, podestà di Zara, Michelangelo Luxardo, Roberto Ghiglianovich, Vincenzo de Benvenuti, Ercolani Salvi, da Spalato, per gl'italiani della Dalmazia, Vincenzo Battara, a nome degli operai di Zara. Innumerevoli i telegrammi di plauso dalla Dalmazia, da Trieste, dall'Istria, dal Friuli, dal Trentino, da Vienna, da città del Regno, dall'onorevole Federico Seismit-Doda, dal professore presso l'Università di Padova, Giuseppe De Leva, ambedue dalmati.

A ricordo della memorabile protesta, nell'atrio del Teatro Verdi fu posta una lapide.

In questo tempio dell'arte
confortati dal voto e dal plauso di tutte le parti
di Dalmazia
il XXX novembre MDCCCXC
convennero
duemila cittadini di Zara
a tutela dell'avita e lingua e civiltà italica
La società del Teatro
P.

 

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ZARA ONORA IL RICORDO DI RE UMBERTO
29 luglio 1900


PER LA MORTE DEL SOVRANO

 

I colpi di rivoltella dell'anarchico Gaetano Bresci, che il 29 luglio 1900 uccisero a Monza Re Umberto, furono dolorosamente intesi anche a Zara.

Venne immediatamente costituito un comitato, "il quale comitato organizza raccolte di denaro in città per deporre a nome dei cittadini di nazionalità italiana una corona sulla tomba del defunto Re Umberto, la quale fu ordinata a Venezia per il prezzo di fiorini 1.500". (Dalla Relazione della Polizia Austriaca).

Il comitato era composto da:

ALACEVICH Pompeo
MILLICH Luigi
BATTARA Giovanni
NAVARRO Vittorio
BRATTANICH Antonio
SCHONFELD Ludovico
DELICH Giuseppe
STERMICH (de) Venceslao
ERZEG Giuseppe
URSCHUTZ Oscar
MANDEL Vittorio
WODITZKA Leone
MILCOVICH Ludovico
WONDRICH Giorgio

Il 5 agosto 1900, partirono da Zara, con il piroscafo Galatea, per partecipare alle onoranze funebri a Re Umberto e per deporre la corona sulla Sua tomba:

BATTARA Giovanni
ERLINI Marco
BRATTANICH Antonio
SCHONFELD (de) Enrico
NICOLICH Renato
SPERI Francesco
PERLINI Giuseppe, con tre figlie
SVILICOSSI Francesco, da Ragusa
TESTA Girolamo

Dalla Relazione della Polizia Austriaca di Zara:

"Anche in questa città le manifestazioni di lutto furono nei giorni 8 e 9 m. corr. importanti, mentre nei primi giorni dopo il tragico avvenimento soltanto il Console italiano (Antonino D'Alia) issò la bandiera con crespo di lutto a mezz'asta ed i sudditi italiani coprirono le loro abitazioni e locali d'affari con segni di lutto, una gran parte dei cittadini seguirono tale esempio nei giorni 8 e 9 corr. e specialmente i negozianti delle principali strade, Calle Larga e St. Maria, dove quasi tutte le vetrine dei negozi erano coperte da segni di lutto; mentre durante la Messa funebre nella Chiesa del Duomo al 9 corr. e durante tutto il giorno i negozi rimasero chiusi.

In tale occasione si è specialmente distinta la locale Società "Unione Zaratina" che già al 31 u.s. espose nei locali sociali tre grandi bandiere nere ed issò a mezz'asta la bandiera sociale; tale esempio seguirono poi le Società "Operaia" e quella dei "Bersaglieri"."


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PER L'UNIVERSITÀ ITALIANA DI TRIESTE


I FATTI D'INNSBRUCK

 3 novembre 1904


I precedenti

22 settembre – Decreto ministeriale austriaco che istituisce, in via provvisoria, a Wilten, sobborgo di Innsbruck, una Facoltà giuridica italiana, dipendente dal Senato accademico dell'Università. 

20 ottobre – Il consiglio comunale d'Innsbruck eccita la popolazione a difendere "con qualsiasi mezzo" il carattere tedesco della città.

21 ottobre – Episodi di violenza contro gli studenti italiani.


I fatti

3 novembre – Inaugurazione della Facoltà giuridica italiana. Alla sera, all'albergo "Croce Bianca" si riuniscono per una cena professori e studenti italiani.

All'uscita dal ritrovo, assalto da parte di gruppi tedeschi armati di bastoni, randelli, pugni di ferro. Vengono sparati circa quaranta colpi di rivoltella.

La polizia, che interviene a sciabole sguainate, non è in grado di sedare la zuffa, che diventa sempre più serrata. Viene fatta uscire la truppa. Una ventina di studenti italiani rimangono feriti; due da colpi di arma da fuoco.

Sedato lo scontro e dominata la situazione, la polizia procede all'arresto degli studenti italiani.

Fra i 138 studenti arrestati vi sono 16 dalmati.


ALLACEVICH Pompeo  —  Zara
ARICI Umberto  —  Zara
DELICH Rodolfo  —  Zaravecchia
GASPERINI Pietro  —  Spalato
HOEBERTH (de) Edmondo  —  Zara
INCHIOSTRI Rodolfo    Zara
KERSTICH Matteo  —  Zara
KIRCHMAYER Giovanni  —  Zara
LINZ Pietro  —  Zara
MONTIGLIA Carlo  —  Spalato
NICOLICH Ippolito  —  Tenìn (Knin)
NUTRIZIO Umberto  —  Traù
OLUICH Nicolò  —  Zara
RADOVANI Trifone  —  Scardona (Sebenico)
SELEM Stefano  —  Spalato
TOLJA Giuseppe  —  Zara
VUCASSOVICH Stefano  —  Ragusa


I FATTI DI VIENNA

 22/27 novembre 1908


Ad un reiterato rifiuto del Governo di Vienna di concedere una facoltà italiana a Trieste, gli studenti delle province italiane irredente che studiavano a Vienna, dove avevano costituito il "Circolo Accademico Italiano", guidati dal dalmato Alessandro Dudan, chiedono al Rettore un'aula per una riunione di protesta.

Il Rettore nega il consenso. I 157 studenti irredenti che erano raccolti nell'atrio dell'Università in attesa della risposta del Rettore intonano l'Inno di Mameli. Gli studenti tedeschi rispondono con la loro "Wacht am Rhein". Si scatena una zuffa gigantesca.

Fra i 157 studenti italiani, è possibile ricordare i seguenti nomi dei dalmati:

DUDAN Alessandro, da Verlicca (Spalato), organizzatore
BERCOVICH..., da Zara,
CEGA (de) Celio, da Ragusa, ferito
COVICH Marino, da Spalato, arrestato
FANFOGNA Nino, da Traù,
GRISOGONO (de) Amato, da Spalato, arrestato
GRUBISSICH Antonio, da Dernis,
LOBASSO Giuseppe, da Spalato,
MANDEL Maurizio, da Cattaro, ferito ed arrestato
TACCONI Grisogano, da Spalato, ferito
TACCONI Ildebrando, da Spalato, ferito
UNICH Giovanni, da Sebenico.


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CONTRO L'INTRODUZIONE DELLA LINGUA SLAVA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

1909


L'Imperial Regio Governo, con ordinanza 26 aprile 1909, imponeva l'uso della lingua slava nelle amministrazioni dello Stato.

La protesta degli impiegati italiani della Dalmazia fu immediata.

Inviarono, "A sua Eccellenza il signor dr. Riccardo barone de Bienerth, Presidente del Consiglio dei Ministri in Vienna", il "Memoriale dei funzionari dello Stato di nazionalità italiana in Dalmazia" che cominciava con le seguenti parole:

"Presso tutte le autorità civili dello Stato in Dalmazia, sin dal tempo in cui questo paese venne ad appartenere all'Impero austriaco, la lingua della trattazione interna e della corrispondenza tra ufficio ed ufficio in provincia era esclusivamente l'italiana".

E la 'Memoria' proseguiva:

"Gli impiegati di nazionalità italiana, quali figli di questa terra e cittadini dello Stato, nel mentre altamente apprezzano i saggi e provvidi intendimenti di Vostra Eccellenza diretti a por fine una bella volta, nell'interesse impreteribile del pubblico servizio, alla confusione ingenerata negli uffici di questa provincia da un arbitrario uso delle lingue [...], non possono nascondere di esser stati messi in uno stato d'inquietudine e di costernazione dalle disposizioni dell'ord. 26 aprile 1909, le quali sconvolgono in vero tutti i criteri fino ad ora dominanti, introducendo – salve poche eccezioni – il serbo o croato quale lingua del servizio interno e della corrispondenza [...]."

(Omissis).

Seguono i nomi di 502 impiegati di nazionalità italiana.

I soprascritti, "funzionari dello Stato dalmati di nazionalità italiana, anche quali interpreti di tutti gli altri loro colleghi, dei quali manca la firma causa la brevità di tempo, animati dalla rettitudine delle loro intenzioni, si permettono, fiduciosi, di innalzare il presente memoriale sino a V.E. con la caldissima preghiera di voler, a loro tranquillità, benignamente e quanto prima prendere quelle disposizioni di saggia politica atte a salvaguardare in una agli interessi dello Stato anche quelli legittimi dei petenti".


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I DALMATI E LA "DANTE ALIGHIERI"
1912


(Per ragioni di sicurezza i soci delle Sezioni dalmate della "Dante Alighieri" erano iscritti presso quella di Udine)

"Dalle fonti che stanno a disposizione si poté venire alla conclusione che i capi di tutti i partiti italiani della Dalmazia stavano in relazione coll'Italia e che tutta la loro politica era diretta a conservare e a rafforzare il legame spirituale-politico col Regno".

(Dal Rapporto I. n. 800 ris. compilato dall'Ufficio Informazioni del Comando della Difesa Costiera – noto come rapporto del capitano Neubauer – nell'anno 1917).

(Omissis).

Seguono i nomi dei soci ordinari e straordinari delle sezioni di Zara – Sebenico – Spalato – Signo – Almissa – Curzola – Lesina – Cattaro.


*    *    *


I DALMATI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
1915-1918

 

I colpi di rivoltella sparati da Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914, si ripercossero anche a Zara, dove la notizia giunse nelle prime ore del pomeriggio del giorno successivo, domenica.

La corsa ciclistica per il "Campionato regionale della Dalmazia", indetta dal Veloce Club Zaratino, venne sospesa in segno di lutto per la morte dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della moglie contessa Sofia Chotek.

Fra i ciclisti che, dallo striscione di partenza dove già si erano allineati, rientrarono in città, vi era anche Francesco Rismondo. Il presidente-corridore, che guidava la rappresentanza di Spalato, iniziava, in quel momento, il cammino che lo avrebbe portato al martirio.

Gli zaratini sentirono che la guerra era prossima, e con i richiami alle armi da parte delle autorità austriache, in città cominciarono le preoccupazioni.

I mesi della neutralità italiana, con la incertezza delle decisioni che Roma avrebbe preso, incidevano sugli animi.

Presentendo lo sviluppo degli avvenimenti, mentre ancora era possibile passare il confine, ebbero inizio le fughe di coloro che intendevano indossare il grigio-verde.

Con il 24 maggio 1915, le fughe e le diserzioni divennero eroiche. Gli anni della guerra furono duri, ma la popolazione si rafforzava nei propositi e nell'attesa.

Nel segreto delle case, le donne cominciavano a confezionare i tricolori per il giorno della Redenzione.

Persecuzioni, internamenti, arrestati, processi per alto tradimento, non incrinarono la compattezza nella speranza, che era fiducia.

(Omissis).

Seguono i nomi degli arrestati, dei confinati, degli internati, degli accusati di alto tradimento.



I TRENTANOVE DALMATI CHE – DOPO AVER DISERTATO
DAI REPARTI AUSTRO-UNGARICI – COMBATTERONO
CON L'ESERCITO ITALIANO

(Omissis).

Seguono i nomi dei volontari.


Per la singolarità della loro avventura ricordiamo le vicende di sette degli undici disertori che combatterono per l'Italia nel Corpo Italiano di Spedizione nell'Estremo Oriente (C.I.E.O.).

Con lo scoppio della guerra

ALBORGHETTI Simeone
PORTADA (de) Nicolò
CONFALONIERI Paolo
SUBOTICH Natale
KAITNER Giovanni
ZAUNER Andrea
MATESSI Antonio

erano stati destinati con altri reparti austriaci in Galizia, sul fronte russo. Nel giugno 1916, quando l'offensiva di Brussilov travolse gli austriaci, quegli "irredenti" disertarono e passarono ai russi.

Vennero inviati in un campo di raccolta, ma in attesa di potere raggiungere l'Italia e combattere con l'Esercito italiano, furono coinvolti dagli avvenimenti della rivoluzione bolscevica.

Abbandonati a se stessi, da Kirsanoff, per Vologda, attraverso la Siberia, dopo mesi di patimenti, raggiunsero fortunosamente Harbin, in Manciuria. Proseguirono attraverso la Cina, ed il 18 giugno 1918 erano a Pechino. Entrarono a far parte del reparto italiano che, al comando del maggiore Cosma Manera, presidiava la Legazione d'Italia.

Dopo un paio di settimane furono trasferiti a Tien-Tsin, dove era arrivato dall'Italia il Corpo di Spedizione italiano nell'Estremo Oriente. Inquadrati nel battaglione degli "irredenti" – "battaglione nero", dal colore delle mostrine – vennero aggregati al C.I.E.O.

Il 15 settembre 1918 prestavano giuramento di fedeltà al Re d'Italia. Durante quell'inverno – mentre la guerra in Europa finiva – e sino al giugno 1919 combatterono sul fronte siberiano contro i bolscevichi.

Il 25 novembre 1919, nel porto di Cin-Quan-Tao, s'imbarcarono sul piroscafo Nippon, per rientrare in Italia.

Furono necessari sessantanove giorni di navigazione prima di arrivare a Brindisi. Proseguirono via mare, ed il 4 febbraio 1920 sbarcarono a Trieste.

L'8 febbraio 1920 riapprodavano a Zara, dopo cinque anni e mezzo di assenza.

Il Ministero della Guerra concesse a questi sette un "Encomio Solenne", ed a Matessi, Kaitner e Zauner anche la croce al merito di guerra.

Degli altri quattro che combatterono con il C.I.E.O.,

DRAGHICEVIC Giacomo
MLADINOVICH Giuseppe
MAESTROVICH Giuseppe
OGRISEVICH Vladimiro

non si hanno particolari notizie, ma certamente furono protagonisti di un'analoga odissea.

(Omissis).

Seguono i nomi dei 204 volontari dalmati che combatterono con l'esercito italiano, dei 19 caduti e le motivazioni delle ricompense al valor militare: una Medaglia d'oro (Francesco Rismondo); 10 d'argento; 8 di bronzo.


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DAL PATTO DI LONDRA AL TRATTATO DI RAPALLO
IL MANIFESTO DI PROTESTA

 

L'on. Giuseppe Bevione, il 13 febbraio 1918, alla Camera dei Deputati, rese noti – per la prima volta in Italia – i termini del Patto di Londra, che garantiva all'Italia la Dalmazia sino a Capo Planca (fra Sebenico e Spalato) e le isole curzolane. Era stato segretamente concluso il 26 aprile 1915, dall'Italia con l'Inghilterra, la Francia e la Russia.

I dalmati residenti a Roma

            dott. BIANCHI Simeone
            dott. BONAVIA Riccardo
            prof. CARDONA Giovanni Battista
            prof. COSTA Giovanni
            dott. DELICH Silvio
            dott. DIFNICO (de) Antonio
            dott. DUDAN Alessandro
            ing. FASOLO Vincenzo
            dott. FERRUZZI Ferruccio
            dott. FERRUZZI Roberto
            avv. GHIGLIANOVICH Roberto
            dott. TOMMASEO PONZETTA Ruggero

il 16 febbraio, pubblicarono il seguente manifesto di protesta e di fede:

"Gli Italiani della Dalmazia, consci della originaria secolare italianità della loro sponda nativa, non cancellata dalle più brutali sopraffazioni, non deformata dalle più perfide insidie di un Governo usurpatore, riaffermano la necessità storica e proclamano la volontà della restituzione della loro terra all'Italia.

La profonda indelebile impronta di Roma; la latinità e l'italianità di liberi Municipi dalmati; l'efficace eloquenza delle tradizioni e delle memorie; la conservazione e il culto vivo della lingua; la costante azione dei suoi uomini più eminenti; il largo contributo alle scienze, all'arte, al Risorgimento italiano; le impari angosciose lotte; il sangue versato in questa guerra tremenda; il sacrificio del martire di Spalato, confermano e consacrano questa volontà e questa necessità [...].

La restituzione della Dalmazia all'Italia, richiesta da imprescindibili ragioni di sicurezza del suo mare – poiché questa sponda, quelle isole, patrimonio della nazione, ne costituiscono i baluardi marittimi naturali – è soprattutto una necessità storico-nazionale, un diritto che l'Italia deve affermare e sostenere strenuamente.

Rinunziandovi l'Italia verrebbe meno alla sua missione nazionale; abbandonerebbe una così nobile parte di sé al sacrificio estremo; vedrebbe sparire dalla sponda orientale adriatica le sue tradizioni, la sua lingua, la sua civiltà".



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DIARIO DI ZARA DAL 28 OTTOBRE AL 4 NOVEMBRE 1918 NELL'ATTESA DELLA REDENZIONE


28 ottobre

In previsione di un improvviso crollo dell'Austria-Ungheria, sotto la guida di Luigi ZILIOTTO, si costituisce il "Consiglio Nazionale", di cui fanno parte

ERZEG Giuseppe
KREKICH Natale
GHIGLIANOVIC Giovanni
PACOMIO Giuseppe
HOEBERTH (de) Carlo


30 ottobre

Si forma la "Guardia Nazionale", al comando di

BATTARA Antonio
MESTROVICH Aldo
CADEL Giuseppe

 

31 ottobre

Un reparto della "Guardia Nazionale", formato da

ANTISSIN Miro
GIOVEDÌ Giovanni
BATTARA Antonio
HOEBERTH (de) Cario
CADEL Giuseppe
MESTROVICH Aldo
CATTICH Simeone
PERSICALLI Arturo
DONATI Giuseppe
ROUGIER Temistocle
ERZEG Giuseppe
WODITZKA Giovanni

ed altri, disarma il presidio austriaco comandato dal colonnello Kramer, la gendarmeria agli ordini del consigliere Gustin, la guardia di finanza alle dipendenze del maggiore Grund. Temistocle Rougier, di fronte alle resistenze del colonnello Kramer, gli toglie la sciabola.

Mentre avviene il disarmo delle forze austriache, Luigi ZILIOTTO, podestà di Zara sino allo scioglimento del Comune disposto dall'autorità austriaca nel 1916, assieme ai vecchi assessori:

ARTALE Spiridione
PERSICALLI Arturo
CATTICH Nicolò
PERSICALLI Ascanio
MEDOVICH Demetrio
ROLLI Eugenio
PERLINI Marco
STERMICH (de) Venceslao

e con altri consiglieri comunali, eletti ancora nel 1911 si recano in Municipio. Allontanato l'imperial-regio commissario Matteo Skaric, riprendono le proprie funzioni.

Durante la giornata

ERZEG Giuseppe
ZANELLA Simeone
MESTROVICH Aldo

dalla sede dell'ex-Consolato d'Italia, portano i ritratti dei Sovrani d'Italia in Municipio. Alla presenza di Luigi Ziliotto, dell'assessore Demetrio Medovich, del segretario comunale Giulio Leibl, collocano i ritratti nell'ufficio del Podestà. Vengono liberati i prigionieri di guerra italiani, rinchiusi nei 'Quartieroni'.


31 ottobre

Il Governatore austriaco della Dalmazia, conte Mario Attems, scortato dalla "Guardia Nazionale", abbandona Zara.

 

1° novembre

Viene nominato Comandante del Porto di Zara il capitano di lungo corso Simeone PERICH che, assieme ai capitani marittimi

CADIA Carlo
SCHIATTINO Mario
MUSSAP Andrea

provvede alla riattivazione dei fanali della costa e delle isole, per agevolare l'arrivo delle attese navi d'Italia, qualora fossero giunte di notte.

 

3 novembre

Ore di spasmodica attesa; a sera il telegramma del Correspondenz-Büreau annuncia la firma dell'armistizio di Villa Giusti.

La città esplode in una notte di entusiasmo e di commozione.

 

4 novembre

Ore 14.30. Alla Riva Vecchia attracca la torpediniera A.S. 55, al comando del tenente di vascello Pellegrino Matteucci e guidata, sin da Venezia, dai piloti zaratini Rodolfo Scopinich e Vincenzo Depinguente.

Fra una marea di popolo, travolto dalla commozione, sbarca il capitano di corvetta Felice de Boccard, designato comandante militare marittimo di Zara, con un reparto di soldati del 225° Reggimento della Brigata "Arezzo".

Ore 14.50. Dal balcone dell'ex-Luogotenenza austriaca, dove già sventola il Tricolore, il comandante de Boccard proclama di prendere possesso di Zara in nome del Re d'Italia.

Ore 15.00. Entra in vigore l'armistizio di Villa Giusti. Zara è italiana per diritto di guerra.


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DA VERSAGLIA ALLA RATIFICA DEL TRATTATO DI RAPALLO


Alla Conferenza della Pace, il Patto di Londra non ebbe più valore; Vittorio Veneto era una vittoria che nessuno voleva riconoscere; nessun peso sembravano avere i 680.000 morti; gli Stati Uniti d'America, e con essi Francia ed Inghilterra, rifiutarono di riconoscere i diritti italiani sulla sponda orientale dell'Adriatico. Il rinunciatarismo si diffondeva in Italia.

Il Governatore della Dalmazia, vice-ammiraglio Enrico Millo, nella sua sensibilità, comprese che alla propaganda si doveva opporre altra propaganda, ed approvò un progetto del Fascio Universitario Dalmata.

A metà gennaio 1919 partirono per Ancona, con un cacciatorpediniere:

            ADDOBBATI Pietro, da Zara, laureando in medicina.
            BRESSAN Alessandro, da Zara, studente in giurisprudenza.
            CARRARA Marino, di Traù, nato a Zara, studente in giurisprudenza.
            FATTOVICH Nino, da Zara, laureando in lettere.
            INCHIOSTRI Francesco, da Sebenico, studente in economia e commercio.
            MATESSICH Giuseppe, da Zara, studente in giurisprudenza.
            ROSSIGNOLI (de) Roberto, da Zara, studente in giurisprudenza.
            ZILIOTTO Giuseppe, da Zara, studente in giurisprudenza.

A questo gruppo, si unirono successivamente:

            LUXARDO Giorgio, da Zara, studente in economia e commercio.
            RUGGERI Ruggero, da Sebenico, farmacista.
            SERRAGLI (de) Enrico, da Ragusa, laureando in medicina.

Percorsero la Penisola da Torino a Palermo per perorare la causa della Dalmazia, per informare l'opinine pubblica, per sommuovere l'ambiente universitario.



L'APPELLO DEGLI ITALIANI DI SPALATO NELL'ATTESA DELLE DECISIONI DI PARIGI

MARZO 1919


"Nell'ora dell'attesa angosciosa, febbrile, suprema, quando il nostro destino si compie e i fati di questa città tormentata stanno per decidersi ineluttabilmente e per sempre nell'alto Consesso delle Nazioni, noi, vigilanti custodi dei più sacri retaggi, assertori tenaci di tutti i diritti della Patria più grande; noi sottoscritti cittadini di Spalato, nell'amore selvaggio che ci arde e consuma, patrizi e popolo, spiriti colti, anime semplici e rudi, accomunati nella stessa speranza e nella medesima fede, ci rivolgiamo a voi e vi invochiamo col coraggio dei sacrifci compiuti, con la forza di tutta la nostra abnegazione e di tutto il nostro martirio, perseverante, indefesso, crudele, tanto più grande quanto più oscuro e tenace.

Le nostre anime, oppresse da nuovo sconforto, erompono verso di voi in un impeto solo che nella voce ha lo schianto di tutti i nostri morti e l'angoscia di tutti i viventi, in una parola sola di invocazione, di incitamento e di speranza: che la nostra città fedele fra tutte, per le sue tradizioni romane e italiche veda finalmente spuntare sul mare nostro l'aurora della sua redenzione, e compiendo i nostri voti più ardenti, riallacci la sua alle gloriose fortune d'Italia, reintegrata e riassunta Regina fra tutte le genti".

L'appello era firmato da settemila spalatini.



LA PROTESTA DEI DALMATI PRIMA DELLA DISCUSSIONE ALLE CAMERE DEL TRATTATO DI RAPALLO

13 NOVEMBRE 1920


"I Dalmati residenti in Roma, sicuri interpreti dei loro connazionali; visto il testo del Trattato di Rapallo:

protestano col più acerbo dolore contro la rinunzia che il Governo del Regno ha fatto dell'intera Dalmazia in favore d'altro Stato che incarna gli interessi di un popolo con il quale gli italiani dalmati sostennero titaniche lotte per il diritto d'Italia;

rilevano che, con quest'atto, il Governo del Regno ha mancato al suo dovere di salvezza dei propri connazionali, d'integrazione dei confini naturali della Patria e di legittima valorizzazione di un trattato di guerra e della vittoria;

riprovano la mutilata redenzione della capitale della Dalmazia, che la gloria del suo nome, del suo passato e del suo dominio vede compensata con la rescissione, per terra e per mare, delle sue essenziali arterie di vita;

ripudiano gli orpelli di garenzie atte soltanto a mascherare la loro morte civile e a dar quiete alle coscienze dei responsabili e, consci del proprio sacrificio che saluterebbero con gioia se potesse render all'Italia un solo effettivo conforto o alleviarle una angustia sola,

 esprimono il voto che il destino, più saggio e più giusto degli uomini, storni dalla grande, dalla generosa, dalla magnifica Nazione italiana, sempre tanto superiore a chiunque la governi, la consumazione della terribile minaccia che dall'Adriatico, consegnato ad altri, ormai, perennemente, le incombe".

La protesta, estesa da Ercolano Salvi, era firmata da:

CARDONA Giovanni Battista
PERVAN Edoardo
COSTA Giovanni
PEZZOLI Carlo
DELICH Silvio
RANDI Oscar
DUDAN Alessandro
RUGGERI Guido
FASOLO Vincenzo
SALVI Ercolano
GHIGLIANOVICH Roberto
TANASCOVICH Giovanni

 

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PER LA CAUSA DI FIUME E DELLA DALMAZIA
1919-1920

Il 12 settembre 1919, Gabriele d'Annunzio, alla testa di un battaglione di Granatieri, e di altre truppe che si aggregarono durante la marcia, parte da Ronchi ed entra in Fiume presidiata da forze interalleate.

Alle ore 18 di quella stessa giornata, dal Palazzo in Piazza Roma, il Comandante proclama l'annessione della città all'Italia.

Il 17 settembre, con un motoscafo, partono da Zara

BRESSAN Alessandro
SCHONFELD (de) Enrico
DONATI Giuseppe
STORICH Giuseppe
ERZEG Giuseppe

ed avventurosamente raggiungono Fiume. Dal Comandante ricevono la promessa che l'occupazione legionaria sarà estesa a Zara ed alla Dalmazia.

Il 21 settembre, d'Annunzio indirizza la lettera, ai

"Fratelli di Dalmazia,

Fin dalla notte stellata di Ronchi, fin dall'ora della dipartita, una melanconia sempre più amara s'andava addensando in fondo alla mia risolutezza, una spina sempre più acuta mi penetrava nel cuore fidente.

Era il pensiero di Voi, era il rammarico di non aver forze bastevoli a propagare l'incendio in quel medesimo giorno fino a Spalato nostra, e più oltre ancora, fino alle Bocche di Cattaro, fino a quell'antica Perasto che custodisce la speranza ed il Gonfalone.

La passione di Dalmazia non travagliò mai così addentro il mio petto come durante la mia marcia verso Fiume.

Che dirà, che farà la mia Zara, quando le giungerà l'annunzio?

Che diranno, che faranno Sebenico, Traù, Spalato e le sorelle?"

E Zara rispose.

Il 23 settembre, 932 dalmati, convenuti al Teatro Verdi di Zara, giurarono sul Tricolore di lottare per l'annessione delle loro città all'Italia, e costituirono il battaglione "Rismondo".

Il 14 novembre d'Annunzio con un migliaio di volontari, imbarcatosi sulla R. Nave Cortellazzo, preceduta dal cacciatorpediniere Nullo, dal M.A.S. 22 (quello che a Premuda al comando di Luigi Rizzo aveva affondato la Santo Stefano) e dalla torpediniera P.N. 66, sbarca a Zara.

Alle 14.30, dal balcone del Comune, in Piazza dei Signori, parlò al popolo di Zara in tumulto.

"Siamo venuti da Fiume dove si dice: 'Italia o morte'; siamo giunti a Zara dove si grida: 'Italia o morte'; e voi giurerete ancora una volta con me, come i fratelli fiumani giurarono: 'Italia o morte'."

Ed il popolo urlò il suo giuramento.

Il Comandante spiegò, allora, il Tricolore che aveva fatto da capezzale al trapasso eroico di Giovanni Randaccio, caduto sul Timavo, in vista di Trieste.

Ammutolita, la folla s'inginocchiò davanti a quel Tricolore nel silenzio di una meditazione rotta dai singhiozzi.

(Omissis).

Seguono i nomi degli zaratini e dalmati che combatterono a Zara nel Natale di sangue, e dei caduti per la Causa fiumana.


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ZARA PROVINCIA D'ITALIA


L'Italia, prima nazione vittoriosa fra Alleate, costrinse il nemico all'armistizio (novembre 1918).

Ma, al tavolo della Pace, i Governanti d'Italia non seppero difendere i diritti sulla Dalmazia, suggellati da una guerra vittoriosa e garantiti sin dal 26 aprile 1915 dagli Alleati con il Patto di Londra.

Per il Trattato di Rapallo, stipulato dall'Italia con il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni (ratificato dal Parlamento italiano il 17 dicembre 1920), di tutti i territori della Dalmazia, che all'Italia erano stati assegnati con il Patto di Londra, rimasero solamente una parte del vecchio comune di Zara (51 km quadrati) e l'isola di Lagosta con gli scogli adiacenti.

Secondo un rilevamento del 1921, il comune di Zara aveva 17.065 abitanti, e quello di Lagosta 1.710. I due comuni costituirono la più piccola provincia d'Italia, sia per superficie sia per numero d'abitanti.

(Omissis).

Segue l'elenco delle strutture, degli uffici, degli enti, degli istituti, delle scuole, delle biblioteche, delle associazioni sportive e culturali eccetera, della Provincia di Zara nel 1938, con i nomi dei dirigenti.



LE AFFERMAZIONI DI ZARA


Dopo le accese giornate della "Passione Adriatica" che travagliarono l'Italia durante le trattative di pace a Versailles, il nome di Zara corse ancora sulle bocche degli italiani. Questa volta per le vittorie dell'armo ad otto della Canottieri "Diadora".

La "Diadora", già nel 1911 si era presentata ai campionati italiani, vincendo a Como nella yole ad otto, ma il titolo non le venne riconosciuto, perché i vogatori erano cittadini austro-ungarici. Redenta Zara, negli anni 1920, 1921, 1922 nella yole ad otto, e nel 1923 nell'otto fuori scalmo con timoniere, la "Diadora" non solo fu Campione d'Italia, ma nel 1923 conquistò anche il titolo di Campione d'Europa.

Nel 1924 la "Diadora" difendeva a Parigi, nella VIII Olimpiade, i colori dell'Italia. Nel fuori scalmo ad otto, erano in testa sino ai 1.200 metri quando un incidente di carrello ruppe il ritmo. Ripresero. Furono terzi dopo gli Stati Uniti ed il Canadà.

(Sono omessi i nomi dei componenti gli equipaggi).

Negli anni fra le due guerre mondiali, altri atleti di Zara affermarono il nome della loro città in Penisola, ed imposero quello dell'Italia nelle competizioni internazionali. Nove atleti

ALACEVICH Ausonio, palla ovale
BENEVENIA Lucio, pallacanestro
GABRICH Gabre, disco
MISSONI Ottavio, 400 m. piani ed ostacoli
SAROVICH Antonio, asta
TESTA Bruno (Bundi), giavellotto
TRELEANI Silvio, vela
NADALI Gino, vela
VUKASINA Antonio, giavellotto

vestirono complessivamente per 57 volte la maglia azzurra, e lealmente gareggiarono.

Nei decenni del '20 e del '30, Zara, proporzionalmente al numero degli abitanti, per quattro volte, con le sue offerte per la lotta antitubercolare, contribuì più delle altre province d'Italia alle annuali campagne del "Fiore Italico" e della "Doppia Croce".

Il 5 giugno 1932, le donne di Zara, madrina la signora Silvia de BENVENUTI GHIGLIANOVICH, donavano la Bandiera di combattimento al nuovo incrociatore Zara. Sul complesso di poppa, in lettere capitali di bronzo il motto "Tenacemente" scolpiva l'animo, la volontà, la dedizione, la forza morale dei dalmati.

Durante il secondo conflitto mondiale, Zara consegnava ancora una bandiera di combattimento ad una nave d'Italia: al cacciatorpediniere Mitragliere. Era l'ottobre 1942.

Quando nel 1936, per la guerra d'Etiopia, fu necessario opporsi alle sanzioni economiche, nuovamente Zara fu la provincia che, in relazione al numero degli abitanti, donò alla Patria più oro delle altre province.

Ma, oltre all'oro, con i suoi figli, con quelli delle altre città dalmate, Zara dette volontari e combattenti all'Italia, scrivendo una nuova pagina nel suo Albo, con altri caduti, con altri decorati al Valor militare.


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PER LA CAMPAGNA D'ETIOPIA
1935-1936


La guerra d'Etiopia fu intesa a Zara con entusiasmo, ma soprattutto come un dovere.

Un dovere verso quei 680.000 fratelli che vent'anni prima, per redimerla, avevano sacrificato la loro giovinezza.

Ora, per la prima volta dopo il conflitto mondiale, l'Italia chiamava a raccolta la Nazione.

Ed i dalmati risposero. Cinquantadue studenti del Gruppo universitario di Zara chiesero 

Ma non era semplice andare a combattere: troppe le domande presentate.

Così, di quei cinquantadue volontari universitari dalmati, furono scelti per ragioni politiche tre di Spalato che vennero inquadrati nel Battaglione "Curtatone e Montanara".

Altri combatterono in Etiopia con le forze regolari o come volontari dell'Esercito.

(Omissis).

Seguono i nomi dei 7 dalmati caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 3 medaglie d'argento; 5 di bronzo; 5 croci di guerra al valor militare.

 

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GUERRA DI SPAGNA
1937-1939


A Zara, sensibilizzata dalla sua posizione di isolata testa di ponte verso Oriente, la contrapposizione ideologica che si scontrò sui campi di Spagna, fu intensa come una Crociata in difesa della civiltà europea.

Era l'Occidente ad essere accerchiato nel Mediterraneo; era il comunismo che tendeva ad affacciarsi all'Atlantico.

I giovani di Zara, gli italiani della Dalmazia, risposero al nuovo appello della Patria, ed ancora una volta combatterono per la difesa della civiltà latina.

(Omissis).

Seguono i nomi dei 6 caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 5 medaglie d'argento; 2 medaglie di bronzo; 1 croce al valor militare.

 

*    *    *


I DALMATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1940-1945


Con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, gli zaratini si sentirono in prima linea, e ne furono orgogliosi.

Quando le ostilità con la Jugoslavia apparvero imminenti (6 aprile 1941), si prepararono al confronto.

Sfollati anziani, donne, infermi e bambini, affrontarono l'assedio. Quelli che non erano stati richiamati si presentarono volontariamente al Comando di Presidio, e costituirono una apposita compagnia. Altri indossarono la divisa della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.). Poi passarono il confine.

Sarebbe stata la breve primavera della seconda Redenzione. Sarebbe stata la rivincita sul Patto di Londra del 1915, sul Trattato di Rapallo del 1920.

Le terre dalmate venivano annesse all'Italia. Spalato e Cattaro erano le nuove province. Quella di Zara ampliava il proprio territorio. Veniva costituito il Governatorato della Dalmazia.

Regio decreto-legge 18 maggio 1941-XIX, n. 452, concernente la sistemazione dei territori della Dalmazia, che sono venuti a far parte integrante del Regno d'Italia. (In Gazzetta Ufficiale n. 133 – 7 giugno 1941-XIX).


Articolo 1 – I territori i cui confini sono delimitati nella allegata carta, vidimata, d'ordine Nostro, dal Duce del Fascismo, Capo del Governo, fanno parte integrante del Regno d'Italia. 

Articolo 2 – Dei territori di cui all'articolo 1, quelli confinanti con la provincia di Fiume, le isole di Veglia e Arbe e le altre minori appartenenti alle circoscrizioni delle isole predette, sono aggregati alla provincia di Fiume.

Articolo 3 – Gli altri territori e le altre isole della Dalmazia di cui all'articolo 1, costituiscono, insieme con l'attuale provincia di Zara, il Governatorato della Dalmazia che comprenderà le provincie di Zara, Spalato e Cattaro. Le circoscrizioni delle provincie dalmate saranno stabilite con decreto Reale, il quale determinerà anche le competenze del Governatore e i suoi rapporti con i Prefetti delle dette Provincie. Il Governatore risiederà a Zara e sarà alle dirette dipendenze del Duce, Capo del Governo.

Articolo 4 – Ai Comuni di Spalato e di Curzola sarà dato un ordinamento amministrativo speciale.

Le norme relative saranno emanate con decreto Reale su proposta del Duce del Fascismo, Capo del Governo, Ministro per l'interno, di intesa con gli altri Ministri interessati.



IL CONTRIBUTO DI SANGUE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE


Durante il conflitto 1940-1945, gli zaratini ed i dalmati che – volontari, richiamati, classe di leva – combatterono su tutti i fronti di terra, del mare e dell'aria furono circa 3.500.

Con il 9,75 per cento di perdite della forza alle armi, con le 8 medaglie d'oro, le 40 d'argento, le 52 di bronzo, le 115 croci di guerra al Valor Militare conquistate, dimostrarono – ancora una volta – la loro devozione alla Patria, iscrivendo nell'Albo del loro travaglio un nuovo primato nazionale.

(L'autore ha qui riportato i dati aggiornati in base ad ulteriori ricerche dopo la pubblicazione del volume).


CADDERO

per l'Italia e per la loro terra 324 Dalmati
211 con le Forze di terra
53 con la Marina Militare
41 con la Marina Mercantile
19 con l'Aeronautica Militare

e ciascuna località della Dalmazia dette il suo contributo.

(Omissis).

Seguono i nomi dei 324 caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 8 medaglie d'oro; 41 d'argento; 52 di bronzo; 115 croci di guerra al valor militare.

 

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IL MEDAGLIERE

1915-1945

 

Ricompense Prima guerra mondiale Guerra di Etiopia Guerra di Spagna Seconda guerra mondiale Totale
Medaglie d’oro 1 8 9
Medaglie d’argento 10 3 5 41
59
Medaglie di bronzo 8 5 2 52 67
Croci di guerra al valor militare 5 1 115 121
Complessivamente 19 13 8 215 256

 

 

LE SOPPRESSIONI DURANTE LA PRIMA OCCUPAZIONE DELLA DALMAZIA DA PARTE DEI TITINI

10-27 Settembre 1943


Subito dopo l'8 settembre, i partigiani di Tito entrarono in tutte le città di terraferma e nelle isole della Dalmazia, ma non a Zara.

Immediata fu la loro azione repressiva contro la popolazione italiana, contro i carabinieri, le guardie di Pubblica Sicurezza, le guardie di Finanza.

Infierirono particolarmente a Spalato.

Su quanto avvenne negli altri centri della Dalmazia si sono avute notizie solamente frammentarie, ed i dati raccolti sono largamente incompleti.

Il massacro cessò là dove arrivarono le truppe tedesche, ma non le uccisioni, le imboscate, le soppressioni nelle campagne, sulle isole, nelle località non presidiate.

 

 

GLI ECCIDI DI SPALATO


I partigiani di Tito occuparono Spalato dall'11 al 27 settembre 1943.

Il 18 settembre, le autorità titine, con un manifesto, annunciavano che il Tribunale Militare aveva condannato a morte ventidue persone. La sentenza era stata eseguita. I nomi dei fucilati iniziavano con quello di Vincenzo Ferrone, comandante delle guardie carcerarie.

Il 23 settembre, un secondo avviso annunciava la avvenuta fucilazione di altre sette persone.

Il 27 settembre, i tedeschi entravano a Spalato.

Il 9 ottobre, Maria Pasquinelli, insegnante a Spalato, otteneva dal Comando tedesco di procedere al riconoscimento delle salme dei condannati dal Tribunale Militare, inumate in fosse comuni.

Secondo gli avvisi, la prima fossa doveva contenere ventidue cadaveri; ne furono esumati trentanove. Dalla seconda fossa, al posto di sette salme, vennero dissepolte ventiquattro. In una terza fossa furono contati i corpi di quarantadue fucilati, dei quali nessuno aveva dato notizia.

Non è possibile precisare il numero di coloro che vennero soppressi dai titini. Il Capo di Gabinetto del Prefetto di Spalato, dottor Scrivano, che riuscì a fuggire dal carcere dove i partigiani l'avevano rinchiuso, asserisce d'aver visto prelevare, durante i giorni della sua detenzione, circa duecentocinquanta persone.

(Omissis).

Seguono i nomi di 54 civili; 49 fra agenti e funzionari di P.S.; 15 Guardie di finanza; 10 Carabinieri, tutti soppressi a Spalato. Sono quindi riportati i nomi dei soppressi nelle altre località della Dalmazia: 38 civili; 18 agenti di P.S.; 16 Guardie di finanza; 29 Carabinieri.

 

*    *    *

 

LA DISTRUZIONE DI ZARA

2 novembre 1943  –  31 ottobre 1944


Ancor oggi non è stato possibile accertare documentalmente le ragioni o i motivi che hanno indotto gli anglo-americani a distruggere la città di Zara.

La tesi che Zara fosse una base marittima per i rifornimenti delle divisioni tedesche che operavano nell'interno dei Balcani è priva di obiettivo fondamento. I Comandi germanici alimentavano le loro unità dall'Austria e dall'Ungheria, attraverso la rete ferroviaria e le vie di grande comunicazione.

Zara non era collegata da alcuna ferrovia con l'interno, e – salvo la rotabile per Tenìn (Knin) – non vi era altra arteria di penetrazione nel territorio jugoslavo.

Meglio si prestavano i porti di Spalato e di Sebenico, tutti e due serviti della ferrovia. Ma, se anche queste città vennero bombardate dagli angloamericani, Zara fu distrutta.

Se Zara fosse stata l'importante base navale, accreditata da una certa storiografia, i Comandi tedeschi non l'avrebbero lasciata assolutamente priva di una difesa controaerea, né avrebbero trasferito in Penisola anche i militari della D.I.C.A.T. A Zara, gli ultimi colpi dell'antiaerea furono sparati il 28 novembre 1943. Restò la sirena d'allarme, ma cessò di funzionare con il 30 dicembre dello stesso anno.

Zara venne distrutta per un motivo essenzialmente politico. Sintomatico il fatto che il 2 novembre 1943, quando in città s'insediò il Capo della Provincia, Vincenzo Serrentino – battendo sul tempo l'arrivo del funzionario croato che a nome del Governo di Pavelic doveva amministrare la città come una Zupanja del Regno di Croazia – proprio quel giorno vi sia stato il primo bombardamento.

Se l'ambita preda era sfuggita ai croati, i partigiani considerarono indispensabile cancellare quel centro d'italianità, e ne chiesero la distruzione. Non la domandarono, invece, per Sebenico o per Spalato, dove i tedeschi avevano insediato un'amministrazione croata. Ulteriore dimostrazione delle intese non tanto occulte che intercorrevano fra titini ed esponenti del Regno di Croazia.

Zara fu maciullata; i sopravvissuti sradicati dalla loro terra. Con le macerie e con la diaspora venne eliminata quella collettività che per oltre un secolo aveva affermato il nome, la cultura, la lingua, il prestigio dell'Italia sulla sponda orientale dell'Adriatico.

 

 

I BOMBARDAMENTI, GLI SPEZZONAMENTI, I MITRAGLIAMENTI ANGLO-AMERICANI

1943


2 novembre

Ore 19.50 – Bombardamento di Zara. In via Roma sono colpiti gli stabili con i negozi Pellicetti e Borin. In Calle del Sale crolla l'ingresso del rifugio n. 34, sotto il Bastione delle Mura. Colpito in pieno il rifugio tubolare di Cereria.


28 novembre

Ore 11.08 – Bombardamento di Zara. Alla Riva Vecchia affonda il piroscafo Sebenico, attraccato alla banchina. Alla Riva di Cereria il "vaporetto" di linea nel porto è colpito in pieno. Dietro la Scuola Industriale le bombe fanno strage alla "giostra". Colpito il Palazzo del Tribunale, la Colonia Agricola, il ponte Zara-Cereria.

Mitragliato il centro della città.

Incursione, in due ondate successive, di 24 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., con il lancio di 29,5 tonnellate di bombe.

Ore 21.30 – Tre aerei lanciano spezzoni incendiari sul centro della città.

Il Capo della Provincia riferisce che nella giornata erano stati distrutti 43 edifici, ed altri 75 erano stati resi inabitabili.

Comincia l'esodo della popolazione verso le campagne e le isole.


15 dicembre

Ore 10.20. – Spezzonamento e mitragliamento del campo di aviazione di Zemonico. Incendiati baraccamenti e depositi di carburante.

Incursione di 12 cacciabombardieri.


16 dicembre

Bombardamento "preavvisato". I partigiani "consigliano" i contadini di non recarsi a Zara perché nel pomeriggio la città sarebbe stata bombardata.

L'avvertimento si diffonde in città.

In seguito, simili "preallarmi" si ripeteranno con frequenza e con quasi assoluta precisione.

Negli zaratini, il dubbio che questi bombardamenti, inutili sul piano militare, siano stati determinati da motivi "politici" diventò, anche per tale motivo, radicata convinzione.

Ore 13.30 – Gli aerei colpiscono il centro di Zara su tre allineamenti, da nord-ovest a sud-est.

Al centro colpiscono il Santuario della Madonna della Salute, il Teatro Verdi, la Banca Dalmata di Sconto, il Battistero del Duomo, la Calle dei Papuzzeri, La Calle Larga. Sulla sinistra il Palazzo della Provincia, il deposito antincendi in Calle Angelo Diedo, Porta Catena, le Scuole magistrali, San Rocco. Sulla destra, Viale Tommaseo, il Palazzo delle Poste, Piazza dell'Erbe. Sono inoltre colpiti: la Chiesa di Santa Maria, il Ginnasio-Liceo, l'Asilo delle Orfanelle, la canonica della chiesa di Sant'Elia, il Cinema Nazionale. Il fuoco divora le case di Calle Canova e parte di quelle di Calle San Zorzi.

Incursione, in tre ondate successive, di 51 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., con lancio di 92 tonnellate di bombe.

Ore 21.30 – Lancio di spezzoni incendiari sulla città.

Incursione di 9 aerei Boston con il lancio di 2,9 tonnellate di spezzoni.

Il capo della provincia riferisce che i morti sono circa 60; il 40 per cento delle case di abitazione distrutto; i rimanenti edifici, compresi quelli pubblici, sono inabitabili al 90 per cento.

Da questa data in poi, a causa dello scompaginamento degli uffici, della dispersione della popolazione nelle campagne, non si avrà più alcun riscontro attendibile dei morti e dei feriti.


22 dicembre

Ore 10.30 – Spezzonamento e mitragliamento di Puntamica. A Boccagnazzo viene colpito e deflagra un deposito di munizioni.

Incursione di 20 cacciabombardieri.

Ore 15.10 – Bombardamento e spezzonamento della vecchia cinta fortificata della città; della zona di Diclo; mitragliamento sul centro di Zara.

Incursione di 12 aerei.


24 dicembre

Ore 08.20 – Da questa data in poi, ogni mattina, per un paio d'ore, due o più aerei mitraglieranno qualsiasi cosa in movimento. Gli zaratini li chiameranno le "mlikarizze", termine slavo per indicare le donne che nei periodi di normalità portavano il latte a Zara.

4 aerei mitragliano la città e la periferia.


27 dicembre

Ore 08.10 – Le "mlikarizze" sono respinte dalle mitragliere del piroscafo Italia che si trova nel Canale di Zara, di fronte alla Riva Nuova.

Ore 12.40 – Attacco di 12 bombardieri, quindi di aereosiluranti contro il piroscafo Italia, che abilmente manovra. Rimane colpito a prua da una bomba.

Ore 13.40 – Bombardamento da alta quota della Riva Nuova e del centro città. Parte delle bombe, per il forte vento di bora, cadono in mare. È colpito il molo della Riva Nuova.

Incursione di 23 aerei Mitchell, che lanciano 34 tonnellate di bombe.


30 dicembre

Ore 15.05 – Bombardamento da nord-ovest a sud-est. Colpite le case fra il Viale Tommaseo e la Riva Nuova (casa Perlini, casa Hoebenth, Casa Littoria, le carceri, la Scuola elementare "A. Cippico", l'Educandato di San Demetrio), la caserma Vittorio Emanuele. Affondano due dragamine tedeschi ormeggiati al molo della Riva Nuova. Colpite la Prefettura e la Questura. Incendi in Calle Larga ed in Calle Luigi Ziliotto. Brucia la casa Relja in zona San Giovannino.

Morti imprecisati, ma in numero non elevato, dato lo sgombero della popolazione dalla città; 12 morti fra i marinai tedeschi di un dragamine.

Incursione, in due ondate successive, di 24 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., che lanciano 39 tonnellate di bombe.

 

1944

9 gennaio

? – Il diario della Mediterranean Allied Air Force (M.A.A.F.) riporta un bombardamento del porto di Zara da parte di 39 Baltimore. Trattasi di un errore di località. A Zara vennero registrati solamente rumori di un bombardamento lontano, verso le 11.30.

 

15 gennaio

"Preavviso" di bombardamento per il giorno successivo.

 

16 gennaio

Ore 13.30 – Bombardamento. In città sono colpite Via Roma, Cereria, Borgo Erizzo. Alla Riva Nuova bruciano il Palazzo delle Poste e Casa Begna. Incendi lungo il Viale Malta.

Incursione di 24 aerei Baltimore della Mediterranean Allied Air Force (M.A.A.F.), che lanciano 53,6 tonnellate di bombe.

 

21 gennaio

? – Bombardamento verso Nona e zone circostanti.

 

22 gennaio

Ore 08.00 – Mitragliamento nel Vallone di Diclo di un mezzo navale tedesco.

Ore 13.00 – Mitragliamento e spezzonamento di Zara.

Ore 16.30 – Spezzonamento e mitragliamento della città. Tre azioni di mitragliamento contro il panfilo Elettra (già di Marconi) immobilizzato nel Vallone di Diclo. A Zara, in Piazzetta Marinia, brucia

la casa con il negozio Aini.

Incursione di 23 aerei Kittyhawk e 12 Thunderbolt.


30 gennaio

Ore 08.15 – Mitragliamento di una motozattera fuori del porto di Zara.

Ore 11.30 – Bombardamento e spezzonamento della città. Colpite Riva Derna, Puntamica, i depositi di carburante in Val di Maistro. A Diclo, il panfilo Elettra viene incendiato e semiaffondato.

Incursione di 12 aerei Kittyhawk e 6 Spitfire, che lanciano 7,8 tonnellate di bombe.

 

4 febbraio

Ore 08.10 – Mitragliamento di una motozattera tedesca.

Ore 13.00 – Bombardamento e spezzonamento di una motozattera e di un rimorchiatore tedeschi. Mitragliamento. Nuovamente colpiti i depositi di carburante in Val di Maistro.

 

8 febbraio

Ore 12.30 – Bombardamento, spezzonamento e mitragliamento di una motozattera tedesca, affondata presso Lucorano (Isola di Ugliano).

Ore 16.30 – Bombardamento di Lucorano.

 

9 febbraio

Ore 16.15 – Mitragliamento e spezzonamento di mezzi tedeschi da trasporto presso l'Isola di Ugliano.

 

10 febbraio

Ore ? – Bombardamento. Ricognizioni con mitragliamento contro natanti tedeschi presso l'Isola di Ugliano.

 

15 febbraio

Ore 15.45 – Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento di Zara e zone circostanti. In Val di Maistro viene affondato un motoveliero. Bombardamento delle isole antistanti Zara.

 

16 febbraio

Ore 11.50 – Bombardamento, spezzonamento e mitragliamento su Zara e dintorni.

 

17 febbraio

Mattino – Bombardamento e spezzonamento di natanti tedeschi, fra le isole di fronte a Zara.

 

22 febbraio

Ore 11.00 – Spezzonamento e mitragliamento di Zara. 

Ore 11.25 – Spezzonamento e mitragliamento di Zara.

Ore 12.00 – Bombardamento di Zara. Sono colpiti il Santuario della Madonna della Salute, il Teatro Verdi, il Convitto Nicolò Tommaseo. Colpite Porta Catena, Porta Marina, la Scuola Industriale, la Prefettura, la caserma a Porta Terraferma, l'Educandato di San Demetrio, la Centrale elettrica. A Barcagno, distrutta la fabbrica di liquori R. Vlahov, distrutto il Circolo Canottieri "Diadora". Bombe a Bellafusa ed a Casali.

Incursione di 38 Baltimore della M.A.A.F., che lanciano 80,8 tonnellate di bombe.

 

23 febbraio

Ore 12.35 – Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento di Zara e dintorni. Le macerie ostruiscono Calle del Teatro Verdi, Calle Angelo Diedo, Calle Florio, Via Roma, Calle dei Papuzzeri. Completata la distruzione del Santuario della Madonna della Salute, distrutta la stazione radio della Marina. Colpite Ceraria e Val di Bora. Lo squero (cantiere navale) Cattalini è in fiamme. Bombe in Val di Maistro. Lancio di spezzoni incendiari.

Incursione di 39 aerei Kittyhawk, che lanciano 15,2 tonnellate di bombe.


24 febbraio

Ore 14.00 – Attacco di cinque cacciabombardieri al campo di aviazione di Zemonico.

Ore 16.30 – Mitragliamento dalla Punta delle Colovare su Borgo Erizzo.


25 febbraio

Ore 10.15, 11.00, 11.30 – Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento. Colpito quanto resta del Santuario della Madonna della Salute, del Convitto N. Tommaseo, dell'Educandato di San Demetrio, della Scuola industriale. Bombe a Casali e Bellafusa.

Ore 12.30 – Rinnovato bombardamento lungo l'asse Viale Trigari, Viale Nicolò Tommaseo, Convento dei Francescani, Riva Nuova.

Incursione di 9 aerei Baltimore della 15ha Forza Aerea U.S.A., che lanciano 24,1 tonnellate di bombe.


3 marzo

Ore 20.30 – Bombardamento di Zara, Borgo Erizzo, Barcagno, Bellafusa, Puntamica, preceduto da lancio di razzi illuminanti. Nei presi di Casali viene colpito un campo di concentramento istituito dai tedeschi, circa 20 morti. A Barcagno è gravemente colpita la fabbrica di maraschino Luxardo.

Viene usato un nuovo tipo di bomba. I testimoni registrano uno schianto più lacerante, più elevato potere calorico, maggiore capacità dirompente.

Incursione di 25 aerei Wellington, che lanciano 39 tonnellate di bombe, fra le quali undici da 2.000 kg. Secondo un'altra fonte americana le tonnellate di bombe sarebbero state 46.

 

14 marzo

Ore 07.30 – Mitragliamento di Zara.

 

15 marzo

Ore 14.00 – Mitragliamento di Zara e dintorni.

 

17 marzo

Ore 11.00 – Bombardamento e mitragliamento di Zara e località vicine.

Ore 14.00 – Nuovo bombardamento e mitragliamento.

 

7 aprile

Ore ? – Bombardamento di Val de' Ghisi. Viene colpita la fabbrica S.A.P.R.I., la fabbrica di cioccolato Zerauschek.

 

11 aprile

Ore 15.15 – Bombardamento e mitragliamento di Zara e dintorni.

 

26 maggio

Ore 14.00 – Bombardamento e spezzonamento di Zara e località vicine. Spezzonamento del campo d'aviazione di Zemonico.


27 maggio

Ore 09.00 – Bombardamento dei dintorni di Zara.


29 maggio

Ore 12.30 – Bombardamento della periferia di Zara, del campo di aviazione di Zemonico, dell'Isola Grossa (o Lunga).


2 giugno

Ore 10.10 – Mitragliamento dei dintorni di Zara.


14 giugno

Ore 10.05 – Bombardamento sul porto di Zara. La diga a protezione del porto è colpita in tre punti.


17 settembre

Ore 15.30 – Bombardamento del porto di Zara e di Barcagno. Affondati alcuni natanti tedeschi. Due piccole navi con munizioni a bordo esplodono. Incendi in città ed a Cereria.

Incursione di 6 aerei Venture e 6 Baltimore della Royal Air Force.


18 settembre

Mattino – Bombardamento. La città brucia in quattro punti: Calle Santa Maria, Calle de' Papuzzeri, Calla Larga, Calle e Piazzetta San Rocco. A Cereria brucia la casa Tolja. Bombe a Bellafusa.

 

2 ottobre

Ore 14.15 – Bombardamento del porto di Zara e di Barcagno, colpite Val di Bora e Val di Maistro. Colpita la Casa e la fabbrica Luxardo a Barcagno.

Incursione di 12 aerei Baltimore.


4 ottobre

Ore 16.15 – Bombardamento su Cereria e su Viale Malta.

Incursione di 6 aerei Baltimore.


9 ottobre

Ore 08.00, 09.25, 10.07, 11.30, 15.20, 16.00 - Sei borbardamenti nella giornata, dei quali il primo fu il più forte. Tutti hanno avuto come obiettivo il porto, le rive, ed adiacenze. Colpita la Riviera di Barcagno, la casa Gilardi, Val de' Ghisi, la Casa della Gioventù italiana del Littorio (G.I.L.). Bombe nel Parco Regina Elena.

Incursione di 11 aerei Baltimore e di 10 aerei Venture.


25 ottobre

Ore 10.00, 11.00, 14.05 – Tre bombardamenti nella giornata. Il primo su Val di Bora, Cereria, Barcagno. In città, con il secondo bombardamento, è colpita la Chiesa di San Simeone.

La prima delle tre incursioni è effettuata da 17 aerei Venture.

 

28 ottobre

Ore? – Bombardamento di Borgo Erizzo e delle Colovare. Incursione di 6 aerei Baltimore e da 6 Venture.

 

31 ottobre

Ore 09.30, 11.00, 14.45 – Tre bombardamenti nella giornata. Sono bombardati e spezzonati lo stradone di Val de' Ghisi ed il Rione Costanzo Ciano (case popolari). Bombardata la Caserma Cadorna e le adiacenze.

Nei bombardamenti restano coinvolti, con morti e feriti i primi gruppi di partigiani che stavano entrando in città.

Incursione di 12 aerei Venture e 18 Baltimore.



I MORTI SOTTO I BOMBARDAMENTI


Il numero dei morti a Zara, sotto i bombardamenti, non è determinabile. Il primo bombardamento (2 novembre 1943) causò circa duecento vittime, ed altrettante il secondo del 28 novembre. Imprecisato, ma altrettanto elevato, il numero dei feriti.

Dopo il secondo bombardamento la popolazione abbandonò la città. Gli uffici anagrafici cessarono di funzionare, all'Ospedale Provinciale i morti non vennero registrati; le salme sepolte in fosse comuni.

Perciò il Capo della Provincia, Vincenzo Serrentino, dopo il terzo bombardamento (16 dicembre 1943), poteva riferire soltanto in via approssimativa che i morti sarebbero stati una sessantina.

Oltre ai continui e reiterati mitragliamenti giornalieri, sino al 31 ottobre 1944 vi furono 56 bombardamenti, ed il prefetto Gavino Sabadin, nel 1946, faceva ammontare a circa quattromila i morti di Zara.

La cifra, forse, era in eccesso, però durante la preparazione di questo 'memoriale', dallo sbiadito ricordo dei superstiti, è stato un continuo affluire di nomi.

Ma va anche tenuto presente l'elevato numero di profughi – fatalmente scomparsi in questi quarantatrè anni, le tante famiglie che si sono estinte e nessuno, ormai, ne conoscerà i ricordi.

Ricordi di coloro che sono scomparsi in mare proiettati dalle esplosioni, di quelli che morirono sulle imbarcazioni mitragliate, di quelli che fuggendo al rogo della città vennero dilaniati dagli spezzonamenti.

Chi mai ne raccoglierà i nomi? Forse nessuno.

Ma i morti furono tanti! Certamente troppi.

 

2 novembre 1943

Alcuni giorni dopo il bombardamento, il Giornale di Dalmazia pubblicò un elenco provvisorio di 156 deceduti e di 54 feriti. Il dottor Giacomo Vuxani, funzionario della Prefettura di Zara, in una relazione indica i deceduti in 163 ed i feriti in 260.

Con l'aiuto dei superstiti, e con le annotazioni contenute nel registro delle sepolture nel Cimitero di Zara, è stato possibile ricostruire l'elenco delle vittime che ascendono a 173. Mancando sul registro delle sepolture precise indicazioni circa la causa del decesso, è possibile che qualcuna delle persone sottoindicate sia deceduta per cause naturali.

(Omissis).

Seguono i nomi di 173 morti del primo bombardamento.

 

28 novembre 1943

Da una relazione del dottor Giacomo Vuxani, funzionario della Prefettura di Zara, risulta che nel secondo bombardamento perirono 172 persone, e 200 furono i feriti. Sin d'ora è stato possibile individuare 147 caduti. Gli altri, secondo gli accertamenti effettuati dal signor Tommaso Ivanov, vanno compresi nelle 22 persone non identificate, che risultano dal Registro delle persone sepolte nel Cimitero di Zara, e fra coloro per i quali è stato annotato: "pezzi, circa una salma", "pezzi di tre salme".

(Omissis).

Seguono i nominativi di 153 persone morte durante il secondo bombardamento.

 

16 dicembre

Fu il più dirompente dei bombardamenti. Ma i nominativi dei caduti sono pochi. La popolazione è fuggita nelle campagne. In città non funziona più alcun ufficio. Scarse le annotazioni sul registro del Cimitero di Zara.

È stato possibile ricordare solamente una trentina di nominativi.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 32 persone morte durante il terzo bombardamento.


3 marzo 1944

Per i deceduti successivamente al 16 dicembre 1943 e sino al 31 ottobre 1944, ultimo bombardamento, non è possibile indicare con sufficiente approssimazione né il numero, né le rispettive date di morte, ad eccezione di alcune vittime dell'incursione del 3 marzo 1944, per le quali esistono alcuni dati nel registro delle sepolture nel Cimitero di Zara.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 17 persone morte durante il bombardamento del 3 marzo 1944.


Nel registro sono comprese sette salme non identificate. 

Il seguente elenco è stato compilato sulla base delle annotazioni contenute nel registro delle sepolture nel Cimitero di Zara, dal gennaio al 22 ottobre 1944 (escluso il bombardamento del 3 marzo).

Mancando quasi sempre l'indicazione delle cause del decesso è possibile che fra i nominativi riportati vi sia qualche deceduto per cause naturali.

Va tenuto presente che l'effettivo numero delle vittime è ben superiore, non essendovi alcuna possibilità di riscontrare i deceduti nei paesi e nelle località del circondario di Zara, o sepolti nelle campagne, oppure scomparsi in mare. Ad esempio, nel bombardamento del 30 dicembre 1943 perirono 14 soldati ed un ufficiale superiore tedesco, dei quali non sono indicati i nomi.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 132 persone.


Il nome di tutti gli altri, che più non rispondono all'appello, è compreso nell'ampio aggetto delle braccia d'una Croce, che la pietà delle donne di Zara, profughe in Penisola, ha fatto innalzare nel Cimitero della loro Città perduta.


*    *    *


DECEDUTI NEI CAMPI DI DEPORTAZIONE O UCCISI DAI TEDESCHI

 

(Omissis).

Seguono i nominativi di 22 persone.

 

*    *    *

 

LE UCCISIONI A ZARA DOPO L'OCCUPAZIONE DA PARTE DEI TITINI

31 ottobre 1944


L'eccidio, al quale gli zaratini erano sfuggiti l'8 settembre 1943 grazie all'occupazione tedesca, venne compiuto dai partigiani dal novembre 1944 in poi.

Fu l'olocausto di quei cittadini di Zara che per amore della loro terra non avevano voluto abbandonare i ruderi delle case, dove da generazioni, nel travaglio delle vicende d'una città di frontiera, avevano difeso il nome d'Italia.

Anche a Zara, come a Spalato e nelle altre località della Dalmazia, furono soppressi carabinieri ed agenti di pubblica sicurezza. Il loro sangue ingrommato con le macerie, assieme a quello degli zaratini e dei dalmati, conferma l'irrinunciabile significato di tutta una storia comune.

 

*    *    *


Il 10 novembre 1944, sui ruderi di Zara, le autorità titine affissero un avviso con la seguente:


"NOTIFICAZIONE"


"Il Tribunale Militare del Territorio dell'VIII Corpo, Consiglio presso il Comando del Circondario di Zara, nel dibattimento tenuto addì 10 novembre 1944, ha emesso la sentenza con la quale vengono condannati come criminali di guerra e nemici del popolo, ai sensi degli articoli 14 e 15 dell'Ordinanza sui Tribunali militari, alla pena di morte mediante fucilazione ed alla confisca del patrimonio."

(Omissis).

Seguono i nominativi di 31 persone.


Il 7 febbraio 1945, altra "notificazione", affissa a Zara, annunciava che erano stati giudicati e condannati alla pena di morte quali criminali di guerra, e che la condanna era stata eseguita:

(Omissis).

Seguono i nominativi di 15 persone.

 

 

FURONO UCCISI SENZA "NOTIFICAZIONE"


(Omissis).

Seguono i nominativi di 76 civili, di 15 agenti di P.S., di 6 Carabinieri.

 

 

SOPPRESSI O SCOMPARSI IN DATE E LOCALITA VARIE


(Omissis).

Seguono i nominativi di 75 civili, di 6 Carabinieri, di 32 fra collaboratori e simpatizzanti per l'Italia.


*    *    *


UN REGIO PREFETTO – UN CAPO DELLA PROVINCIA


Zara, durante l'ultimo conflitto, fu l'unica città d'Italia assediata. Dal 6 al 13 aprile 1941, circondata da ogni lato dal nemico, senza alcun collegamento con la Madre Patria, rimase sola, con se stessa, con le sue forze, nell'incognita della sorte.

E Zara fu anche l'unica provincia d'Italia che, per mano nemica, perdette due suoi prefetti. Li ricordiamo.

 

 

VEZIO ORAZI


Era nato a Roma il 1° novembre 1904. Dal 1919 aveva preso parte al movimento fascista. Si era laureato in giurisprudenza nel 1927. L'anno successivo venne nominato vice-segretario nazionale dei Gruppi universitari. Nel 1933 fu chiamato a reggere la Federazione fascista di Roma. Volontario in Africa Orientale. Prefetto di Cuneo e di Gorizia. Direttore generale della Cinematografia italiana e dell'Ente nazionale industrie cinematografiche (E.N.I.C.). Il 26 ottobre 1941 era stato nominato prefetto di Zara.

Il 26 maggio 1942, in un'imboscata di partigiani a Zegar, lungo la strada da Ervenico ad Obrovazzo (Zara), perdette la vita. Con lui caddero:

            il capitano dei carabinieri BONASSISI Umberto;
            il s.tenente d'artiglieria TRUPIANO Giacinto;
            il maresciallo di P.S. BARDELLONI Pietro;
            l'artigliere CAMPANELLA Michele;
            l'artigliere CIALDAI Dino;
            l'artigliere ZOPPI Arnaldo.

ed altri quattro soldati, dei quali non è stato possibile trovare i nomi.

L'eccidio di Vezio Orazi e della scorta ebbe risonanza su tutta la stampa nazionale. Imponenti i funerali celebrati a Zara il 28 maggio. Solenne la cerimonia che, nel Trigesimo, ebbe luogo a Roma in Santa Maria degli Angeli.

 


VINCENZO SERRENTINO


Nacque in Sicilia, a Rosolini, presso Noto, il 19 settembre 1897. Assolti gli studi liceali, aveva frequentato l'Accademia militare di Modena. Sottotenente di fanteria nel 1916. Partecipò, quale comandante d'una compagnia mitraglieri, alle battaglie sul Carso e sul Grappa.

Giunse in Dalmazia con le prime truppe italiane, sbarcando a Sebenico. Dal 1919 passò a Zara, che divenne la sua "città". Congedato, rimase a Zara. Si sposò e si affermò come organizzatore sindacale, benvoluto da tutti per la sua umanità.

Nel 1939 nei quadri della Milizia Artiglieria Contraerea, con il grado di 1° seniore, assunse il comando della difesa contraerea di Zara.

Il 2 novembre 1943, per prevenire l'insediamento a Zara d'un prefetto croato, venne nominato d'urgenza, Capo della Provincia. Il suo mandato coincise con l'anno dei bombardamenti della città. Assunse e resse gli oneri del suo ufficio, prodigandosi oltre il possibile.

Su ordine del Ministero dell'interno, il 30 ottobre 1944, abbandonò i cumuli di macerie di quella che era stata Zara, e ripiegò su Trieste con l'ultimo reparto tedesco.

A Trieste, il 5 maggio 1945, venne arrestato dai titini. Il 31 marzo 1947, in quella città che lo aveva visto sbarcare circa trenta anni prima, subì la parvenza d'un processo. Venne condannato a morte quale criminale di guerra. La sentenza fu eseguita il 15 maggio 1947 a Sebenico.

Nel clima politico di quegli anni, dare rilievo alla soppressione d'un capo di provincia italiano per mano titina, poteva essere imbarazzante. La "ragione di Stato" consigliò di limitare l'informazione sulla stampa nazionale a qualche riga di cronaca, nessun commento.

 

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SEMPRE CON L'ITALIA


Gli zaratini ed i dalmati, sradicati dalle loro città, sin dagli anni del 1944 e del 1945 cercarono rifugio e salvezza in Italia.

Quando le armi cessarono di sparare, a Zara ed in Dalmazia continuò il sacrificio. Quanti ebbero la sorte di sopravvivere attesero, nel tormento della speranza, che quella domanda d'opzione, presentata come ultimo e disperato gesto d'orgoglio per restare italiani, fosse accolta dalle autorità titine.

Ma anche coloro che avevano avuto la sorte di trovare ricetto in Penisola, pur se italiani di nascita, pur se combattenti, pur se mutilati o decorati di guerra, dovettero confermare con l'opzione di voler restare italiani.

E subirono l'umiliazione di chiedere la riconferma della propria cittadinanza – alla quale mai avevano rinunciato, e per la quale avevano lottato gli avi ed i padri – non all'Italia, ma alla Jugoslavia.

In quegli anni, a questi suoi figli d'oltre Adriatico, la Patria poteva offrire soltanto lo scarso aiuto dei campi di raccolta. Gli esuli non se ne adontarono, ma in ogni modo ed il prima possibile, anche con i lavori più umili, cercarono d'inserirsi nel processo ricostruttivo dell'Italia.

E ci riuscirono, dimostrando adattamento, volontà, capacità. Altri scelsero la via dell'Australia e delle Americhe, e anch'essi, dove giunsero, si affermarono.

Si affermarono in Patria ed all'estero, mantenendo intatta la loro fede, la loro dedizione, il loro credo.

Per questo credo

Pierino ADDOBBATI, di 16 anni, figlio di un medico di Zara, cadeva a Trieste il 5 novembre 1953, sotto il piombo della polizia del Governo Militare Alleato di quella città, durante una dimostrazione per il ritorno di Trieste all'Italia.

 Per questa fede

Antonio VARISCO, nato a Zara il 29 maggio 1927, tenente colonnello dei carabinieri, cadeva a Roma il 13 luglio 1979, per mano di terroristi, ed alla sua memoria veniva concessa la Medaglia d'Oro al Valor civile.

"Comandante del Reparto Carabinieri Servizi Magistratura, assolveva i suoi particolari e delicati compiti con assoluta dedizione, responsabile impegno ed ammirevole tenacia, pur consapevole del gravissimo rischio personale per il riacutizzarsi della violenza eversiva contro l'intero ordine giudiziario. Fatto segno a numerosi colpi d'arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da un gruppo di terroristi, sublimava col supremo sacrificio una vita spesa a difesa della collettività e delle istituzioni democratiche."
- Roma, 13 luglio 1979.


La sua prematura e tragica morte commosse l'opinione pubblica di tutta l'Italia.

Per questa dedizione

Enrico BARISONE, nato a Zara nel 1941, capitano dei carabinieri, per una operazione a fuoco condotta il 17 dicembre 1979, conquistava, vivente, la Medaglia d'Oro al Valor militare.

"Comandante di compagnia territoriale, particolarmente impegnata sotto il profilo della sicurezza pubblica, di notte, attraverso terreno impervio, in remota località montana, guidava una pattuglia fino al covo di una banda di pericolosissimi delinquenti, due dei quali – latitanti già condannati per omicidio – invigilavano, armi in pugno, all'esterno. Gravemente ferito da una scarica di pallettoni – proditoriamente esplosa da distanza ravvicinata e che gli produceva la frattura di una spalla – reagiva con fulminea azione di fuoco uccidendoli. Malgrado il dolore lancinante e sebbene indebolito da copiosa perdita di sangue, rifiutava ogni soccorso e disponeva i suoi uomini in posizione tatticamente idonea a contrastare eventuali sortite degli altri malviventi che venivano tutti tratti in arresto. Mirabile esempio di eccelse virtù militari, di fulgido ardimento ed assoluta dedizione al dovere."

- Sa Janna di Orune (Nuoro), 17 dicembre 1979.

 

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PERCHÉ IL RICORDO NON SIA DISPERSO

"...troppi furon quelli che suggellaron col proprio sangue la santità d'una causa, che altri sosteneva lento o abbandonava spergiuro..."

(Dall'"Orazione" di Pier Alessandro Paravia per i morti di Novara – 5 maggio 1848).

Gli Alleati, distrutta Zara con i bombardamenti aerei, perfezionarono l'atto di morte della città con il Trattato di Pace, ed il nome di Zara fu cancellato dal novero delle province d'Italia.

Per salvare dall'oblio almeno il ricordo della loro dedizione alla Patria, i figli di Zara ed i Dalmati, oggi esuli nei cento comuni d'Italia, con questa monografia, affidano a futura memoria quanto le generazioni degli avi, dei nonni, dei padri, ed essi stessi hanno dato alla comune storia, e

ricordando la loro presenza in ogni momento del travagliato Risorgimento;

ricordando con quale audacia indossarono il grigio-verde nel primo conflitto mondiale, per essere degni dell'attesa Redenzione;

ricordando l'animo con cui il 4 novembre 1918 accolsero il fante d'Italia;

 ricordando l'orgoglio con il quale, nella isolata testa di ponte, per oltre vent'anni rappresentarono l'Italia sulla sponda orientale dell'Adriatico;

ricordando l'abnegazione dimostrata nel secondo conflitto mondiale, sino all'annientamento;

ricordando il tributo di sangue che Zara e le altre città della Dalmazia hanno dato all'Italia; 

 ricordando la sensibilità con cui la Patria ha riconosciuto il sacrificio del singolo, con tutta la gamma delle ricompense al valore;

 ricordando che, nel globale annientamento d'una città, innumeri atti di vero ma sconosciuto eroismo sono stati consumati,

AUSPICANO che la Patria voglia, ancor oggi, onorare la legione di quei cittadini che, nell'olocausto del loro martirio, bruciarono anche il ricordo del nome, e conceda una ricompensa "cumulativa" al Valor militare al Gonfalone del "Libero Comune di Zara in esilio", che raccoglie e rappresenta gli esuli delle città di Dalmazia.



Parte seconda

I DALMATI PER LA FEDE – LA CULTURA – LA GIUSTIZIA
CON ROMA E CON LA CHIESA

 

La Dalmazia entrò nel novero della storia con la romanità, ed a Roma dette imperatori, papi e martiri.

Non sappiamo, esattamente, quanti sono stati i dalmati fra gli imperatori che la storiografia chiama "illirici". Fra essi vi furono:

        PROBO
        CLAUDIO II, il gotico
        CARO
        CARINO, figlio di Caro
        DIOCLEZIANO, nato a Salona.

Diocleziano, oltre ad essere il restauratore dell'impero, fu il creatore di quel Palazzo entro il quale, fortezza e pegno della romanità, sorge la città di Spalato.

 

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 Mentre la Dalmazia dava a Roma i suoi imperatori, CAIO, dalmata di Salona, poi santificato, saliva il trono di San Pietro, e dal 283 al 296 fu il Pastore della Cristianità.

Passarono circa quattro secoli, ed un altro dalmata, GIOVANNI IV, nato a Zara, resse il pontificato dal 640 al 642.

 Nei due brevi anni della sua missione, fece traslare a Roma le spoglie dei dalmati, martiri della fede, e per loro eresse, a lato del Battistero di San Giovanni in Laterano, una cappella. Ancor oggi, il grande mosaico ricorda

        SAN VENANZIO, al quale è dedicata la cappella
        SAN ANASTASIO
        SAN SETTIMIO
        SAN ASTERIO
        SAN DOIMO, protettore di Spalato.

Accanto ai Santi, i quattro soldati che, a Salona, per ordine di Diocleziano, pur di non abiurare, affrontarono il martirio.

        ANTIOCHIANO
        GAIANO
        TELIO
        PAOLINIANO

Intanto, nei secoli intercorsi fra i due Papi dalmati, si era proiettata sulla cristianità l'irruenza del dalmata SAN GIROLAMO (347-419), dottore della Chiesa, che traducendo la Bibbia in latino ne divulgò la conoscenza.

MARINO, tagliapietra dalmata, per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano, abbandonava la sua nativa isola di Arbe e trasmigrato in Penisola, sulle pendici del Monte Titano creava una comunità religiosa per ospizio e asilo dei perseguitati. Santificato, illumina ancor oggi la Repubblica di San Marino, bastione di libertà.

Nella battaglia della cristianità, nella giornata di Lepanto (7 ottobre 1571) combatterono 14 galere di Zara, al comando di Pietro BORTOLAZZI.

 

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Questi cenni schematici rappresentano la sintesi della naturale vocazione della Dalmazia, di quella vocazione che Gabriele d'Annunzio incisivamente scolpì nella frase:

"Dalmati, amplissima è la civiltà che vi illustra! Siete quasi orlo di toga, ma tutta la toga è romana."



NELLE ARTI – NELLE LETTERE – NELLE SCIENZE

Gli zaratini ed i dalmati, pur impegnati nella secolare lotta per rimanere italiani, sono stati presenti in ogni tempo, con eguale animo, nell'affermazione della cultura.

Sulla sponda orientale dell'Adriatico, difesero l'italianità della loro stirpe arroccandosi intorno al valore primo della lingua, ed il "Sì" della favella italica divenne simbolo della contesa tenace. Ma la lingua, per i dalmati, fu anche studio e scienza, ed al comune idioma dettero fondamentali contributi con due loro figli.

GIAN FRANCESCO FORTUNIO

nacque a Selve (Zara) e concluse la sua giornata terrena in Ancona nel 1517. Un anno prima della morte, nel 1516, per i tipi di Bernardin Vercellese, in Ancona, aveva pubblicato le Regole grammaticali della volgar lingua. Era la prima grammatica italiana, precedendo di nove anni quella del Bembo.

Passarono tre secoli, ed un altro dalmata offriva alla cultura linguistica italiana due opere fondamentali.


NICCOLÒ TOMMASEO

di Sebenico (1802-1874), pubblicava il Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana (1830-1831), ed il grande Dizionario della lingua italiana (1861-1879) in parte postumo.

 

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In ogni momento, i dalmati hanno partecipato alla civile evoluzione dell'Italia, e sin dal Rinascimento furono presenti allo splendore della nuova stagione, con l'ingegno dei loro figli.

Giorgio ORSINI, detto Giorgio da Sebenico, nato a Zara (1400 circa-1475). Architetto, scultore, che si espresse nel Duomo di Sebenico, nella statua della "Carità" sulla Loggia dei Mercanti e nella facciata di San Francesco alle Scale, in Ancona; nella Porta della Carta a Venezia, collaborando con Matteo Bon.

Luciano LAURANA, da Zara (1420 circa-1479). Architetto. Sua l'aerea facciata ed il cortile del Palazzo Ducale di Urbino. Lavorò al Palazzo Ducale di Mantova, ed ai castelli di Tarrascona e di Villeneuve-lès-Avignons, in Francia.

Francesco LAURANA, da Zara (1425-1502). Architetto e scultore, che manifestò il proprio talento nell'Arco di Trionfo d'Alfonso d'Aragona al Castel Nuovo di Napoli; medaglista alla corte di Renato d'Angiò; scultore di busti fra i quali quello d'Eleonora d'Aragona. Lavorò a Palermo, Marsiglia e Pescara.

Giovanni IL DALMATA, da Traù (1440 circa-1510). Scultore della tomba di Giacomo Tebaldi nella chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma. Si associò a Mino da Fiesole, e nelle Grotte Vaticane scolpì il monumento sepolcrale di Paolo II; nella chiesa di San Marco a Roma, il tabernacolo.

Elio LAMPRIDIO CERVA, da Ragusa (1460-1520). Per la perfezione del suo metro latino, venne incoronato poeta in Campidoglio.

Andrea MELDOLA (detto "Lo Schiavone"), da Zara (1500 circa-1563). Pittore ed incisore. Le sue opere si trovano a Venezia, nella Galleria dell'Accademia, nella Galleria Querini-Stampalia; a Milano, nella Pinacoteca Ambrosiana; a Londra, ad Hampton Court.


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Trascorrono i secoli, e la pittura nuovamente venne interpretata dalla magia del pennello di:

Roberto FERRUZZI, da Sebenico (1854-1934), che ha offerto la sua splendida "Madonnina" alla devozione d'una infinita schiera di fedeli.

Assieme a Roberto Ferruzzi, un altro pittore che, nel 1935, donò alla sua città quello che coralmente è stato battezzato "Il Cristo delle Masiere":

Andrea FOSSOMBRONE, da Zara (1887-1963). Ebbe quasi la "premonizione" del destino di Zara. Ed il Cristo, soavissimo nella soffusa mestizia, guarda la città condannata.
 


NELLE UNIVERSITÀ

 Anche nell'insegnamento universitario, la Dalmazia dette il suo contributo. Dai lontani anni del '300, sino ai primi decenni del 1800, quasi sempre fu l'Ateneo Patavino ad accogliere i giovani dell'altra sponda. Ed a Padova, i dalmati, non solo studiarono ed appresero, ma insegnarono e ricoprirono gli incarichi più prestigiosi. Circa venti furono i "rettori", ed una cinquantina i professori. Di questa schiera siamo in grado di ricordare, con l'anno della loro attività:


RETTORI DEI GIURISTI

          1385  –  Tebaldo NASSI, da Zara.

          1397  –  Matteo de RAGNINA, da Ragusa.

          1492  –  Simeone ROSA, dalmata.

          1498  –  Giovanni CASSIO, da Lesina.

          1508  –  Marino DE HUNGARIS, dalmata; sino al 1517.

          1533  –  Nicolò PALADINO, da Lesina.

          1535  –  Giovanni GIOVINO, da Zara.

          1541  –  Jacopo CICUTA, da Veglia.

          1541  –  Francesco FUMATI, da Zara - pro-Rettore.

          1593  –  Nicolò BOLIZZA, da Cattaro; anche nell'anno successivo.

 

RETTORI DEGLI ARTISTI

          1485  –  Matteo da Sebenico.

          1489  –  Girolamo CIVALELLO, da Zara.

          1490  –  Donato CIVALELLO, da Zara.

          1492  –  Iadertino CRISALIO, da Zara.

          1579  –  Domenico SLATARICH, da Ragusa.

          1583  –  Giovanni Nicolò ANDRONICO, da Traù.

 

PROFESSORI DI FILOSOFIA

          1507  –  Federico GRISOGONO BORTOLAZZI da Zara; sino al 1509.

          1533  –  Vincenzo SILVIO, dalmata.

          1543  –  Adriano VALENTICO, dalmata.

          1583  –  Giovanni Nicolò ANDRONICO, da Traù.
 


PROFESSORI DI DIRITTO CANONICO

          1318  –  Matteo MATAFARI, da Spalato; sino al 1352.

          1533  –  Natale SALERNITANO, dalmata.

          1535  –  Antonio DE BACULIS, da Cattaro.

          1536  –  Vincenzo PEREGRINO, dalmata.

 

PROFESSORI DI TEOLOGIA E DI DOGMATICA

          1415  –  Giovanni DA RAGUSA, di Ragusa.

          1465  –  Tommaso BASSEGLI, da Ragusa (1511).

          1468  –  Serafino BONA, da Ragusa (1488).

          1549  –  Paolo Clemente MIOSSICH, da Macarsca.

          1458  –  Giorgio DONATO, da Ragusa; sino al 1462.


PROFESSORI DI DIRITTO CIVILE

          1503  –  Matteo ANDREIS, da Traù.

          1528  –  Nicolò DE HUNGARIS, dalmata; anche nell'anno 1529.

          1531  –  Marco SOLONO, dalmata.

          1534  –  Giovanni GIOVINO, da Zara.

          1538  –  Francesco FUMATI, da Zara.

          1539  –  Pascalizio DE PASCALIZI, dalmata.

          1541  –  Francesco FUMATI, da Zara.

          1543  –  Giovanni PETREO, da Curzola.

          1546  –  Nicolò PATRIZIO, dalmata.

          1545  –  Paolo PETREO, da Curzola.

          1546  –  Antonio ROSANÈO, da Curzola.

          1547  –  Alessandro NICONIZIO, da Curzola (1501-1549).

          1549  –  Giacomo ARMERINO, dalmata.

          1549  –  Girolamo ERMOLAO, dalmata.

          1552  –  Ippolito CRAINA, dalmata.


PROFESSORI DI DIRITTO CRIMINALE

          1550 circa  –  Marino CABOGA, da Ragusa. Fondatore della cattedra.


PROFESSORI IN MEDICINA

          1492  –  Iadertino CRISALIO, da Zara.

          1532  –  Giorgio Amelio LIBURNESE, dalmata.

          1570 circa  –  Teodoro BELLEO, da Ragusa.

 

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Durante il Rinascimento, nel pieno fulgore delle scienze, i dalmati, oltre ad insegnare in altre Università della Penisola, affermarono la cultura italiana nei più qualificati centri d'Europa.

Benedetto BEGNA, da Zara. Insegna verso il 1520, alla 'Sorbona' a Parigi, e viene proclamato "Monarca delle scienze".

Mariano BONDENOLIO, da Ragusa. Insegna teologia alla 'Sorbona' a Parigi, verso il 1465.

Giulio CAMILLO, detto "Delminio" (1479-1550). Insegna logica all'Università di Bologna.

Giacomo DRAGAZZO, da Traù, nato verso il 1451. Insegna all'Università di Arles.

Domenico GALEOTTI ROLANDIO, nato a Ragusa nel 1348. Aggregato al Collegio dei medici e dei filosofi dell'Università di Bologna, vi insegna matematica ed astrologia sino al 1422.

Pietro GOZZE, da Ragusa (1500 circa-1564). Insegna teologia all'Università di Lovanio.

Giovanni STAFILEO, da Traù (1472-1528). Insegna diritto canonico alla "Sapienza" a Roma.

Nel '600 e nel '700, altri dalmati insegnarono nelle Università, con prevalenza in quella di Padova, che assegnò loro cattedre ed incarichi.

Giorgio BAGLIVI, da Ragusa (1668-1707). Insegna chirurgia ed anatomia nelle Università di Roma, Napoli e Padova.

Ruggero BOSCOVICH, da Ragusa (1711-1787). Insegna fisica e matematica nelle Università di Roma, Pavia e Milano. In questa città fonda l'Osservatorio astronomico di Brera.

Giovanni CAMPANARI, da Zara. Sindaco e pro-Rettore dei Giuristi, nel 1723, all'Università di Padova.

Francesco GRASSO, da Ragusa. Sindaco degli Artisti all'Università di Padova dal 1609 al 1610.

Raimondo CUNICH da Ragusa (1719-1797). Insegna Retorica all'Università di Roma.

Marc'Antonio DE DOMINIS, da Arbe (1566-1624). Insegna matematica, logica e filosofia all'Università di Padova.

Matteo DELL'ACQUA, da Zara. Insegna diritto civile all'Università di Roma, nel 1780.

Giovanni DUBRAVCICH, da Lesina. Insegna diritto canonico dal 1781 al 1795 all'Università di Padova.

Matteo FERCHIO, da Veglia. Insegna Filosofia e Teologia all'Università di Padova nel 1639.

Marino GHETALDI, di Ragusa (1556-1627). Insegna matematica nelle Università di Lovanio e di Roma.

Marino GREGO, da Curzola (1791). Insegna teologia all'Università di Modena.

Giambattista LANTANA, da Zara. Sindaco e pro-Rettore dei Giuristi all'Università di Padova, nel 1711.

Teodoro MISTACHIELI, dalmata. Sindaco e pro-Rettore degli Artisti all'Università di Padova, nel 1643.

Giorgio RAGUSEO, da Ragusa (1579-1622). Titolare della seconda cattedra di filosofia all'Università di Padova.

Giovanni Giulio SMACCHIA, da Curzola. Sindaco e pro-Rettore dei Giuristi all'Università di Padova dal 1728 al 1730.

Benedetto STAY, da Ragusa (1714-1801). Insegna eloquenza alla "Sapienza" a Roma.

Gian Domenico STRATICO, da Zara (1722-1801). Insegna sacre scritture e letteratura greca nelle Università di Pisa e di Siena.

Simeone STRATICO, da Zara (1738-1829). Nel 1757 insegna filosofia e medicina; dal 1764 matematica e scienza della navigazione all'Università di Padova. Nel 1797 Magnifico Rettore dell'Ateneo Patavino.

Innocenzo de TERZIS, dalmata. Sindaco e pro-Rettore degli Artisti all'Università di Padova nel 1692.

Matteo TETTA, da Sebenico. Sindaco e pro-Rettore dei Giuristi all'Università di Padova nel 1666 e 1667.

 

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 Nel 1866, quando in Dalmazia si attendevano le navi d'Italia fatalmente fermate a Lissa, i non completati confini del Regno d'Italia fecero venir meno i diretti contatti della sponda orientale dell'Adriatico con i centri veneti della cultura. Tuttavia, pur nelle progressive e sempre più complesse situazioni, molti furono i dalmati che insegnarono nelle Università italiane.

Ancor oggi, distrutta Zara e nell'esodo dalla loro terra, prestigiose cattedre sono tenute da dalmati, o da figli di dalmati nati in Penisola, oppure da professori che in Dalmazia hanno vissuto, assimilandone lo spirito e l'animo.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 36 fra zaratini e dalmati che, dalla fine del secolo scorso, hanno insegnato o tutt'ora insegnano nelle Università italiane.

 

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AL SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA

 

Con la prima Redenzione della Dalmazia (1918) entrarono nella magistratura italiana i dalmati che avevano prestato servizio nell'ambito della cessata monarchia austro-ungarica e, finalmente, poterono "dire giustizia" in nome della Patria.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 36 dalmati magistrati.

Unita Zara all'Italia (1918) altri dalmati vestirono la toga, ponendosi al servizio della giustizia; altri, ancora, assunsero l'alto ufficio dopo la distruzione della città (1943-1944) e l'esodo in Patria.

(Omissis).

Seguono i nominativi di 28 dalmati magistrati.

 

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DALMATI AL PARLAMENTO ITALIANO


BARBI Paolo, nato a Trieste da genitori dalmati (Lesina) – Deputato e senatore al Parlamento italiano e europeo.

BETTIZA Enzo, nato a Spalato il 7 giugno 1927 – Eletto senatore nella VII legislatura repubblicana (5 luglio 1976-19 giugno 1979) – Parlamentare europeo dal 17 luglio 1979 a tutt'oggi.

CIPPICO prof. Antonio, nato a Traù il 20 marzo 1877, deceduto a Roma il 18 gennaio 1935 – Nominato senatore del Regno il 19 aprile 1923.

DUDAN dott. Alessandro, nato a Verlicca (Spalato) il 27 gennaio 1883, deceduto a Roma il 31 marzo 1957 – Deputato dalla XXVI leglslatura (11 giugno 1921) per il collegio di Roma, sino a tutta la XXVIII (20 aprile 1929-19 gennaio 1934) – Nominato senatore del Regno il 3 marzo 1934 – Decaduto il 25 giugno 1946 con la soppressione del Senato del Regno.

GHIGLIANOVICH avv. Roberto, nato a Zara il 17 luglio 1863, deceduto a Gorizia il 1° settembre 1930 – Nominato senatore del Regno il 15 novembre 1920.

KREKICH dott. Natale, nato a Scardona (Sebenico) il 6 gennaio 1857, deceduto a Zara il 7 settembre 1938 – Deputato per la XXVI legislatura (11 giugno 1921-25 gennaio 1924) nel collegio di Zara – Nominato senatore del Regno il 9 dicembre 1933.

LUXARDO Nicolò, nato a Zara il 15 luglio 1886, deceduto a Selve (Zara) il 30 settembre 1944 per mano titina – Consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni dal 23 marzo 1939 – Decaduto il 2 agosto 1943 con la soppressione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

 PAOLUCCI marchese Giuseppe, di famiglia dalmata – Deputato per la X (22 marzo 1867-2 novembre 1870) e la XII (23 novembre 1874-3 ottobre 1876) legislatura nel collegio di Oderzo.

SALVI Ercolano, nato a Spalato nel 1861, deceduto a Roma il 19 novembre 1920 – Nominato senatore del Regno il 15 novembre 1920, decede prima d'aver prestato giuramento.

SEISMIT-DODA avv. Federico, nato a Ragusa il 1° ottobre 1825, deceduto a Roma l'8 maggio 1893 – Deputato dalla IX (12 novembre 1865) alla XVIII (23 novembre 1892) legislatura per vari collegi: Comacchio, Palmanova, San Daniele del Friuli, Ferrara, Perugia II, Udine – Ministro per le finanze del governo di Benedetto Cairoli (1878) e nel governo di Francesco Crispi (1889-1890).

SEISMIT-DODA maggior generale Luigi, nato a Zara il 20 aprile 1817, deceduto a Roma il 25 novembre 1890 – Deputato della IX legislatura (18 novembre 1865-13 febbraio 1867) per il collegio di Urbino.

MICHIELI (de) VITTURI Ferruccio, nato a Spalato il 6 giugno 1923, deceduto a Roma il 6 giugno 1984 – Deputato nelle legislature repubblicane: III (12 giugno 1958-18 febbraio 1963), VI (8 maggio 1972-21 giugno 1976) e IX dal 26 giugno 1983 al decesso, nel collegio di Udine.

TACCONI avv. Antonio, nato a Spalato il 22 aprile 1880, deceduto a Roma il 20 gennaio 1962 – Nominato senatore del Regno il 21 aprile 1923 – Decaduto il 25 giugno 1946 con la soppressione del Senato del Regno.

TIVARONI avv. Carlo, nato a Zara il 4 novembre 1843, deceduto a Venezia il 6 luglio 1906 – Deputato per la XV legislatura (22 novembre 1882-27 aprile 1886) per il collegio di Belluno.

TIVARONI avv. Enrico, nato a Zara il 13 maggio 1841, deceduto a Padova il 13 agosto 1925 – Nominato senatore del Regno il 24 novembre 1913.

TOMMASEO Niccolò, nato a Sebenico l'8 ottobre 1802, deceduto a Firenze il 1° marzo 1874 – Deputato nella VII legislatura (2 aprile 1860-17 dicembre 1860) per il collegio di Caraglio (Cuneo).

TOTH Lucio, nato a Zara il 30 dicembre 1934 – Eletto senatore nel 1987.

VIDOVICH (de) Renzo, nato a Zara il 27 febbraio 1934 - Eletto deputato della VI (8 maggio 1972-21 giugno 1976) legislatura repubblicana. 

ZILIOTTO avv. Luigi, nato a Zara l'8 febbraio 1863, deceduto a Zara il 5 febbraio 1922 – Nominato senatore del Regno il 15 novembre 1920.

Con la costituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Zara fu rappresentata nel Parlamento italiano, in relazione alla carica ricoperta, da

BARTOLUCCI dott. Athos, nato a Ferrara il 28 ottobre 1902 – Segretario della Federazione dei Fasci di combattimento di Zara (dal 21 maggio 1934 al luglio 1941, indi Ispettore nazionale del P.N.F. per la Dalmazia) – Consigliere nazionale dal 23 marzo 1939 al 2 agosto 1943, quando la Camera dei Fasci e delle Corporazioni venne soppressa.


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PROPOSTA DI LEGGE


ART. 1.

1. La commissione consultiva militare unica per la concessione e la perdita di decorazioni al valor militare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1973, n. 1076, e` autorizzata, in deroga ai vigenti limiti temporali, ad esa- minare la documentazione per la conces- sione all’Associazione « Libero Comune di Zara in esilio » della medaglia d’oro al valor militare alla memoria dei suoi cit- tadini che in guerra e in pace hanno servito la Patria.


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