L’Idantità italiana. Non è un refuso, è una tesi precisa. La fonte principale, più alta e più vera della nostra identità è Dante Alighieri. A lui dobbiamo la lingua, il racconto, la matrice, la visione. L’Italia intesa più che Nazione, come Civiltà. L’identità italiana secondo Dante, è nazionale e universale, ben delineata nei suoi confini geografici, marini e alpini, ma espansiva nelle sue linee spirituali.
Unico Paese al mondo, l’Italia non fu fondata da un condottiero ma da un poeta. Non Garibaldi, non Cavour, non Vittorio Emanuele e tantomeno la Costituzione repubblicana, ma Dante. Fu lui a dare dignità al terreno primario e comune di una nazione, la lingua. Fu lui a fondare la civiltà italiana sull’arte, sul pensiero, sull’eccellenza e il genio, oltre che sulla storia e la geografia. Fu lui a riannodare l’Impero e il Papato, cioè la civiltà cristiana e la civiltà romana, riconoscendoli come i genitori dell’Italia, con ruoli ben distinti. La romanità e la cristianità ebbero altri figli; ma la figlia che ereditò la casa paterna e materna fu l’Italia. Dante vagheggiava la monarchia universale ma fu il primo a considerare il fulcro di una rinascenza in Roma, nella Roma cattolica ma non clericale dove l’Impero ha dignità pari a quella del Papato. E fu ancora Dante a dare un mito di fondazione e una narrazione su cui costruire l’Italia, riannodandosi a Virgilio il cantore di Enea. Fu Dante a cercare un Veltro, un Condottiero, che la unisse da «feltro a feltro», come egli scrisse: «di quell’umile Italia fia salute».
Dante generò un’aspettativa d’Italia che altri scrittori - da Petrarca a Machiavelli, da Ariosto ad Alfieri, da Foscolo e Leopardi - poi coltivarono nei secoli. L’Italia è una nazione culturale, nata non con la forza delle armi ma dell’arte e della poesia. Nacque prima la lingua, la letteratura e solo alcuni secoli dopo lo Stato; anche per questo l’Italia ha uno Stato fragile e un’identità profonda. Un senso civico debole e conflittuale e un carattere nazionale spiccato e radicato.
Tuttora la dignità universale dell’Italia non è di natura commerciale o industriale, militare o tecnologica, ma culturale: si studia la lingua italiana per ragioni culturali, si viene in Italia per ragioni culturali e per turismo d’arte o religioso, si considera l’Italia tra i grandi del mondo per ragioni culturali e artistiche.
Il ruolo di Dante come profeta dell’Italia nasce da una lunga tradizione culturale, da George Gordon Byron che in Profezia di Dante lo riconosce come il precursore e fondatore dell’Italia ventura, e prima di lui Vincenzo Monti e suo genero Giulio Perticari che scrisse Dell’amor patrio di Dante. E poi Mazzini che scrive anch’egli sull’Amor patrio di Dante e Goffredo Mameli che compone l’inno mazziniano Dante e l’Italia: «Del cener dell’Italia / La nuova prole è uscita. /Salve, sublime apostolo / Del verbo della vita, / Che il nuovo sogno errante / Stringi al pensier di Dante». Il dantismo nazionale prosegue con Cesare Balbo e Francesco De Sanctis, fino a Ruggero Bonghi, primo presidente della Società Dante Alighieri e culmina in Giovanni Gentile, per il quale il Risorgimento trae presentimento proprio dalla profezia di Dante «nella cui storia si celano molti secoli della storia futura d’Italia» (I profeti del Risorgimento italiano).
Auspicando un nuovo Risorgimento d’Italia, il filosofo cattolico Augusto Del Noce si riportò a Dante, richiamandosi sia a Gentile che al poeta e letterato veneto Giacomo Noventa, che vide in Dante colui che imperniò l’idea d’Italia sulla tradizione romana e cattolica, mediterranea e poetica.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.